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Un sacerdote accoglie i pellegrini bloccati sul Cammino di Santiago dal coronavirus

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Javier González García - pubblicato il 18/06/20

Un gruppo di pellegrini italiani, tedeschi e olandesi convive in un ostello parrocchiale di un paese della diocesi di Salamanca

Edoardo è italiano e si è recato in Spagna per compiere una di quelle cose che vanno fatte una volta nella vita: il Cammino di Santiago. Non ha scelto un percorso qualsiasi. Vuole essere uno di quei pellegrini che camminano per più di 900 chilometri da Siviglia, nel sud della Penisola Iberica, a Santiago de Compostela, nel nord-ovest della Spagna. Ovviamente non avrebbe mai immaginato che una pandemia mondiale avrebbe stravolto completamente i suoi piani.

Edoardo era arrivato quasi a metà del suo percorso quando in Spagna è stato decretato lo stato d’allerta per la pandemia da coronavirus. Lui e altri pellegrini provenienti da Italia, Gran Bretagna, Germania e Olanda si sono tutti ritrovati nella località di Fuenterroble de Salvatierra, vicino Salamanca, confinati in mezzo al nulla, a migliaia di chilometri da casa.

In piena confusione, i pellegrini si sono chiesti come tornare nei propri Paesi mentre nel loro zaino avevano solo le poche cose che si erano portati dietro.

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La Provvidenza ha però voluto che il gruppo incontrasse Blas Rodríguez, un sacerdote che si occupa dell’ostello parrocchiale Santa María, un centro che accoglie tutto l’anno i pellegrini che compiono il Cammino di Santiago.

In mezzo alla crisi sanitaria più grave degli ultimi tempi, a Fuenterroble de Salvatierra c’è un’immagine più pittoresca: gente di ogni angolo del mondo riunita grazie all’ospitalità di questo religioso spagnolo.

Settanta giorni. Quasi tre mesi. Tutti insieme. Padre Blas assicura che si è trattato solo di “una pausa nel cammino per via del coronavirus”. Il suo buonumore trabocca speranza, nonostante le notizie tragiche che giungono da ogni dove.

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Albergue parroquial de peregrinos - Fuenterroble de Salvatierra

70 giorni insieme

Padre Blas racconta che la vivono bene “perché ciascuno svolge i compiti che gli piacciono di più. Uno è falegname, e quindi si occupa di quello, un altro idraulico, e via. Chi ama la cucina viene messo lì”.

“Ciascuno ha la sua storia, e i giorni pesano e le manie affiorano”. Sono tanti giorni, con tutte le loro ore, senza altro da fare se non aspettare. “Ma visto che la buona volontà è al di sopra di tutto e la Provvidenza funziona, grazi alla Caritas e alla Croce Rossa siamo riusciti a sopravvivere”.

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Un’autentica famiglia

Gli abitanti del paese e altri privati si sono avvicinati per aiutare come potevano, alcuni “con gli insaccati di qui, di Guijuelo, i migliori del mondo”. L’unico problema ora sarà “dover andar via”.

Con la fine dell’isolamento e l’inizio di un’apparente normalità, le persone bloccate iniziano a preparare il ritorno a casa.

“Dopo 70 giorni si sono creati legami di amicizia che saranno difficili da spezzare”, ha commentato il sacerdote. “Né il tempo né la distanza potranno farli dimenticare”.

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