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Le cose sono sempre come pensiamo che siano?

KOBIETA Z KSIĄŻKĄ

Sarah Noltner/Unsplash | CC0

Miguel Pastorino - pubblicato il 28/04/20

Spesso pensiamo di sapere come siano le cose, di conoscere gli altri, come la pensano e perché fanno quello che fanno. Gli altri fanno lo stesso con noi. Ma è proprio così?

Quante volte non ci permettiamo di aprirci alla novità, a quello che non gestiamo, che non possiamo controllare? Siamo chiusi nei nostri rigidi schemi e nei nostri pregiudizi?

Sicuramente più di quanto pensiamo. Per poter vedere davvero bisogna rinunciare a voler vedere quello che vogliamo vedere o a che altri ci dicano come sono le cose senza metterlo in dubbio. La strada facile è sempre non voler pensare troppo.

Quante volte diciamo “Quella persona non mi convince”? Chi siamo noi per giudicare l’immagine che abbiamo dell’altro o la sua vita? È sicuramente più comodo giudicare tutta la realtà in base ai nostri schemi, che ci dicono come devono essere le cose. La realtà, però, ci trascende da ogni parte, e nessuno può abbracciarla completamente. È questa pretesa assurda di dominare e controllare tutto che ci impedisce di essere aperti alla novità.

Quando crediamo di sapere

Spesso pensiamo di sapere come siano le cose, di conoscere gli altri, come pensano e perché fanno quello che fanno. Gli altri fanno lo stesso con noi. Ma è proprio così?

Confondiamo facilmente la realtà con la percezione che abbiamo di essa, e dimentichiamo che la nostra percezione e la nostra prospettiva di ciò che è reale sono solo un aspetto limitato e interpretato della realtà. Ci rendiamo conto del fatto che questo ci porta a semplificare e a ridurre la realtà alla nostra visione delle cose e ai nostri pregiudizi sugli altri, che non siamo disposti a mettere in discussione.

La realtà, iniziando dagli altri, supera sempre l’immagine che ci costruiamo, ed eccede i nostri schemi mentali e i nostri concetti. Quando non possiamo collocare qualcosa nei nostri schemi, però, facciamo una caricatura dell’altro o di un evento per poterlo spiegare facilmente e dire che lo capiamo.

Nella nostra società in cui i mezzi audiovisivi e la valanga di informazioni hanno sviluppato livelli che non ci permettono di discernere chiaramente ciò che è reale dalla percezione e la verità dalla menzogna, tutto questo diventa ancora più complesso. Spesso, però, senza discernere diamo per vero quello che vediamo nelle reti sociali o in televisione solo perché qualcuno lo dice o perché vediamo un’immagine, anche se è modificata o è una falsificazione.

La situazione contemporanea dovrebbe renderci ancor più cauti, prudenti e critici di fronte a quello che sembra essere tanto sicuro, certo e “verificato”. Con questo non voglio dire che viviamo in uno scetticismo permamente, perché non potremmo opinare su nulla né prendere decisioni. Quello che mi sembra fondamentale è non credere che sia tutto come pensiamo o come ci ha detto un mezzo di comunicazione.

L’esigenza di cercare le fonti, di indagare sui presunti fatti, di essere cauti al momento di reinviare un’informazione ricevuta o di emettere un giudizio categorico è sempre maggiore.

L’importanza del discernimento

Viviamo in una società e in un’epoca in cui si cerca ogni tipo di scorciatoia per non pensare e ostentarlo, come se andare più rapidamente ci assicurasse di essere più vicini alle informazioni. A volte tanta velocità non fa che saturare e confondere, sviando l’attenzione da ciò che è importante, lasciando nell’ombra i problemi più gravi e distraendoci con qualsiasi banalità che sia su tutti i media per uno o due giorni, o che sia diventata “di tendenza” nelle reti sociali.

Cercare la felicità non è un compito facile ed è una cosa lenta, che esige rigore nell’analisi, riflessione serena e apertura mentale. La via facile è il pensiero semplice, evitare le sfumature e la complessità nell’analisi dei fatti. In genere chi sa meno parla con più sicurezza delle proprie certezze.

Una conferma scientifica: l’effetto “Dunning-Kruger”

Negli anni Novanta, lo psicologo sociale David Dunning della Cornell University e la sua collega Justin Kruger hanno realizzato vari esperimenti in cui hanno analizzato in particolare la competenza delle persone a livello di grammatica, ragionamento logico e umorismo.

Ai partecipanti è stato chiesto di stimare il proprio grado di competenza in questi campi, e poi sono stati realizzati vari test. Il risultato ha rivelato che maggiore era l’incompetenza della persona, meno ne era consapevole. Al contrario, le persone più capaci e competenti in genere sottovalutavano la propria conoscenza e competenza.

Le persone più capaci erano più umili, mentre chi era meno capace presumeva di fare tutto bene. I ricercatori hanno concluso che le persone incompetenti in certe aree della conoscenza sono incapaci di rendersi conto e di riconoscere la propria incompetenza, come non sono in grado di riconoscere la competenza degli altri. Man mano che la persona aumenta le proprie conoscenze e il suo livello in una certa competenza, però, l’effetto diminuisce e diventa più consapevole dei propri limiti.

Lo studio è stato pubblicato nel 1999, e da allora viene chiamato “effetto Dunning-Kruger” il tratto cognitivo secondo il quale le persone con meno capacità e conoscenze tendono a sopravvalutarle, e quindi tendono a opinare su tutto come se sapessero molto, con grande sicurezza, senza avere idea del tema, perché pensano di sapere molto più degli altri.

Per questo raccomandavano che il miglior modo di uscire da questo atteggiamento è lasciare spazio al dubbio, prestare attenzione ad altre prospettive ed essere disposti a imparare.

Lo studio conferma una cosa che si conosce già da più di 2.500 anni nella storia del pensiero, visto che appare già negli scritti di Platone: più si sa di qualcosa, più si è consapevoli di non sapere molto. Chi è ignorante, invece, crede di sapere quando in realtà sa molto poco. Un proverbio biblico dice che “la malattia dell’ignorante è ignorare la propria ignoranza”.

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