Nel 325 il Concilio di Nicea ideò un sistema di computo della data della pasqua cristiana basato sull’incrocio di calendario settimanale, lunare e solare: uno degli intenti di tale congegno matematico era l’esclusione della coincidenza tra la Pasqua ebraica e quella cristiana. Quest’anno il 14 nisan è caduto alla vigilia dell’inizio del Triduo, e in tempi di pandemia e di quarantena (cioè di estrema distanza sociale) questa prossimità asintotica diventa particolarmente consolante.Negli ultimi mesi, una semplice mutazione genetica in un virus ha causato una crisi globale. È stato necessario modificare i progetti quotidiani, le opzioni che la vita postmoderna è solita offrire sono state drasticamente ridotte e molti sono rimasti scossi dal fatto di non avere più il controllo sulla propria vita. Oltre a coloro che soffrono gravemente a causa del covid-19, sono in tanti a cadere attraverso le maglie di reti di sicurezza sociale inadeguate. Si moltiplicano gli appelli alla solidarietà con chi soffre, ricordandoci di stare uniti nella nostra comune umanità di fronte a una minaccia che non fa distinzione tra popoli, nazioni o gruppi socio-economici. L’umanità è sfidata a mettere da parte l’avidità e l’egoismo a favore del più grande bene comune.
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Per ebrei e cristiani tale concetto è particolarmente importante in questo periodo dell’anno. Sia Pesach sia Pasqua ci rimandano ai racconti biblici, nel libro dell’Esodo, sulla schiavitù degli antichi ebrei in Egitto e la loro redenzione da parte di Dio. Questi racconti mostrano il Creatore come giudice sulle divinità pagane (Esodo 12, 12; Numeri 33, 4), sugli idoli sui quali si fondava il potere dispotico del faraone. Sembra che oggi l’idolo di pensare che siamo responsabili di tutto o che, se abbiamo un qualche problema, lo si può facilmente risolvere, stia crollando.
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La Bibbia prescrive al popolo d’Israele di fare una cena familiare rituale la sera in cui inizia Pesach. Il suo fine è di far rivivere alle successive generazioni i sentimenti degli antichi ebrei che si preparavano a intraprendere il cammino della libertà dall’oppressione. I genitori devono raccontare ai propri figli, seduti attorno al tavolo, la storia dell’Esodo, traendovene le implicazioni per il presente. Gli ebrei guardano anche avanti, al tempo futuro, quando il mondo stesso sarà trasformato secondo la volontà di Dio. Alla cena di Pesach (Seder) viene preparata una coppa speciale per il profeta Elia, annunciatore del Messia e della vita trasformata dei tempi messianici.
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I saggi rabbinici intesero i quattro versetti biblici che prescrivono questo compito educativo (Esodo 12, 26; 13, 8; 13, 14; Deuteronomio 6, 20) come riferiti a quattro tipi di persone: i saggi, gli indegni, i semplici e coloro che non sanno come porre domande. Essi conclusero che gli insegnamenti relativi all’Esodo dovevano essere adattati a ognuna di queste categorie. Tutte le diverse personalità devono sentire l’impatto del messaggio di dignità e speranza che è necessario per liberare uno spirito ridotto in schiavitù. Un tale spirito è richiesto oggi a tante persone e tanti governanti in tutto il mondo — qualunque sia la loro personalità individuale — al fine di correggere quei fattori sistemici che hanno consentito all’epidemia di diventare una pandemia, che è dilagata lasciando migliaia di morti.
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Gesù, naturalmente, viene ricordato dai cristiani per avere istituito l’Eucaristia più o meno nel periodo della cena rituale della Pasqua ebraica. Secondo le usanze ebraiche, lui e i suoi discepoli probabilmente avevano discusso delle azioni di Dio per Israele, come anche di questioni di sofferenza presente e di redenzione vicina. In tutti e quattro i Vangeli Gesù parla della sua imminente morte come collegata al Regno di Dio di liberazione e vita (Matteo 26, 26-29; Marco 14, 22-25; Luca 22, 14-20; Giovanni 13, 1-18,1; cfr. 6, 35 e seg.).
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Nella tradizione cristiana, dunque, Pasqua è un tempo di dolore, speranza e gioia. La crocifissione di Gesù è avvenuta durante la celebrazione di Pesach nella Giudea dominata dai romani. La convinzione che Dio lo aveva fatto rinascere a nuova vita si sviluppò tra alcuni ebrei che lo seguivano. Queste origini forgiarono poi la successiva interpretazione cristiana dei temi biblici dell’oppressione e della redenzione.
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Dunque, il dolore e la speranza e la nuova vita fanno parte delle pratiche sia degli ebrei sia dei cristiani in questo tempo dell’anno. Entrambi ricordano, durante le loro celebrazioni, i tempi messianici del futuro. Gli ebrei attendono un mondo di pace e di libertà dalla paura e poi la risurrezione dei morti (principi della fede nn. 12 e 13 di Maimonide). I cristiani, che considerano Gesù «primizia di coloro che sono morti» (1 Corinzi 15, 20), si aspettano che alla fine dei tempi la morte sarà vinta per tutti. A unire ebrei e cristiani non è solo il dolore, ma anche la speranza. Dobbiamo ricordarlo quando celebreremo la nostra rispettiva festività in questi tempi tormentati dal coronavirus.
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Diversamente dagli altri anni, nel 2020 molte famiglie non potranno stare insieme. Molti edifici di culto saranno chiusi e non si terranno liturgie comuni. Le nostre pratiche, quest’anno, dovranno includere la riflessione sull’impossibilità di stare con la famiglia e gli amici, di abbracciarli, sul dover rimanere a distanza. Migliaia di persone in questo momento stanno piangendo per i loro cari colpiti o uccisi dal virus. In questo tempo difficile, cerchiamo di essere rinfrancati dai messaggi di speranza che Pesach e Pasqua offrono, nei loro modi diversi, ma risonanti, a ebrei e cristiani.
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Rabbi Akiva, il più grande tra i saggi talmudici, dinanzi a ogni sventura diceva: tutto ciò che fa il Misericordioso è a fin di bene (b. Berachot 60b). La sventura non deve sconfiggerci. Anche nella calamità dobbiamo compiere azioni positive e non permettere di lasciarci sopraffare.
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«Sia su di noi la bontà del Signore, nostro Dio: rafforza per noi l’opera delle nostre mani» (Salmi 90, 17) mentre quest’anno celebriamo Pesach e Pasqua.