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Rinunciamo per ora alla confessione, chiediamo nel cuore il perdono di Dio

KONFESJONAŁ

Grant Whitty/Unsplash | CC0

Toscana Oggi - pubblicato il 06/04/20

Ognuno di noi può chiedere il perdono di Dio nel proprio cuore, se non c’è la possibilità di confessarsi, con il proposito di farlo appena possibile. Una norma del Catechismo a cui la Chiesa ci invita a fare riferimento in questi giorni di pandemia.

Il Papa ha ricordato, qualche giorno fa, che ognuno di noi può chiedere il perdono di Dio nel proprio cuore, se non c’è la possibilità di confessarsi. Ho letto anche che la penitenzieria apostolica ha concesso la possibilità di assoluzioni collettive. Volevo chiedere se sono indicazioni e norme che riguardano solo chi è in ospedale, o in quarantena, o se in questo periodo è consigliabile per tutti attenersi a questa indicazione, anche per non mettere a rischio la salute dei nostri preti. In questo caso, quali sono i passi che ognuno può fare per sentirsi, in coscienza, riconciliati con Dio?
Lettera firmata

Risponde don Gianni Cioli, docente di Teologia morale
Il lettore si riferisce alle parole pronunciate nell’omelia del 20 marzo scorso da papa Francesco che si è evidentemente ricollegato alla Nota della Penitenzieria Apostolica circa il Sacramento della Riconciliazione nell’attuale situazione di pandemia datata 19 marzo 2020. Ecco cosa dice la nota a proposito della possibilità di chiedere il perdono di Dio nel proprio cuore, se non c’è la possibilità di confessarsi: «Laddove i singoli fedeli si trovassero nella dolorosa impossibilità di ricevere l’assoluzione sacramentale, si ricorda che la contrizione perfetta, proveniente dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, espressa da una sincera richiesta di perdono (quella che al momento il penitente è in grado di esprimere) e accompagnata dal votum confessionis, vale a dire dalla ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale, ottiene il perdono dei peccati, anche mortali (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1452)».

L’omelia del papa chiarisce che le indicazioni della nota si possono applicare non solo a chi è all’ospedale e in quarantena ma anche a chi rimane a casa in ottemperanza alle indicazioni dei decreti governativi che limitano gli spostamenti delle persone per arginare il contagio: «Io so che tanti di voi, per Pasqua – ha detto il Papa – andate a fare la confessione per ritrovarvi con Dio. Ma, tanti mi diranno oggi: “Ma, padre, dove posso trovare un sacerdote, un confessore, perché non si può uscire da casa? E io voglio fare la pace con il Signore, io voglio che Lui mi abbracci, che il mio papà mi abbracci… Come posso fare se non trovo sacerdoti?” Tu fai quello che dice il Catechismo».
«È molto chiaro: se tu non trovi un sacerdote per confessarti – ha spiegato il Pontefice – parla con Dio, è tuo Padre, e digli la verità: “Signore ho combinato questo, questo, questo… Scusami”, e chiedigli perdono con tutto il cuore, con l’Atto di Dolore e promettigli: “Dopo mi confesserò, ma perdonami adesso”. E subito, tornerai alla grazia di Dio. Tu stesso puoi avvicinarti, come ci insegna il Catechismo, al perdono di Dio senza avere alla mano un sacerdote. Pensate voi: è il momento!  E questo è il momento giusto, il momento opportuno. Un Atto di Dolore ben fatto, e così la nostra anima diventerà bianca come la neve».

Se leggiamo fra le righe si comprende che l’impossibilità di trovare un prete a cui si riferisce il Papa non è affatto dovuta a una mancanza di disponibilità da parte dei preti, ma al fatto che «non si può uscire di casa», non si può – è questa l’interpretazione che suggerisco – nel senso che non si deve. Non si deve in ragione della carità cristiana, ovvero dell’amore che dobbiamo al nostro prossimo. In questo momento, in effetti, non mi sembra proprio opportuno uscire di casa per la confessione (né tantomeno – detto per inciso – per chiedere di fare la comunione al di fuori della Messa) perché questo potrebbe effettivamente favorire il contagio. E, se vogliamo amare il nostro prossimo, almeno come noi stessi, non possiamo in nessun modo tollerare di poter facilitare la diffusione della pandemia. Ci hanno spiegato che stando di più a casa si può fare la differenza. Dunque rimandiamo la confessione – si spera al prima possibile – e valorizziamo la forza del desiderio dell’incontro con Dio, per incontralo con più amore. Forse quest’attesa potrà farci capire meglio il valore dell’incontro sacramentale (che talora abbiamo smarrito o comunque banalizzato) e anche, magari, aiutarci a capire la sofferenza di quei cristiani che, in certe parti del mondo, solo rarissimamente possono incontrare un prete.

Nel frattempo, come ci spiega la Nota del 19 marzo, è possibile ottenere il perdono anche dei peccati mortali, con l’atto di contrizione perfetta, cioè con un dolore davvero autentico per il proprio peccato, insieme alla riprovazione sincera per il male commesso, al proposito di non peccare più in avvenire e alla ferma risoluzione di ricorrere, non appena possibile, alla confessione sacramentale. Certo, la contrizione per essere perfetta deve provenire, come spiega il Catechismo della Chiesa cattolica, dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa. Ma questa sfida a prendere sul serio il comandamento più importante (Marco 12,28-31) non potrebbe forse anche aiutarci a stanare e a vincere la nostra ipocrisia spirituale, mettendoci davanti a quello che conta davvero?

Certo la nota, che si rivolge alla Chiesa universale non esclude ovviamente che, se vi sono le debite condizioni di sicurezza, il sacramento possa essere celebrato individualmente anche in tempo di pandemia e precisa che «nella presente emergenza pandemica, spetta pertanto al vescovo diocesano indicare a sacerdoti e penitenti le prudenti attenzioni da adottare nella celebrazione individuale della riconciliazione sacramentale, quali la celebrazione in luogo areato esterno al confessionale, l’adozione di una distanza conveniente, il ricorso a mascherine protettive, ferma restando l’assoluta attenzione alla salvaguardia del sigillo sacramentale e alla necessaria discrezione». Ma ribadisco la convinzione che, nell’attuale contingenza italiana (che sta diventando contingenza mondiale), sia un atto di carità e anche di doverosa giustizia, da parte del fedele, rimandare la confessione, per arginare il contagio, cercando nel frattempo d’interrogarsi sulla qualità del proprio amore nei confronti Dio per una contrizione che porti a una vera conversione del cuore.

Riguardo invece all’assoluzione generale si precisa che «spetta sempre al vescovo diocesano determinare, nel territorio della propria circoscrizione ecclesiastica e relativamente al livello di contagio pandemico, i casi di grave necessità nei quali sia lecito impartire l’assoluzione collettiva: ad esempio all’ingresso dei reparti ospedalieri, ove si trovino ricoverati i fedeli contagiati in pericolo di morte, adoperando nei limiti del possibile e con le opportune precauzioni i mezzi di amplificazione della voce, perché l’assoluzione sia udita».

Qui l’articolo tratto da Toscana Oggi

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