Di fronte alla gravità dell’epidemia in corso le parole d’ordine sono due: responsabilità ed adattamento.Con il nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 marzo, che ha esteso a tutto il Paese le indicazioni di quello del giorno precedente rivolte alla “zona rossa”, abbiamo preso tutti consapevolezza della gravità della situazione epidemiologica che stiamo attraversando. Sintetizzando al massimo, le parole d’ordine sono due: responsabilità ed adattamento.
Responsabilità
Per quanto riguarda la prima, siamo chiamati a renderci conto che i comportamenti individuali non ricadono soltanto su chi li mette in atto, ma inevitabilmente si ripercuotono sugli altri, ed in particolare sul nostro prossimo, le persone più vicine a noi con cui veniamo fisicamente a contatto: in primis familiari, amici e colleghi. E tra questi sono le persone più vulnerabili, per motivi anagrafici o preesistenti condizioni di malattia, a rischiare maggiormente, ma questo non vuol dire che i più giovani siano in assoluto al riparo dalle complicanze più gravi dell’infezione da Covid-19. Come per la comune influenza stagionale anche loro possono contrarre la polmonite e morire per insufficienza respiratoria nonostante le cure migliori.
Adattamento
L’uomo è l’essere vivente che nella storia del pianeta è andato incontro ai più grandi cambiamenti nell’ambiente naturale e dell’organizzazione sociale, dimostrando quelle straordinarie capacità di adattamento che ne hanno permesso la sopravvivenza e l’espansione numerica attuale. Quando si usa il termine adattamento, di fatto indichiamo la possibilità e contemporaneamente la necessità per un singolo, un gruppo o una popolazione di ritrovare attivamente un equilibrio di fronte ad eventi fortemente stressanti o addirittura traumatici che, diversamente, potrebbero risultare gravemente distruttivi. Per adattarsi a circostanze avverse, e tanto più negative esse siano, siamo chiamati a sviluppare la nostra resilienza, capacità che non è appannaggio di pochi individui straordinari ma di tutti noi, anche se in misura differenziata e da ciascuno potenziabile.
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La psicologia ci ha insegnato tutto questo, come ci ricorda un articolo di Elettra Pezzica su Psicologia contemporanea, a partire dal 1973 quando Norman Garmezy, studiando le origini della schizofrenia, osservò che, contrariamente alle previsioni, una buona percentuale di figli di pazienti affetti da questa gravissima patologia psichiatrica non presentavano alcun disagio mentale, ma anzi sviluppavano normalmente le loro abilità intellettive e sociali, apparendo perfino irrobustiti dalla loro condizione oggettivamente svantaggiata. Anche studi successivi effettuati da Emmy Werner su bambini di un’isola delle Hawai ad alto rischio (per povertà, deprivazione affettiva e patologie psichiche dei genitori) sono giunti ad analoghe conclusioni. (Ibidem)
Cosa ci dice tutto questo ai tempi bui del Coronavirus?
Che prima di tutto, per essere resilienti, non dobbiamo rassegnarci alla passività sentendoci in balia del destino: #iorestoacasa non vuol dire vegetare in attesa della catastrofe o, viceversa, della “resurrezione”. Dobbiamo renderci conto di poter esercitare una certa quantità di controllo su questa situazione mobilitando risorse e strategie utili: come abbiamo visto lavorando da casa quando questo è possibile, mantenendoci fisicamente attivi seguendo le indicazioni e i corsi on-line dei nostri istruttori di fitness, continuando a curare i contatti sociali grazie alle opportunità tecnologiche attuali, coltivando il nostro bisogno e desiderio di spiritualità partecipando alle tante iniziative che sono state attivate sui social, prendendo parte allo sforzo collettivo dando concretezza alla nostra solidarietà, ciascuno per quello che può, con contributi economici per le necessità del nostro sistema sanitario. Poniamoci di fronte al pericolo che stiamo effettivamente correndo non solo come una grave minaccia, ma anche come una sfida impegnativa che abbiamo la capacità tutti assieme di vincere, e quando superata ci avrà dato la possibilità di crescere a livello personale e di comunità, recuperando essenziali valori oggi trascurati o addirittura dimenticati. Reagiamo contro la tentazione del catastrofismo e del disfattismo, con cui abdichiamo alle nostre responsabilità rinunciando ad attivare le nostre risorse, più o meno grandi che siano, ma che esistono, ed apprezziamo ed incoraggiamo quanti di noi stanno effettuando il massimo sforzo per aiutare gli altri, nel mondo della sanità e non solo.
Essere resilienti vuol dire coltivare concretamente la speranza e la fiducia!
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