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La Williams ai Golden Globes: incinta ringrazia per il diritto all’aborto

MICHELLE WILLIAMS

Michelle Williams - Fosse/Verdon | Golden Globes 2020 Full Backstage Interview

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Paola Belletti - pubblicato il 07/01/20
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Che sogni inseguono le donne se per quelli ritengono giusto sacrificare i propri figli? Non siamo piuttosto braccate da angosciosi incubi? Il per nulla potente, nè nuovo, nè inspiring, nè coraggioso discorso dell’attrice di Fosse e Verdon alla cerimonia di premiazione del 6 gennaio.Potente, inspiring, iconico, impressive. E femminista, naturalmente.

Così viene etichettato nei titoli dei nostri giornali lo speech di Michelle Williams alla cerimonia di premiazione per i Golden Globes 2020. Il merito? Aver “riportato l’attenzione” su un tema cruciale. Lei è la biondina di Dawson Creek, quella ragazza arrivata dalla grande città a turbare gli equilibri ormonali di un gruppetto di adolescenti in una piccola cittadina di provincia, per intendersi.


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Almeno così me la sono ricordata io: per questa serie TV anni ’90 per la quale mia figlia nutre una insolita simpatia. La sua carriera ha a dire il vero preso il largo da tempo da quel remoto approdo; non è colpa sua se non la associo alla serie per cui ha già vinto anche gli Emmy, Fosse/Verdon, ma mia e della mia ridottissima familiarità con le maratone Netflix, Sky, Amazon Prime e simili.

E di cosa avrà mai parlato questa donna, visibilmente incinta, dai modi pure piuttosto schivi, che suscita almeno in me tanta tenerezza per il suo stato interessante e per lo stress che di sicuro avrà vissuto prima, durante e dopo la serata? Per che cosa avrà vinto la propria timidezza, in nome di quale ideale da promuovere o ignorata minoranza da difendere, avrà dato fiato alle proprie corde vocali?

Le donne e i loro diritti. Di nuovo. Come si fa, verrebbe da chiedersi, a riportare l’attenzione su qualcosa che stiamo ininterrottamente ascoltando e leggendo da ogni fonte mediatica, almeno raccontata in questo modo (e non per esempio denunciando la vera discriminazione su base sessuale che subiscono milioni di bambine condannate a non nascere o a morire subito dopo la nascita in India, Pakistan, Cina)?


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Questa faccia tosta del main stream non smette di stupire: come si può definire coraggiosa una voce del tutto indistinguibile dal coro planetario che canta da anni lo stesso spartito imposto, senza nemmeno azzardare un nuovo arrangiamento?

Ecco un passaggio saliente del discorso pronunciato dalla ex Jen di Dawson’s Creek, la scultura dorata stretta nelle mani, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio scorso:

Sono grata per il riconoscimento avuto grazie alle scelte che ho fatto. E sono anche grata di vivere in un momento per la nostra società, in cui esiste la possibilità di scelta.

Perché come donne e ragazze, possono accadere al nostro corpo cose che non abbiamo scelto. Ho fatto del mio meglio per vivere la mia vita, che non è solo una serie di eventi che mi accadono, se mi guardo indietro posso vedere il segno della mia calligrafia dappertutto, disordinata e scarabocchiata, e in altri momenti attenta e precisa. Ma tutto scritto di mio pugno. Non sarei stata in grado di farlo senza la consapevolezza del mio diritto di donna, di scegliere quando e con chi avere un figlio. Quindi, donne dai 18 ai 118 anni, quando è il momento di votare, per favore, fatelo nel vostro interesse personale. È quello che gli uomini fanno da anni, motivo per cui il mondo assomiglia molto a loro, ma non dimenticate che siamo il più grande organo di voto in questo paese.

Che strano. Di solito per indicare l’aborto si usano brevi sigle, sfuggenti acronimi. Qua lunghe perifrasi per ricordare al mondo che la donna è libera di togliere un figlio concepito (non voluto, o semplicemente non programmato o non abbastanza intensamente desiderato) per poter continuare a scrivere la propria vita sulle pagine della storia.

Che strano, di nuovo. Tutto ciò che ha fatto, detto, ottenuto, tutto è farina del suo sacco, copyright blindato, niente copiaincolla, penna stretta in mano. Tutto eccetto ciò che “a volte può accadere al nostro corpo” di donne.

Detta così, ora che sappiamo anche per vie traverse, avendo resa quasi inaccessibile quella dell’esperienza semplice, sintetica e diretta che ci verrebbe dalla vita vissuta, ora che lo sappiamo per la via ritenuta indebitamente maestra, “la Scienza”, che il corpo non è una cosa separata dalla mente, nè dallo spirito; che non è nemmeno una cosa, ebbene continuiamo a trattare noi stesse così?


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Le donne si stimano davvero così poco da ritenere di poter disporre della propaggine fisica che le circonda – ma al centro, cosa c’è? Chi c’è?- come si fa di un abito o un oggetto?

Peccato, davvero pochissimo empowerment in questo approccio. Pochissima difesa della vera libertà della donna (o meglio la sua totale negazione, paradossale e grottesca). Se infatti questa attrice già madre di altri due figli, uno dei quali soppresso prima della nascita, riesce a dirsi felice solo per il fatto di aver potuto abortire per proseguire con la propria carriera, allora conferma nel peggiore dei modi quel mondo maschilista o semplicemente maschile che non manca di disprezzare. Siamo nella solita canzone, e il ritornello, si sa, ce lo attendiamo. Il maschio è cattivo, il patriarcato è duro a morire, la donna deve continuare a ribellarsi. Sicure, signore e signorine MeToo, di non aver sbagliato armi, campo di battaglia e terre da conquistare?

La notizia mi è giunta per prima attraverso il tweet di Lila Rose, la coraggiosa prolife americana, che osservava con mirabile sintesi proprio lo stridente contrasto tra le forme arrotondate di una gravidanza ben avviata dell’attrice e il motivo di tanta inopportuna gratitudine.

Sacrificare i propri figli per perseguire i propri sogni è la totale antitesi della vera liberazione della donna. 

 

Michelle Williams, while visibly pregnant, claims she wouldn’t have won her Award if she didn’t kill her previous child.

No trophy is worth more than a child’s life.

Sacrificing our children to pursue our dreams is the total antithesis of women’s empowerment.

 

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Quali terribili sogni inseguiamo per immolare con le nostre stesse mani i nostri figli in modo da poterli raggiungere? Non siamo forse inseguite noi donne, piuttosto, da incubi angosciosi se come strategia di fuga ci risolviamo a liberarci di questi dolcissimi pesi?

 

 

A giugno 2020 è nato il bambino

Il 17 giugno su US Weekly è comparso l’annuncio festoso della nascita del secondo figlio di Michelle Williams. Si tratta di quel bimbo, ancora non si sa se è maschio o femmina (nè se i genitori prenderanno in considerazione altre opzioni inesistenti ma tanto di moda nel jet set), che era sul palco con lei a gennaio mentre riceveva il meritato, pare, Golden Globe per la sua interpretazione in Fosse/Verdon; e probabilmente ascoltava più incredulo di noi il discorso delle madre sull’importanza dell’aborto, sulla necessità di renderlo più accessibile, libero, esteso nella sua pratica.

E’ stato il discorso nel quale ha ringraziato per aver potuto abortire e lo ha fatto, diceva, per non ostacolare la propria carriera.

Allora credo che saremo tra i pochi, tra le testate che ne danno notizia, a fare i conti giusti e a indicare il piccolo nuovo nato, del tutto innocente rispetto alle scelte della madre, con l’ordine giusto. Si tratta del terzo figlio, non del secondo. La prima figlia, Matilda, ha 15 anni appena compiuti, ed è nata poco prima che il padre, l’attore australiano Heath Ledger, morisse tragicamente.

Sono moralmente certa che lei, come ogni madre anche la più scriteriata, lo sappia e che con tutta probabilità ci pensi spesso; tante donne sanno cosa significhi perdere un figlio prima che nasca, e anche quelle che lo fanno sopprimere volontariamente ne soffrono.

Nonostante la nostra società continui a ripetere con toni sempre più alti che non si tratta di un essere umano, un embrione continuerà ad essere ciò che è. Poiché un piccolo di uomo è un uomo piccolo, nè più nè meno. Così diceva il grande Jerome Lejeune e lo dimostrava con la ricerca genetica che da lui ha preso avvio; ma nel secolo che idolatra la scienza questo gli è costato l’esclusione e lo stigma all’interno della stessa comunità scientifica a cui aveva dato lustro. Ne ha patito, senza soccombervi, e ha continuato a servire la verità, come padre, come marito, come credente e soprattutto come medico. In questa sua umanità tanto profonda ha provato pietà per le madri che abortivano e ora che è dove tutto è manifesto ne proverà ancora di più.