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E’ femmina? Fiocco rosso sangue: la strage di bambine in India, prima e dopo la nascita

GIRL

Meena Kadri-(CC BY-NC-ND 2.0)

Paola Belletti - pubblicato il 24/05/18

Un fenomeno dalle dimensioni enormi e per il quale ha senso usare una parola come femminicidio. 239 mila bambine fatte morire in India ogni anno, solo negli ultimi dieci

Secondo un corposo studio pubblicato su The Lancet, citato ieri su Avveniregrazie al lavoro della ricercatrice indiana Nandita Saikia, presso l’International Institute for Applied Systems Analysis, nel vastissimo territorio indiano ogni anno sono fatte morire per maltrattamenti, malnutrizione e privazione di cure 239mila bambine al di sotto dei cinque anni. Le bambine sono future donne e come tali costano alle famiglie ingenti risorse a causa soprattutto del fardello della dote. «Crescere una femmina è come innaffiare la pianta del vicino», recita un famoso proverbio indiano.

Le famiglie le sopprimono prima della nascita, quando possibile, o poco dopo: soffocandole con un asciugamano bagnato o avvelenando il latte con erbe tossiche. L’aborto selettivo è realizzato con un mix letale, è il caso di dirlo, tra mezzi tecnologici low cost e retaggi culturali. A servizio di una cultura che vuole liberarsi delle figlie, soprattutto dalla terza in poi, la quarta pare sia motivo di sventura e disonore insopportabile, ci sono anche medici che praticano l’aborto o lo motivano con diagnosi false (vedi su La Stampa del 12 marzo 2018).




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Infanticidio e aborto sono due tattiche della stessa strategia. Dove è sanzionato e controllato efficacemente l’uno ecco che riemerge l’altro. Ora per legge è vietato comunicare il sesso del nascituro ai genitori  ma si trovano medici conniventi che per pochi soldi fanno arrivare l’informazione; e nei villaggi dove ancora non arriva l’acqua potabile è facilmente a disposizione uno scanner ecografico per scoprire se il feto in gestazione può restare un nascituro o è da considerare moritura.

Le radici di questo rifiuto sistematico sono antiche e profonde; è un tragico costume diffuso in tutto il paese ma con maggiore incidenza negli

Stati del Nord, che registrano i due terzi dei casi nazionali, con addirittura aree come il Rajasthan occidentale e il Bihar settentrionale dove questa tipologia di morti raggiunge e supera il 30 per cento dei decessi complessivi per le bambine nei primi cinque anni di vita. (Avvenire)

Secondo il direttore di Terres des hommes Core sono da collegarsi

anche ad un fattore storico: è di queste zone, infatti, l’influenza dei guerrieri Vanniyar del primo secolo dopo Cristo. «Mandati in prima linea a combattere, morivano in gran numero, creando una disparità fra maschi e femmine: è in quel periodo che comincia l’usanza di uccidere le neonate», spiega. Alla storia si intrecciano la religione e la cultura patriarcale, che hanno tramandato fino ai giorni nostri la terribile consuetudine dell’infanticidio delle bambine (La Stampa).

Le associazioni impegnate da anni a difesa della bambine sono diverse, ma il lavoro da fare è immane. Non basta evitare che siano abortite o uccise nei primi anni; occorre vigilare perché siano fatte crescere in condizioni adeguate e rispettose. Molte bimbe scampate alla morte hanno intrapreso gli studi e intendono essere paladine a difese delle loro figlie, nipoti, sorelle.

Se nelle nostre società l’uso a tratti isterico e spesso strumentalizzato del termine femminicidio (il programma ancora me lo segna come errore ortografico, non è allineato!) appare al servizio dell’ideologia corrente, in India e in altre zone dell’Asia ha invece tutte le ragioni per essere pronunciato, urlato, imposto all’opinione pubblica. Per quelle femmine piccole, piccolissime, prossime alla nascita o nate da poco avrebbe senso una colossale levata di scudi. Twitter dovrebbe friggere di hashtag e le campagne di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, proprio quelle donne lì, tra le più indifese, dovrebbero reclutare tra le star più di una madrina.




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In un libro uscito nel 2011 per i tipi Mondadori a firma di Anna Meldolesi,  Mai nate. Perché il mondo ha perso 100 milioni di donne i conti sono amarissimi. E confermano una ovvietà: la prima causa di morte al mondo per le donne è l’aborto, se sono concepite, e l’infanticidio se hanno già avuto l’ardire di nascere.

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