Una notizia rumorosa e dai tratti canonistici rilevanti, quella di padre Robert E. Morey che nega pubblicamente la comunione al frontman dei Democratici alle Primarie USA. Torna in mente il caso Kerry, ma pure Ambrogio e il non expedit. E restano alcune domande.
Domenica è stata pubblicamente negata la comunione a Joe Biden, già vice-presidente degli Stati Uniti (amministrazione Obama) e attuale frontman dei Dem in vista delle Primarie per le Presidenziali 2020. La ragione del rifiuto sta in alcune posizioni del politico, in particolare quelle di aperto sostegno alle istanze abortiste. A prendere la difficile e forte decisione è stato il parroco della chiesa di Saint Anthony in Florence (South Carolina), Robert E. Morey, come ha riportato il quotidiano locale South Carolina Morning News. Alla testata il sacerdote ha dichiarato:
Purtroppo, questa domenica ho dovuto rifiutare la Santa Comunione all’ex Vice-Presidente Joe Biden: la Santa Comunione significa che siamo una sola cosa con Dio, con gli altri e con la Chiesa. Le nostre azioni dovrebbero riflettere questa realtà. Ogni figura pubblica che lavora per l’aborto si pone fuori dall’insegnamento della Chiesa. Terrò Mr. Biden nelle mie preghiere.
Comprendere il “caso Biden”
Parole forti e non insensate, queste di padre Morey, ma per collocarle meglio nello scenario politico-culturale dobbiamo sapere che Biden non si è caratterizzato, nel suo ormai lunghissimo corso politico, per un “abortismo entusiastico” e ideologico (alla Hillary Clinton, per capirci), mantenendosi invece nei ranghi dell’ala piú conservatrice del Partito Democratico. In sostanza quell’ala che pretende di tutelare il “diritto all’aborto” soprattutto per problematiche sociali o di salute, ma senza farne un vessillo di propaganda [a scanso di equivoci chi scrive sottolinea che una tale posizione non gli pare personalmente accettabile, in quanto non conforme alla dignità del concepito e della stessa madre]. Il fatto, comunque, è che all’inizio dell’estate appena trascorsa Biden ha preso posizione contro lo Hyde Amendement (fino a quel momento da egli stesso sostenuto!), volto a tagliare i fondi federali per le ditte abortiste. Dunque il politico aveva sostenuto un’istanza volta ad arginare l’aborto, e dopo poco piú di un mese dall’annuncio ufficiale della candidatura alle Primarie (25 aprile 2019), all’improvviso, è tornato sui suoi passi:
Non chiedo scusa per l’ultima posizione che ho sostenuto e non chiedo scusa per quanto sto per dire…
Cosí è cominciato il 6 giugno ad Atalanta il passaggio del suo discorso in cui Biden faceva dietrofront. Fin troppo facile sospettare che il partito abbia esercitato su di lui una qualche pressione, e del resto la candidatura di questo 77enne in un agone politico sempre piú marcato da volti giovani e stile aggressivo resta difficilmente comprensibile: il consenso popolare di Donald Trump è dato in ostinata tenuta, anzi in sensibile crescita, malgrado il fuoco dispiegato da tutto il media mainstream (checché ne dicano Ellen DeGeneres e Meryl Streep, il Pil oscilla tra il 2 e il 3% di attivo, sfiorato dal tasso di disoccupazione, che però va al ribasso…). Insomma, non si capisce se i Dem vogliano consegnare a Trump gli States per un rinnovo di mandato che vedono inevitabile… o se sotto sotto anche i loro interessi prosperano sotto la governance del Tycoon.
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Se la “cura Trump” sta innegabilmente facendo bene all’economia interna (ma tanto protezionismo crea inevitabilmente scompensi sul libero mercato…), il “fronte etico” non risulta meno curato: ben sapendo che l’industria dell’aborto non produce alcuna ricchezza sociale (a parte gli affarucci privati di pochi club affiliati ai Liberals), Trump ha tagliato nel corso della sua amministrazione 260 milioni di dollari a 876 cliniche abortiste, molte delle quali targate Planned Parenthood (sí, quelle che molte prove accusano di vendere organi e membra dei bambini abortiti). Questo gli costa l’odio feroce e l’isterismo acuto di molti circoli di femministe: pulviscolo elettorale a fronte del core target, cioè l’elettorato della deep America a cui del belmondo sopra al soffitto di cristallo non interessa affatto e che decide chi votare a tavolino e con la calcolatrice che rendiconta il bilancio domestico.
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Sentimentale e puritano, protestante in buona parte ma non piú espressione esclusiva del “WASP”, questo mondo ama che i soldati tornino finalmente in patria (altro punto dell’amministrazione Trump), come ama che ci sia lavoro e come rigetta istintivamente l’aborto (specie se elevato a vessillo ideologico): comprensibile che i Dem, nella loro ambizione a curare gli interessi progressisti e mondialisti delle popolazioni costiere, abbiano chiesto a Biden un passo che fungesse da garanzia di lealtà nei confronti del partito, ma è appunto in questo contesto socio-politico che va inquadrato anche la decisione di padre Morey.
Il precedente di Kerry
Il tutto ricorda la famosa “controversia della comunione di Kerry”, che nella primavera del 2004 infiammò gli States: l’arcivescovo di Boston (che da neanche un anno era Sean Patrick O’Malley, quello stesso che nel 2013 avrebbe disertato un incontro pubblico in polemica antiabortista con Enda Kenny) aveva emesso un anodino altolà ai politici cattolici che avessero tentato di accreditarsi all’elettorato cattolico pur sostenendo posizioni abortiste. All’epoca mons. Burke esplicitò ulteriormente i termini dell’interdetto e inasprí lo scontro, ma di fatto la cosa restò a livello di discussione scolastica, perché John Kerry non si presentò a ricevere la comunione e nessun prete glie la negò (almeno per quanto concerne il dominio pubblico).
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Quel che è accaduto domenica a Florence pone anzitutto un tema canonico, inedito nella versione precedente proprio perché lí presero voce due vescovi (cui si possono aggiungere i casi di Eamond Martin e di Kevin Doran in Irlanda) e qui un prete: proprio in quanto è vero ciò che ha detto padre Morey, viene da chiedersi se un prete possa assumere su di sé una decisione che privando della comunione eucaristica un fedele evoca l’antica pratica dell’ex-communicatio, prerogativa episcopale. Spieghiamoci: chiaramente un prete che fosse consapevole di una censura canonica pendente su un fedele, e che fosse moralmente certo del fatto che lo stesso non si sia opportunamente ravveduto, avrebbe il dovere di richiamare il fedele e di non ammetterlo a una comunione che sarebbe evidentemente sacrilega (ove poi concorresse anche il rischio di grave scandalo di fedeli, avrebbe facoltà di procedere anche a un atto pubblico); il punto è che la legge canonica non prevede, a norma dei canoni vigenti, una simile pena per il politico abortista (mentre la prevede per il medico che pratica materialmente gli aborti, per chi vi collabora e per chi li consiglia, effecto secuto, cioè ove sia effettivamente avvenuto almeno un ben preciso aborto). Dunque il vescovo che interpretasse in modo estensivo il canone cosí da comprendervi la collaborazione morale e remota porrebbe un atto giurisprudenzialmente importante e discutibile, ma legittimo; che lo stesso atto sia compiuto da un prete è assai meno ovvio.
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Questo non vuol dire che quello dell’aborto non sia un dramma atroce e che non si debba cercare di correre quanto prima ai ripari (anche “adesso” è già tardi), ma considerando la cosa sul piano canonico sussistono ragioni di incertezza, che portarono il gesuita David Hollenbach, all’epoca, a precisare:
La posizione della Chiesa da sempre è che non esiste un singolo argomento che dovrebbe farti votare un candidato. È molto difficile dire che sussista un tale singolo e determinante argomento: le dichiarazioni dei vescovi rilasciate ripetutamente in occasione degli appuntamenti elettorali indicano che bisogna considerare l’intera gamma di questioni con rilevanza morale, e non una sola.
E David Paul Kuhn illustrava, contestualmente, il paradosso per cui Kerry ammetteva l’aborto ma lamentava la necessità di riformare la pena capitale, laddove George W. Bush al contrario avrebbe auspicato un rovesciamento di Roe Vs. Wade ma fu uno strenuo sostenitore della sedia elettrica:
Il conflitto riguarda il fatto che i temi centrali delle morali religiose non si adattano alle linee politiche di un partito. Se l’aborto fosse l’elemento di una tale cartina al tornasole, allora dovrebbero esserlo anche altri temi di sostanza equivalente per la Chiesa, come la sua veemente opposizione alla pena capitale.
Questo veniva scritto solo 10 anni dopo la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che dunque all’epoca ancora ammetteva (sia pure solo in linea teorica) la liceità morale del ricorso alla pena capitale: interessante notare come il sentiment cattolico registrato dal capo-servizio politico di CBSNews fosse comunque quello di una “vehement opposition” dell’episcopato alla pena di morte.
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Ciò detto, bisogna senz’altro sottolineare il curioso strabismo di alcuni sfegatati sostenitori delle politiche trumpiane, anche in Italia, che lodano senza ulteriori distinguo la zelante iniziativa di padre Morey ma non ammettono che, se si esportasse una tanto severa norma pastorale, si dovrebbe togliere la comunione anche ai loro politici di riferimento. A parte questo, resta il punto che attualmente il Codice di Diritto Canonico non prevede espressamente per i politici cattolici l’obbligo di aderenza a tutti e singoli i temi del proprio magistero morale. Resta emblematico in tal senso il punto 90 della Evangelium vitæ di Giovanni Paolo II:
Il realismo tenace della carità esige che il Vangelo della vita sia servito anche mediante forme di animazione sociale e di impegno politico, difendendo e proponendo il valore della vita nelle nostre società sempre più complesse e pluraliste. Singoli, famiglie, gruppi, realtà associative hanno, sia pure a titolo e in modi diversi, una responsabilità nell’animazione sociale e nell’elaborazione di progetti culturali, economici, politici e legislativi che, nel rispetto di tutti e secondo la logica della convivenza democratica, contribuiscano a edificare una società nella quale la dignità di ogni persona sia riconosciuta e tutelata, e la vita di tutti sia difesa e promossa.
Tale compito grava in particolare sui responsabili della cosa pubblica. Chiamati a servire l’uomo e il bene comune, hanno il dovere di compiere scelte coraggiose a favore della vita, innanzitutto nell’ambito delle disposizioni legislative. In un regime democratico, ove le leggi e le decisioni si formano sulla base del consenso di molti, può attenuarsi nella coscienza dei singoli che sono investiti di autorità il senso della responsabilità personale. Ma a questa nessuno può mai abdicare, soprattutto quando ha un mandato legislativo o decisionale, che lo chiama a rispondere a Dio, alla propria coscienza e all’intera società di scelte eventualmente contrarie al vero bene comune. Se le leggi non sono l’unico strumento per difendere la vita umana, esse però svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume. Ripeto ancora una volta che una norma che viola il diritto naturale alla vita di un innocente è ingiusta e, come tale, non può avere valore di legge. Per questo rinnovo con forza il mio appello a tutti i politici perché non promulghino leggi che, misconoscendo la dignità della persona, minano alla radice la stessa convivenza civile.
La Chiesa sa che, nel contesto di democrazie pluraliste, per la presenza di forti correnti culturali di diversa impostazione, è difficile attuare un’efficace difesa legale della vita. Mossa tuttavia dalla certezza che la verità morale non può non avere un’eco nell’intimo di ogni coscienza, essa incoraggia i politici, cominciando da quelli cristiani, a non rassegnarsi e a compiere quelle scelte che, tenendo conto delle possibilità concrete, portino a ristabilire un ordine giusto nell’affermazione e promozione del valore della vita. In questa prospettiva, occorre rilevare che non basta eliminare le leggi inique. Si dovranno rimuovere le cause che favoriscono gli attentati alla vita, soprattutto assicurando il dovuto sostegno alla famiglia e alla maternità: la politica familiare deve essere perno e motore di tutte le politiche sociali. Pertanto, occorre avviare iniziative sociali e legislative capaci di garantire condizioni di autentica libertà nella scelta in ordine alla paternità e alla maternità; inoltre è necessario reimpostare le politiche lavorative, urbanistiche, abitative e dei servizi, perché si possano conciliare tra loro i tempi del lavoro e quelli della famiglia e diventi effettivamente possibile la cura dei bambini e degli anziani.
“Requisiti minimi di votabilità”: uno strumento possibile (e auspicabile)?
Qualcuno potrà invocare per questo caso la “clausola Benedicti”, intendendo con ciò lo scritto che proprio nel giugno 2004 Papa Ratzinger redasse pensando ai casi statunitensi. Ne ricordiamo appena gli stralci salienti:
Non tutte le questioni morali hanno lo stesso peso morale dell’aborto e dell’eutanasia. Per esempio, se un cattolico fosse in disaccordo col Santo Padre sull’applicazione della pena capitale o sulla decisione di fare una guerra, egli non sarebbe da considerarsi per questa ragione indegno di presentarsi a ricevere la santa comunione. Mentre la Chiesa esorta le autorità civili a perseguire la pace, non la guerra, e ad esercitare discrezione e misericordia nell’applicare una pena a criminali, può tuttavia essere consentito prendere le armi per respingere un aggressore, o fare ricorso alla pena capitale. Ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici sul fare la guerra e sull’applicare la pena di morte, non però in alcun modo riguardo all’aborto e all’eutanasia.
[…] Riguardo al peccato grave dell’aborto o dell’eutanasia, quando la formale cooperazione di una persona diventa manifesta (da intendersi, nel caso di un politico cattolico, il suo far sistematica campagna e il votare per leggi permissive sull’aborto e l’eutanasia), il suo pastore dovrebbe incontrarlo, istruirlo sull’insegnamento della Chiesa, informarlo che non si deve presentare per la santa comunione fino a che non avrà posto termine all’oggettiva situazione di peccato, e avvertirlo che altrimenti gli sarà negata l’eucaristia.
Qualora “queste misure preventive non avessero avuto il loro effetto o non fossero state possibili”, e la persona in questione, con persistenza ostinata, si presentasse comunque a ricevere la santa eucaristia, “il ministro della santa comunione deve rifiutare di distribuirla” (cf. la dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, “Santa comunione e cattolici divorziati e risposati civilmente”, 2000, nn. 3-4). Questa decisione, propriamente parlando, non è una sanzione o una pena. Né il ministro della santa comunione formula un giudizio sulla colpa soggettiva della persona; piuttosto egli reagisce alla pubblica indegnità di quella persona a ricevere la santa comunione, dovuta a un’oggettiva situazione di peccato. […]
In conclusione, Benedetto XVI ricordava che non solo la posizione abortista del politico rende lo stesso un cooperatore formale all’aborto, ma che pure l’elettore che lo voti coopera formalmente, quantunque in modo remoto. Il punto però è che la Conferenza Episcopale reagí con un documento in cui deliberava che la decisione in materia spettasse al singolo vescovo: Papa Benedetto replicò affermando che lo scritto dei vescovi ben si accordava con lo spirito del suo.
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Dal punto di visto dell’autorevolezza magisteriale, dunque, i vescovi USA reagirono allora a un testo pontificio la cui ricezione fu da principio parziale e limitata. La positiva modifica dell’articolo 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica sembrerebbe introdurre una prospettiva ermeneutica sensibilmente diversa rispetto al testo benedettiano: se anche la pena di morte viene condannata in sé e per sé, e non solo accidentalmente, resta difficile sostenere che unicamente aborto ed eutanasia rientrino in una ristretta cerchia di “delicta graviora” tali da escludere ipso iure dalla comunione. Si potrebbe allora dire che tali delicta graviora sembrerebbero essere quelli che attentano di per sé e strutturalmente all’integrità della persona umana, ma il problema sarebbe lungi dall’essere risolto: che diremmo, infatti, se un cattolico entrasse in politica arruolandosi nel “partito dei pedofili” – è un’iperbole… ma non troppo –, e se quindi rivendicasse un fantomatico diritto dei bambini a vivere forme di genitalità condivisa con degli adulti? Lo si dovrebbe/potrebbe ammettere alla comunione? E se no, quanto ancora si può allargare l’elenco dei “delicta graviora”?
Il Papa polacco, abbiamo ricordato, regnò ancora dieci anni dopo Humanæ vitæ, eppure non immise nell’ordinamento canonico i “requisiti minimi di votabilità” per i candidati politici di fronte ai cattolici. Mi ricordo di quando, nel 390, per motivi politici Teodosio (certo non Trump) indulse alla carneficina di Tessalonica e Ambrogio gli proibí anche solo di entrare in chiesa, lasciandolo in ginocchio nel nartece. Lo stesso Ambrogio difese sé stesso e il popolo dagli armigeri imperiali minacciando la scomunica a chi non avesse deposto immediatamente le armi… Ma erano altri tempi, la scomunica era un’altra cosa, non c’era il Codice di Diritto Canonico… e neppure la democrazia.
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Questa storia che gli uomini decidono da sé come essere votati e da chi ha aperto una ridda di problematiche ulteriori, che la Chiesa in un primo momento aveva anche creduto di poter fuggire (non expedit), ma di fronte alle quali essa sente di dover usare piú gli strumenti della persuasione che quelli dell’imposizione.
Per quanto riguarda il caso di Biden, infine, c’è da ricordare che tutta la già di per sé delicata ragnatela di canoni e dogmi risulta quanto mai confusa e scombinata dalle miserie umane: normalmente, uno si direbbe che di certo il vescovo di Charleston (ordinario del luogo che comprende la parrocchia di St. Anthony in Florence) saprà portare uno sguardo sapiente ed equilibrato sul caso; ma si dà il caso che dalla fine di questa estate il nome di mons. Robert Guglielmone sia stato fatto in merito a casi di presunto abuso sessuale, che avrebbero avuto luogo ad Amityville tra il 1978 e il 1979. Allo stesso modo, nella primavera di questo stesso anno lo stesso Joe Biden – che nel frattempo aveva cavalcato politicamente l’onda del #metoo – era stato accusato di “comportamenti inappropriati” da parte della ex deputata dem Lucy Flores (gli atti risalirebbero al 2014, con Biden già ultrasettantenne).
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Insomma, al netto delle leggi ecclesiastiche e degli intrighi degli uomini – e prima di tutto – resta da chiedersi a chi interessi veramente la comunione con Gesú Cristo.