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Suor Serena: “nulla di quello che avevo chiesto è accaduto, eppure sono pienamente felice”

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©La Croce Quotidiano

La Croce - Quotidiano - pubblicato il 07/08/19

di Rachele Sagramoso

Conosco Suor Serena Munari da qualche tempo. Prima abbiamo frequentato il corso formativo del team Progetto Pioneer a Roma, poi ci siamo incontrate per il corso base della Teen Star. Ci accomunano passioni simili, tra i quali l’amore verso i giovani e l’urgenza di curare la loro sessualità per contrastare, lo dico senza mezzi termini, la bramosia erotica che gli adulti possiedono verso di loro e che viene esercitata attraverso incontri scolastici e alcune attività consultoriali. Io e Suor Serena siamo due mamme: io lo sono biologicamente e fisicamente, lei spiritualmente e mentalmente. Amiamo i nostri ragazzi e vogliamo il bene per loro: desideriamo insegnare loro la cura verso loro stessi, la bellezza della sessualità e speriamo di poter trasmettere a ognuno l’infinito amore che Dio Padre possiede per ogni Sua creatura. Ho deciso d’intervistare Suor Serena perché il suo sorriso è contagioso. No, non è uno scherzo. Lei ride. Ride alla vita. I suoi occhi scintillanti guardano il viso dei suoi giovani e raggiungono il loro cuore. Fu la mia bambina che, quando la vide, disse proprio: “Quella suora mi fa ridere il cuore!”, era fuor di dubbio che io avrei voluto sapere tutto, di lei. Questo è il racconto della sua vita, “impastata e stesa” da Dio.

Vengo da una famiglia bella e molto riservata, quindi non racconterò tantissimo: oltre ai miei genitori che stanno insieme da quando avevano 14 anni, c’è mia sorella, più giovane di 5 anni. A. è sposa da 11 anni e mamma in gamba di 3 bambini splendidi e simpaticissimi (facile da dire per una zia…). I miei hanno un amore grandissimo tra di loro e generoso con tutti, ma non frequentano la Chiesa e mio papà -la persona più retta che io conosca – non è credente. Da piccola sono stata inserita in una parrocchia alle porte di Padova – i miei sono del centro città, ma da giovani sposini si sono/ci siamo trasferiti a Sarmeola. Ho vissuto le attività proposte ai bambini con entusiasmo, la Prima Comunione in particolare è stato un momento molto incisivo. Desideravo che la giornata trascorresse in un determinato modo, tempo atmosferico compreso (no, non sono una che vuole il controllo su tutto…), invece i miei tre desideri sono stati puntualmente disattesi. Ma ad un certo punto, nel pomeriggio, è arrivato questo pensiero: “Nulla di quello che avevo chiesto è accaduto, eppure sono pienamente felice. Forse vivere con Dio vuol dire questo”. Era un pensiero non mio, riconoscevo che non era farina del mio sacco, ma profondamente vero per me, mi corrispondeva del tutto: ero super contenta. Al momento della Cresima, in seconda media, papà mi sfida: “Se Credi, dimostrami la tua fede”!! Un momento di crisi arriva nell’adolescenza, all’inizio delle scuole superiori: la compagnia di amici delle medie si sfalda. E io che mi scervellavo su come fare, poi mi butto. A Sarmeola c’era e c’è ancora l’Opera della Divina Provvidenza di s. Antonio per persone disabili. Sapevo che alcuni ragazzi più grandi prestavano servizio di volontariato. Vado a chiedere. In portineria superavo di poco il bancone, la persona presente mi dice che sono troppo piccola. Ribatto: “Ma io devo dimostrare la mia fede!”, e allora interviene il vescovo emerito, un sant’uomo. Il suo: “Ci penso io” diventa il biglietto d’ingresso in questa Casa enorme di dimensioni e di cuore dai miei 13 ai 22 anni.

La domenica, dopo la messa sono lì fino alle 12.30 circa. Mi si spalanca un mondo. Io, superschizzinosa, incontro anche difficoltà molto pratiche, ma la gioia, la generosità di ospiti, suore e operatori mi ferisce di bellezza. Momento di crisi nel passaggio alle superiori: la compagnia degli amici “fighi” delle medie si sfalda, qualcuno fa uso di droghe…un mondo che si sgretola per me. Comincio a essere scontrosa, ancora di più in casa. Racconto balle, vado in discoteca di nascosto e puntualmente e provvidenzialmente vengo scoperta. Continuo ad andare a Messa la domenica, è un’abitudine che mi pesa lasciare. E il volontariato: ricevo talmente tanto che rimane un’ancora. Ma Dio è lontano. Un pomeriggio, mentre cammino verso un pub del centro dove ho appuntamento con una compagna di classe – una ragazza con cui trascorrere qualche ora, non un’amica – dico dentro di me: «Ecco, Signore. Io sono qui che faccio la mia strada, da sola. Tu sei qualche chilometro più su e fai la tua con chi prega il rosario in chiesa (a velocità folle, io proprio mi esaurivo), le nostre strade corrono parallele e non ci incontreremo mai». Entriamo nel pub e l’unico posto libero è vicino a due ragazzi più grandi che io avevo già intravisto in parrocchia.

Capelli lunghi, moto e gruppo rock, ma frequentavano… Ci sediamo con loro e dopo un’ora mi rendo conto che per la prima volta dopo mesi non sto dicendo bugie. Non ho bisogno di dimostrare qualcosa di più. Dalle 15.00, esco alle 17.30 per prendere l’autobus. Sono felice, leggera, di più: so con certezza che non so spiegare in altro modo, ma è una certezza fisica, che Dio non solo c’è, ma c’è per me, mi vuole bene, mi è venuto a cercare, a prendere per i capelli. Sono felice come mai prima. Mi fermo qualche minuto con un barbone, il primo: se Dio ha amato me attraverso Daniele e Andrea, può amare tutti attraverso un incontro. Poi entro un attimo a S. Sofia, una delle chiese più belle di Padova. Il sacerdote nell’omelia parla della Trinità e mi si fa chiaro davanti all’Icona questa comunione pazzesca dei Tre che è dono per me. Torno a casa e abbraccio mia mamma (ero uscita con “simpatia estrema” quasi sbattendo la porta), qualcuno di fronte a un cambiamento così repentino pensa che abbia cominciato a drogarmi. Sai, una esce nera e torna solare… Tutta la vita cambia. Esattamente tutto. E tanti amici, tanti tanti. E torno in parrocchia con spirito nuovo, e tutta la realtà mi parla di Dio. Tra gli amici, mi innamoro di uno, nasce una storia bella, negli anni sono due gli amori un pochino più importanti che mi danno tanto, direi anche tanto rispetto Entrambe le storie finiscono perché in un rapporto a due mi sento soffocare. Soprattutto con il secondo, quando sono già più grandina, mi accorgo terrorizzata che se posso scegliere tra un’ora in preghiera e un’ora con lui scelgo la preghiera… Comincio a pensare a una vita in missione, almeno un’esperienza. E, giusto perché non voglio assolutamente controllare tutto, pianifico che posso fare la corrispondente estera per testate italiane e straniere (ho frequentato un liceo linguistico e sono iscritta alla facoltà di Lettere moderne), e contemporaneamente fare la missionaria laica… suora no, per carità. Dopo la maturità avevo vissuto un’esperienza con le suore di Madre Teresa e avevo fatto praticamente cadere dalla brandina anche la Madre, per cui meglio metterci una pietra sopra. Sono accompagnata nel cammino da due persone di Dio: una suora francescana elisabettina di Padova e un frate di Assisi. Mentre penso alla missione conosco un monastero di clarisse. In realtà ne conoscevo già diversi, ne avevo stima ma alla lontana. Stavolta è diverso: mi “tocca” pregare il rosario con le sorelle e nella preghiera sperimento che raggiungo il mondo, il cuore è sazio perché raggiunge tutti e raggiunge il Padre. Non ne faccio parola con nessuno, nemmeno con chi mi segue. Torno a Padova pensando che il Signore si è sbagliato: improvvisamente tutte le ragazze che conosco mi sembrano adatte a diventare suore, tranne me, provo a suggerire al Capo questa o quella al mio posto… Comincia una vita vorticosa dove alle tante amicizie che già affollano le giornate accetto l’invito a uscire dalla gran parte dei ragazzi che me lo chiedono. Non pensare cose particolari, è proprio semplice: un panino con uno, una pedalata con un altro, giusto per vedere se trovo quello giusto così Dio mi lascia in pace. Mi ci vogliono pochi mesi per capire che il Signore non vuole incastrarmi, ma farmi felice. Il momento del “sì”, a parte un Venerdì Santo al bacio della Croce dove già sperimento la gioia della Resurrezione, è dato dall’assistere a una litigata furiosa tra due sorelle del monastero dove sarei entrata. Avevo il terrore di un ambiente di sole donne dove i rapporti sarebbero stati all’insegna del non dire… vedere una normalità mi ha rasserenata, mi sono girata verso il tabernacolo e Gli ho detto: “Se è così, ci sto!”. Nel giro di un anno, nel 1995, sono entrata in quella comunità a cui sono tutt’ora molto legata e che considero le mie sorelle. Non ho patito mai la clausura, ma certo non è stata un valore non negoziabile per me: era semplicemente una modalità che faceva parte “del pacchetto” (spero di non scandalizzare, è così per le centinaia di monache claustrali che conosco).

Sono stati anni molto belli in cui talvolta le sorelle mi guardavano come una marziana perché quando da innamorata parlavo della vita monastica, mi dicevano che ero su un altro registro quello che vivo ora ormai da 16 anni, è una vita normale ma tutta alla presenza di Dio. Una vita di preghiera, con tanto spazio alla Parola di Dio, una vita di accoglienza, con tanto spazio all’accompagnamento spirituale: una vita di lavoro sia in Monastero sia all’esterno per mantenerci. Vivo con una sorella, ma in una fraternità che è composta da quanti incontriamo, dalle nostre comunità parrocchiali, da alcune amicizie molto profonde. Il lavoro più tosto è la custodia del cuore che non è un porre un recinto per non lasciare entrare chissà che cosa, ma lasciare che quanto esce dal cuore possa stare alla presenza di Dio. E’ Lui che ci “impasta e stende”, ampliando sempre i confini. per cui se mi chiedi di cosa mi occupo non so cosa risponderti se non che mi occupo del cuore – in senso biblico, nella sua drammaticità e bellezza dell’essere a immagine di Dio e libero di scegliere – Incontro diversi gruppi per testimonianze e ritiri, tra questi molti giovani e giovanissimi. Incontro anche diversi giovani “lontani”, fuori dai circuiti tradizionali della Chiesa. Penso che i giovani di oggi portino una lotta che io non ho portato. Il discernimento sull’uso del proprio tempo, in particolare, trovo sia qualcosa di inedito, di grande, di insidioso: il cellulare e i social sono una rivoluzione copernicana. Per questo li stimo tantissimo, fanno delle fatiche che io non ho vissuto, per me era tutto più semplice.

A febbraio, a causa di una domanda di una ragazza di prima superiore, abbiamo proposto un incontro sull’affettività. E la domanda qual era? «Come si fa ad amare per sempre? Quale amore dura?». Questi sono i giovani, i ragazzi. Quelli che quando spieghi come si fa la Lectio, anche se non hanno mai preso in mano la Bibbia o non vanno in Chiesa, se ne innamorano e pregano meglio di me. I loro genitori mi fanno tenerezza: sono disorientati, insicuri di fronte a sfide nuove, hanno bisogno di un accompagnamento fedele e mi verrebbe da dire comprensivo, non nel senso «Ti do una pacca sulle spalle e va bene tutto», ma di un ascolto solidale che poi apre a decisioni nuove, a cambiamenti di schema nella coppia e con i figli. Lo Spirito Santo funziona e quando un cuore si sente accolto profondamente, si apre e Dio suggerisce cose belle (e funzionanti). Grazie Suor Serena di esserti fatta “impastare e stendere” da Dio.

Qui l’articolo pubblicato su La Croce

Tags:
testimonianze di vita e di fede
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