Si chiama microchimerismo ed è un’affascinante prova del legame unico tra madre e figlio. Questo scambio di cellule offre una prospettiva indispensabile anche nel dibattito su aborto e utero in affitto.Il legame tra madre e figlio è qualcosa di così profondo e pervasivo da essere indefinibile, però se c’è un’immagine concreta che lo esprime in sintesi è quella del cordone ombelicale: reciso alla nascita, sembra suggerire lo spezzarsi di un vincolo concreto. Salvo poi ripresentarsi sotto forme emotive anche subdole per cui spesso si parla di certi adulti che «non hanno ancora completamente reciso il cordone ombelicale con la propria madre». Ma è noto da tempo che, dal punto di vista biologico, qualcosa del figlio resti nella madre, e viceversa, anche dopo la recisione del cordone ombelicale, a conferma del fatto che la maternità (concetto che sempre più sta virando nell’ambito della pura percezione emotiva) ha a che fare con vincoli che sono profondamente significativi dal punto di vista biologico.
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Cos’è il microchimerismo
Nel mito greco la Chimera era una creatura con corpo e testa di leone, una seconda testa di capra sporgente dal dorso e un serpente al posto della coda: differenti animali si mescolavano in un solo corpo, una cosa talmente assurda da diventare poi sinonimo di impossibile. In zoologia si parla di chimera quando un animale ha due o più popolazioni differenti di cellule geneticamente distinte. Anche nell’uomo esistono forme di chimerismo che si verificano quando cellule di un individuo migrano nel corpo di un altro (in caso di trasfusioni, trapianto di organi); ne esiste poi un tipo particolare definito microchimerismo fetale: nel corso di una gravidanza, attraverso la placenta, un piccolo numero di cellule del bambino entra nella circolazione sanguigna della madre.
Probabilmente tutti noi conserviamo cellule acquisite dalla madre durante la gestazione, e le donne che hanno avuto una gravidanza conservano cellule venute dal feto. Le cellule acquisite possono persistere per decenni, e sono in grado di risiedere stabilmente all’interno di un tessuto, entrando a far parte integrante degli organi del corpo. (da Le Scienze)
Il parto, quindi, non mette fine, in maniera definitiva, alla presenza del feto nel grembo della madre, dato che, in qualche modo, questa coabitazione prosegue a livello cellulare. Già negli anni Novanta del secolo scorso era stata avanzata una simile ipotesi; successivamente, alcuni studi hanno confermato casi in cui lo scambio non si limita a una semplice diffusione, ma spesso diventa vera e propria compenetrazione: alcune cellule fetali in topi di sesso femminile, dopo aver raggiunto il cuore, sono divenute parte integrante del tessuto cardiaco. (da Il Messaggero)
Ma come si è arrivati a capirlo? Il dato che ha suscitato l’interesse dei ricercatori fu l’imbattersi nel corso di alcune autopsie nella scoperta che in certe donne erano presenti cellule maschili. Esclusi i casi di cui sopra, trapianti o trasfusioni, si aprì l’ipotesi che il DNA maschile fosse quello di un figlio. L’ulteriore approfondimento delle indagini ha dimostrato che tali cellule restano nel corpo materno non solo nel corso della gravidanza, ma per molti anni, addirittura per tutta la vita. Questa evidenza rende la frase «sei parte di me» meno sentimentale di quello che sembra e apre scenari affascinanti sullo scambio fisico ed emotivo tra madre e figlio.
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Affascinante è anche il fatto che il corpo della madre non rigetti o distrugga queste «cellule intruse». Detto usando una terminologia appropriata: le cellule immunitarie materne diventano irresponsive alle cellule fetali microchimeriche.
Anche se dopo la gravidanza il sistema immunitario della madre si sbarazza delle cellule fetali rimaste nel sangue, quelle già integrate (in quanto pluripotenti, capaci cioè di trasformarsi in qualunque tipo di cellula) nei tessuti materni passano inosservate e sfuggono al “repulisti”. (da Focus)
Detto in modo ironico, da mamma di tre figli tutti diversissimi da me: già dalla gravidanza una madre impara la tolleranza. Ed è simbolicamente potente pensare al corpo materno come a qualcosa che nel tempo – non solo durante i 9 mesi canonici – ospita l’altro senza schiacciarlo. Rimbaud scrisse Io è altro, e anche noi mamme possiamo dirlo con tutto il valore accogliente che ne deriva.
Se la conoscenza del microchimerismo è nota da tempo, resta ancora molto da esplorare nelle sue dinamiche e conseguenze. Ad esempio, nel 2012 un team di ricercatori canadesi e americani ha concentrato gli studi sul cervello, riuscendo a identificare anche lì la presenza di cellule diverse da quelle materne: non è da poco constatare che le cellule fetali attraversino la barriera emato-encefalica e una delle conclusioni più interessanti è sicuramente che
Queste tracce erano specialmente concentrate nell’ippocampo e nei lobi parietali e temporali della corteccia prefrontale, zone particolarmente utili per la comprensione, la memoria e la percezione.
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Chi fosse particolarmente curioso può leggere l’intera relazione su Plos One, io ci ho provato, stentando su qualche passaggio tecnico molto approfondito, ma riuscendo a seguire le argomentazioni. Tra i soggetti presi in esame c’era anche una donna deceduta a 94 anni nella cui materia grigia era ancora presente DNA maschile, segno inequivocabile della permanenza a lungo termine di questo connubio madre-figlio. Va precisato che il microchimerismo non si verifica sempre e comunque, e che esiste anche il viceversa, cioé il microchimerismo materno: anche la mamma lascia al bambino tracce delle proprie cellule.
I soggetti presi in esame dallo studio americano e canadese riguardavano 59 donne, di cui 25 senza patologie neurologiche e le rimanenti affette da Alzheimer. Infatti l’ambito di studi ancora tutto da esplorare riguarda proprio le conseguenze della presenza di queste cellule fetali nel corpo della madre.
Effetti benefici e malattie
Le microchimere fetali potrebbero giocare un ruolo nell’allattamento, segnalando al corpo materno quando e come produrre latte. E potrebbero trovarsi anche nella tiroide, dove si regola il metabolismo materno, e nel cervello, dove potrebbero influenzare l’attaccamento madre-figlio.(da Focus)
È più che ovvio constatare che nel corpo nulla accade casualmente e che, dunque, ci deve essere uno scopo se questo scambio cellulare avviene ed è tollerato. Ancora tantissimo resta da scoprire, documentandosi ci si imbatte in riscontri positivi ma anche incognite negative. Come citato sopra, il microchimerismo avrebbe un ruolo nel momento immediatamente successivo alla nascita, per l’avvio dell’allattamento e nella costruzione di un legame nuovo, non fondato più sull’avvolgimento totale che garantiva il grembo.
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Però la presenza di un DNA estraneo nel cervello può essere fonte di predisposizione maggiore a certe malattie, ma su questo tema l’osservazione è ancora incerta e sarà interessante ascoltare cosa la ricerca avrà da dirci in futuro:
il Dna altrui può modificare la propensione di una donna ad alcune malattie cerebrali, conferendo una speciale protezione o una inattesa vulnerabilità. Può accendere o spegnere interruttori molecolari legate ai tumori, o può potenziare le difese naturali contro traumi e malattie mentali (ma anche viceversa). (da La Stampa)
Il microchimerismo potrebbe contribuire a un attacco da parte del sistema immunitario in alcuni casi, e in altri invece aiutare il corpo a guarire. Questi effetti fanno sì che le cellule acquisite siano nuovi interessanti bersagli per agenti terapeutici che contrastino l’autoimmunità o promuovano la rigenerazione dei tessuti danneggiati. (da Le Scienze)
Aborto e utero in affitto
Alcuni dei soggetti studiati in laboratorio nel 2012 erano donne senza figli, eppure presentavano il microchimerismo. La conclusione dei medici fu: «in donne senza figli il DNA maschile poteva essere stato acquisito da un aborto procurato o spontaneo». Già in precedenza un altro studioso era arrivato alla medesima conclusione:
Nel grembo materno – spiega l’esperto J. Lee Nelson sul Los Angeles Time – si può anche “catturare” il Dna di fratelli maggiori, o di un gemello mai venuto alla luce. Oppure, nel corso della nostra vita, possiamo prendere materiale genetico dei figli, addirittura di quelli concepiti e mai nati. Questo Dna ”acquisito” può rimanere con noi per molto tempo. (da La Stampa)
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Quello dell’aborto è un tema molto sensibile, che la discussione attuale sta sempre più allontanando dal tema della maternità. L’aborto sembra essere diventato tutto tranne che una questione che riguarda una donna che si scopre madre. Ebbene, rimanere su un piano di realtà – anche dolorosa – può davvero aiutare le persone a essere libere, a fare scelte in vera pienezza di libertà. Perché libertà non è solo spintonare una persona a essere impulsiva quando è impaurita.
Si vuole a tutti costi costringere le donne a pensare che abortire sia come togliersi una carie, veloce, indolore e senza conseguenze. Chi osa dire il contrario è tacciato di fare terrorismo psicologico. Le molte testimonianze disponibili, sia di persone da noi conosciute nella quotidianità sia lette sui giornali, raccontano che abortire procura alla donna un dolore che persiste e si acuisce nel tempo. Che la scienza ci informi del dettaglio tutt’altro che ininfluente che cellule del figlio rimangano nel corpo di una madre, anche in caso di aborto, è un dato da non tacere. Il legame madre figlio è qualcosa che s’innesta da subito e non viene cancellato, anche se può essere reciso chirurgicamente. Una corretta informazione, che renda davvero libere le donne, dovrebbe metterle al corrente di questo: la presenza di una vita iniziata nel grembo sarà una compagnia nel tuo corpo di donna.
Non è spaventare dire questo. Non è puntare il dito. È rendere ragione sempre più puntuale di ciò che siamo e a cui siamo chiamati. Una gravidanza è una gravidanza, non è una carie: è l’inizio di una vita nuova in un corpo di donna. E a quanto pare, tutti i forcipi di questo mondo non possono strappare una presenza umana che è vissuta anche solo poche settimane.
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Un altro tema molto sensibile nella discussione attuale è quello dell’utero in affitto. Una propaganda superficiale e devastante negli effetti la vuole dipingere come una pratica buona e generosa; a chi sostiene che un bambino sia legato alla donna che lo ha ospitato nel grembo viene replicato: a un figlio basta l’amore di chi lo cresce. La gestante porta nella pancia un «oggetto» che poi viene consegnato ai legittimi proprietari; soprattutto si insinua l’idea che la gestante non sia madre perché è estranea al corredo genetico di chi cresce nella sua pancia.
Ecco, come la mettiamo con la faccenda del microchimerismo? Ne è stato tratteggiato un orizzonte nel saggio Utero in affitto o gravidanza per altri? Voci a confronto (Franco Angeli editore), eccone un eloquente passaggio a firma di Marina Terragni:
Ma anche in assenza di legami genetici, tra il corpo della gestante e la creatura, si instaurano importanti legami epigenetici, che influenzano cioé il fenotipo (la morfologia, lo sviluppo, le proprietà biochimiche e fisiologiche, ecc) senza modificare il genotipo. In parole semplici, durante la gestazione tra lei e il feto avvengono scambi decisivi per il lo sviluppo del bambino, scambi che continuano in fase perinatale – la gravidanza prosegue “fuori” – e che fanno del bambino la persona che sarà. Il fenomeno del microchimerismo – cellule fetali che si annidano negli organi della madre, sopravvivendo per molti anni – è la traccia fisica della relazione più intensa che sia dato sperimentare. (p. 144)
Di solito, non si sa perché, c’è il pregiudizio che chi difende la vita e la naturalità del concepimento sia uno che vive di favole religiose e sia nemico della scienza. All’opposto. Più si spacca il capello in quattro, cioé si osserva la realtà, più risultano puramente astratti e infondati certi discorsi dei cosiddetti progressisti. La scienza non può che prendere atto e documentare che cosa sia la gravidanza, fin dal principio dei tempi: più informazioni avremo più salterà fuori ciò che l’uomo comune sa da sempre, che una madre e un figlio sono un legame ininterrotto. Sono favole quelle di chi parla di corpi donatori e gestazioni delegate ad altri.
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Anche questa informazione non va taciuta nel dibattito pubblico: le donne che, principalmente per necessità economiche, offrono il proprio corpo per crescere una creatura che verrà data ad altri devono sapere che – oltre ai molti effetti collaterali dovuti alle terapie a cui vengono sottoposte – rimarrà nel loro corpo una traccia fisica della presenza di quel bambino o di quei bambini. Sono le loro madri. O pensiamo che sia davvero ininfluente andarsene in giro portandosi dentro il DNA di chi si è ceduto, strappandolo alla nascita dal corpo che l’ha cresciuto?