Mescolano rosari e diavoletti, angeli e amore saffico: quando la pubblicità vuole farci la morale, ma non fa altro che ostentare un cinismo assetato di clienti, svilente verso le persone. Ascolto due brani in sottofondo mentre scrivo, per concentrarmi sul buon senso anziché sul livore. La bellissima Marilyn Monroe ci ricordava che i diamanti sono i migliori amici delle ragazze; la carismatica Liza Minnelli nel suo Cabaret ballava e cantava dicendo che i soldi fanno girare il mondo. Ecco, ci sarebbe poco da aggiungere a queste grandi verità, se non fosse che siamo così sottoposti a un capillare lavaggio del cervello che le cose più evidenti diventano nascoste. Ribadiamo l’ovvio, dunque.
Diamanti e soldi
Uno: la pubblicità serve a vendere un prodotto per far guadagnare soldi all’azienda che lo produce. Due: alle donne piacciono i gioielli perché hanno una naturale giusta inclinazione alla vanità, o predisposizione alla bellezza. Risultato: diamanti e soldi, così come da copione di Marilyn e Liza. Invece oggi dobbiamo sorbirci in tutte le salse l’upgrade umanitario-impegnato delle campagne pubblicitarie: il prodotto viene promosso sotto le mentite spoglie di uno spot che si fa carico di un messaggio sociale. Come per insinuare: non stai spendendo soldi per acquistare un frigorifero, stai investendo sulla salvaguardia del pianeta; non stai comprando un vestito, indosserai una bandiera per difendere la pace nel mondo.
È riprovevole, ma siamo così abituati alla cosa che viviamo in un mondo al contrario in cui Marilyn sarebbe accusata di ledere la causa delle donne, ostentando il suo amore per i diamanti: le urlerebbero contro “le donne non si comprano!”. Eccome invece se si comprano! E non solo le donne, ma anche gli uomini e i bambini (diceva giusto ieri Stefania Garassini che i giovani stentano sempre di più a distinguere una pubblicità da un’informazione). Si comprano tutti, tutti siamo coccolati come clienti. Eh sì, abbiamo eccellenti customer care e scarsissima cura alla persona. La pubblicità ha sempre voluto vendere, solo che oggi si impegna anche a circuire con un moralismo umanitario: è un trucco, e il trucco funziona se si vede il meno possibile.
E così, tra i molti messaggi subdoli di cui veniamo riempiti, capita di incontrare in prima serata TV e sui social networks la pubblicità dei gioielli Amen presentati col loro nuovo cavallo di battaglia, lo slogan: l’amore è una scelta. Generico, ammiccante, positivo, inclusivo, dolce. Sono gioielli ispirati al tema religioso (crocifissi, rosari, angeli, medagliette chiamate – guarda il caso – miracolose; collezioni dal nome tonante tipo Vita Christi) a cui viene associato un video promozionale in cui compare ogni genere di declinazione affettiva, accennata in punta di piedi ma non meno evidente: la famiglia tradizionale, la gravidanza, il compleanno dell’adolescente, l’affetto per il cane e … la relazione omosessuale. Perché ormai è il cavallo di battaglia su cui galoppano tutti.
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Cosa stiamo guardando? Una campagna di supporto alla propaganda LGBT? Una provocazione? Un ingannevole proposta della fede? Tutte queste sfumature senz’altro presenti non devono farci perdere di vista la base, più terra terra. È uno spot, serve a vendere un prodotto: non serve a mandare un messaggio, ma a cercare acquirenti. Più sono meglio è.
Posso indignarmi nel vedere una ditta che specula sull’immaginario della fede. E uso il verbo «specula» non senza averlo vagliato; per quanto abbia letto e riletto le proposte di questa azienda, non ci trovo un autentico nesso con l’esperienza religiosa. Un esempio? Lo spot dedicato al braccialetto pensato come regalo per la Prima Comunione (titolo roboante: “La vita di Gesù – il film”) parla della vita di Gesù come di un racconto che si tramanda da generazioni. Stop! Non è la favola dei tre porcellini. Con Gesù non siamo nell’ambito del racconto, ma della storia. E attenzione: è uno scivolone sempre meno innocuo, anzi meditato, quello di spostare il Vangelo nella raccolta dei libri di fantasia. Questa fraudolenza, ammantata di delicatezza, mi indirizza a pensare a un progetto aziendale ben poco spirituale; aggiungiamoci che fanno parte dei charms di questa ditta anche ferri di cavallo e diavoli.
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Insomma è molto semplice, in fondo. È analisi di mercato: quanto è grande il laghetto dei pesci spiritual-friendly? quanti ne posso pescare con un rosario? quanto acchiappa il ciondolo con l’angelo? e se ci aggiungo il diavoletto ne pesco di più? Ecco, possiamo indignarci giustamente in quanto gente dalla fede autentica, ma più che far lievitare la bolla del livore occorre, più semplicemente, farla scoppiare. L’aggiunta del tassello omosessuale è un ulteriore ampliamento del laghetto. Come se un produttore di videogiochi improvvisamente si rendesse conto che non ha clienti tra i ragazzi fissati con la lettura. Come fare? Bhé, vendiamo un videogioco confezionato a forma di libro. Cosa meglio dell’amore può allargare il bacino dei clienti? Uh, dentro l’oceano dell’amore si pesca tantissimo.
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Però noi – persone! – ci saremmo anche stufate di essere trattate come merce da etichettare per le nostre scelte sessuali, o per il nostro credo religioso, o per le nostre preferenze alimentari. Siamo esseri umani interi e dobbiamo rimanerlo, per non essere fatti a pezzi dalle logiche che ci vogliono ridurre a «mamma cattolica», «manager vegano», « gay elegante». Spezzettati compriamo di più, perché si moltiplicano le nostre «bocche da sfamare».
Ugg e la sua bellissima ascia
E dunque l’amore è una scelta, recita questo spot. Cosa vuol dire? Boh. Suona bene, però. E sembra tanto suggerire che ti devi dare una mossa, scegli dai! Scegli! Basta che compri. Non mi stupisce che lo spot menzioni la donna sola con un cane, ma non parli della suora. Eppure in tema di spiritualità, amore e scelta, chi più di una consacrata sarebbe appropriata? Ma si sa, le monache non frequentano spesso le gioiellerie.
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Non mi stupisce che lo spot inquadri due bellissime ragazze che si abbracciano, perché ammicca alle migliori amiche, alle amanti, pure all’istinto maschile. Ma se il tema è l’amore e la scelta, perché non metterci una ragazza madre impegnata a far nascere il suo bambino. Forse perché lei ha delle priorità che, magari, la costringeranno pure a vendere i gioielli che ha. Insomma, è tutto ovvio. Clienti e non persone, ci vogliono. È solo la vecchia storia di Ugg che racconta Chesterton, bisogna di tanto in tanto ricordarla perché la testa tende ad abbassare la guardia e a scambiare i soldi per carezze:
Decisamente solo una generazione di uomini stolti, sentimentali e piuttosto servili può lasciarsi condizionare dalla pubblicità. Gente un po’ più sveglia, ironica e intellettualmente indipendente si accorge subito del trucco; e non gli dà più importanza che a qualsiasi altra forma di autopromozione. Praticamente ogni altro uomo in ogni altra epoca si sarebbe accorto del trucco. Se avessi detto all’uomo del paleolitico: «Ugg dice che Ugg è il miglior costruttore di asce di pietra», lui avrebbe percepito una mancanza di distacco e di disinteresse da parte del promotore. Se avessi detto al contadino medievale: «Robert il fabbro proclama con squilli di tromba che fabbrica degli ottimi archi», il contadino avrebbe risposto: «Bhé, è ovvio che lo dica» e si sarebbe messo a pensare a qualcosa di più importante. È solo in mezzo a gente le cui menti sono state indebolite da una sorta di ipnosi che questo palese trucco della pubblicità può ancora funzionare. (da Quel che ho visto in America)