Se ne parla spesso: proviamo a chiarire uno dei dubbi più frequenti dei genitori.Di Rocco Valluzzi
Il latte è l’alimento con cui tutti i mammiferi nutrono la propria prole subito dopo la nascita e per l’uomo costituisce una componente importante della dieta fin dai tempi più antichi. Nonostante in diverse parti del mondo sia utilizzato nell’alimentazione il latte proveniente dai vari mammiferi allevati (per esempio bufale in India, Cina, Egitto, capre nelle regioni mediterranee, renne nell’Europa settentrionale), la fonte principale di latte per il consumo è rappresentata, nei Paesi sviluppati, da quello di mucca. Eppure parecchi sono i bambini i cui genitori denunciano disturbi attribuiti al suo
consumo. Spesso dicono: “Dottore, il mio bambino è intollerante al latte”.
Esiste l’intolleranza al latte?
Come abbiamo già visto, l’intolleranza al latte non esiste. Esiste l’allergia alle proteine del latte vaccino, una reazione dovuta a meccanismi immunologici che coinvolgono le proteine del latte danneggiando l’organismo del bambino.
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Esiste invece l’intolleranza al lattosio. Una buona percentuale della popolazione adulta di tutto il mondo ha una maldigestione del latte. La più bassa prevalenza di questo disturbo si osserva nei Paesi scandinavi, mentre la più alta è rilevata tra gli indiani del Nord America, gli aborigeni australiani e in grandi aree del sud-est asiatico dove addirittura per l’intera popolazione adulta il latte risulta indigeribile.
Il lattosio è l’elemento incriminato nel cattivo processo digestivo del latte. La sua molecola, infatti, può essere scissa solo da un particolare enzima presente nell’intestino, la lattasi. Questo enzima è carente in tutti i mammiferi adulti e nella maggior parte degli esseri umani dopo i primi sei mesi di vita. Per i neonati, che durante l’allattamento al seno esclusivo ricavano dal lattosio il 40% delle calorie totali giornaliere, è indispensabile, infatti, che l’intestino sia in grado di digerire questo composto. Solo se la lattasi riesce a portare a termine l’operazione di scissione dei componenti del latte questo può essere assimilato.
La carenza di lattasi solo in rarissimi casi è congenita. Più spesso può essere determinata da cause che si possono verificare durante il primo anno di vita del bambino, come per esempio una grave malnutrizione proteico-calorica, un’allergia alimentare, infezioni batteriche o virali.
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Questi disturbi provocano una sorta di raschiatura della mucosa che riveste l’intestino e di conseguenza una carenza di lattasi, che si trova proprio sulla sommità delle cellule intestinali, gli enterociti. Una superficie intestinale povera di lattasi non digerisce il lattosio che, sostando quindi nell’intestino tenue e nel colon, esercita un’azione “osmotica”, ovvero richiama liquidi nell’intestino causando diarrea.
Se, durante l’allattamento, i casi di intolleranza al lattosio sono quasi sempre causati da patologie intestinali, molto diverso è il problema dell’intolleranza al lattosio negli anni successivi. Dopo lo svezzamento, infatti, l’attività della lattasi diminuisce secondo uno schema geneticamente predefinito. Chi è affetto da deficit di lattasi può andare incontro a diarrea, dolore addominale
diffuso, crampi, tensione addominale e flatulenza. Tutte manifestazioni determinate non solo dall’azione “osmotica” che abbiamo appena visto, ma anche dall’attività dei batteri presenti nel colon. Il lattosio non digerito, infatti, viene fermentato dalla flora intestinale con produzione di gas e di altre sostanze che contribuiscono a creare questi disturbi.
Una questione di quantità
Non tutte le persone con insufficienza di lattasi presentano disturbi non appena ingeriscono un alimento che contiene lattosio. La comparsa dei sintomi è dunque strettamente legata alla quantità di lattosio ingerito, ma anche altri fattori entrano in gioco, come per esempio il tipo di dieta che si segue. Assumere infatti fibre e latticini acuisce il problema.
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