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“Non sei l’uomo che ho sposato!” (bella scoperta). Consigli per un matrimonio felice

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BenEssere - pubblicato il 12/02/19
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È possibile attraversare le età dell’esistenza mantenendo vivo e soddisfacente l’amore? Può la coppia continuare a godere momenti di intimità e benessere, senza cadere nella noia? Ecco alcuni manuali che possono aiutarci…Domenica pomeriggio. Lui, steso sul divano, i piedi appoggiati al tavolino, guarda i risultati delle partite in Tv. Lei, in mansarda, con la radio accesa, finisce di stirare la montagna di panni accumulati in settimana. Poi scende: «C’è ancora un po’ sole», dice al marito. «Facciamo un giro e andiamo a mangiare un gelato»?

Lui sbotta: «Lavoro tutta la settimana, adesso non mi stressare e lasciami riposare un po’». Lei: «Quando eravamo fidanzati non era così; sei proprio una delusione »! Messaggio sul gruppo di WhatsApp per sentire le amiche “del caffè”, che subito combinano di uscire insieme. E lì, al bar, lei si sfoga, raccogliendo subito consensi: «Gli servo solo a stirare le camice. Da me non si aspetta niente: non ridiamo più insieme, non mi porta fuori a cena, è sempre musone; solo con gli amici diventa loquace e divertente. Non è l’uomo che ho sposato, sembra diventato un altro».

Scene dal matrimonio di Anna e Tommaso, quando il passare degli anni ingrigisce il rapporto e rischia di annacquarlo al punto da renderlo difficile da sopportare. Normale “logorio” del tempo che passa, a cui bisogna rassegnarsi, o c’è un’altra via? È possibile attraversare le età della vita mantenendo vivo e soddisfacente l’amore? Esiste qualche buona “ricetta” per potersi dire ancora “ti amo” dopo dieci, venti, trent’anni di matrimonio?


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In effetti qualcosa c’è. Prolificano sugli scaffali i manuali dedicati al difficile rapporto di coppia: suggerimenti, veri e propri esercizi da fare da soli o in due, avvertenze e “istruzioni per l’uso” da mettere in pratica per una corretta manutenzione della relazione nello scorrere degli anni. «“Non sei quello che pensavo”. Detta così, l’accusa appare del tutto evidente e anche un po’ strana», commenta lo psicoterapeuta italo-brasiliano Luciano Grigoletto nel suo Piccolo manuale di sopravvivenza per coppie (San Paolo, 160 pagine, 14,50 euro).
«L’altro non è come io pensavo che fosse  perché appunto è un’altra persona con la sua storia, le sue paure, i suoi entusiasmi che non basterebbe una vita per conoscere».



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Ma tu chi sei?

Conoscersi. Ecco il punto. In coppia, dopo un po’ di anni passati insieme, uno presume di “sapere già” cosa l’altra sta per dire… e passa subito alle conclusioni.

«Non sei mai contenta! Hai sempre qualcosa da ridire », è il commento finale di Tommaso nella discussione con Anna la domenica pomeriggio. «Magari, conoscere l’altro per com’è», suggerisce Grigoletto, «può essere uno degli aspetti meravigliosi e divertenti della straordinaria avventura che chiamiamo matrimonio». Conoscenza, secondo gli esperti ma anche seguendo il semplice buon senso, fa rima con dialogo e ascolto.
«Dialogo», spiega Cecilia Pirrone, psicologa lecchese, nel suo prezioso volume L’alfabeto degli affetti (San Paolo, 160 pagine, 16 euro), «non è certamente dire solo delle parole, ma innanzitutto è la prima via regale della coppia, è lo strumento per eccellenza che porta a conoscere l’altro. Il dialogo è comunicare se stessi; saper ascoltare; essere premurosi; essere delicati; essere pazienti.
Attraverso il dialogo c’è un’attenzione maggiore verso il coniuge, nei confronti di ciò che vive e sperimenta, riconoscendone
i bisogni: nello scambio comunicativo vediamo l’altro e l’altro vede noi». Ma attenzione, avverte la Pirrone, perché ad ascoltare si impara in tutta una vita e non bisogna smettere mai di esercitarsi.

«Che succede dopo tanti anni di matrimonio? L’altro, il mio coniuge, colui che ho promesso di onorare, non si sforza nemmeno di tenere lo sguardo nei miei occhi mentre mi parla. Magari non è il momento opportuno, magari si sta dilungando troppo su dettagli che mi sembrano superflui… magari ho fretta di uscire, perché ho una riunione!  Ascoltare implica una scelta, ed è un’arte da affinare sempre di nuovo lungo le stagioni della vita. Bisogna anche saper scegliere il momento adatto: sia per verificare il desiderio dell’altro di parlare con me, sia per garantire uno spazio effettivo che permetta un buon ascolto».

Un litigio dietro l’altro

Eppure il conflitto è sempre in agguato nella vita della coppia; incomprensioni, gusti diversi o visioni che si scontrano, fatiche che si accumulano fuori casa e poi si “sfogano” tra le mura domestiche.

È esperienza di tutti. E non fa neppure così male: «La salute della coppia», sottolinea Grigoletto, «mi sembra molto più a rischio quando subentra la rassegnazione, e non ci provo neanche più a dire quanto l’altro è importante per me». Il confronto serrato in coppia, «non deve mettere in discussione il rapporto in sé, perché c’è la consapevolezza che la coppia può sopportare questi eventi conservando una base comune, la fiducia che l’altro vuole almeno provare a capirci».


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Dall’idillio dei giorni del fidanzamento alla cruda realtà dei giorni che si susseguono uguali da 25 anni, per Anna e Tommaso
di cose ne sono cambiate tanto. Se in passato era facile sentirli confidare agli amici «è proprio la persona che aspettavo», «va tutto magnificamente, stiamo sempre insieme, abbiamo così tante cose in comune…», oggi sembra prevalere la delusione.

«La fase dell’innamoramento», spiegano Silvia Donato e Ariela Francesca Pagani, docenti della Cattolica, nel loro Vivere in coppia tra alti e bassi (San Paolo, 144 pagine, 14 euro), «deve trasformarsi in amore autentico in cui i partner devono fare i conti con la perdita degli aspetti idealizzati dell’altro e smettere di pensare di somigliarsi totalmente. L’altro non è la persona perfetta e priva
di difetti: accanto a bellissime qualità, ha anche dei modi di fare che ci danno sui nervi. Emergono insomma aspetti negativi e deludenti; si inizia a fare i conti con il fatto che all’interno della relazione esiste anche una quota di distanza, che richiama la realtà che l’altro è “altro da me”».

Accettarlo è la condizione per andare avanti e, anzi, ravvivare una sana relazione, che soddisfi entrambi. Così, dalle pagine di questi preziosi “manuali” di manutenzione della buona relazione amorosa, scaturiscono delle “regole” vitali per non mandare tutto a catafascio. Prima cosa da imparare– ci dice Grigoletto – è la tolleranza: «La cosa importante è capire che l’altro è fatto proprio in quel modo, che addirittura può piacermi che sia fatto così, perché le cose che di lei o di lui mi affascinano sono più importanti di quelle che mi disturbano e mi irritano: per quanto riguarda queste ultime, devo imparare l’arte della tolleranza».

Una tolleranza che appoggia – seconda regola d’oro – sulla fiducia. «Una coppia può funzionare soltanto se ho la ragionevole certezza che il partner non farà consapevolmente niente per danneggiarmi.
E non soltanto questo – sottolinea Il piccolo manuale di sopravvivenza per coppie –: fidarsi significa avere rispetto per il partner anche quando non è d’accordo con me, trattarlo con riguardo, non dubitare di lui e dei suoi comportamenti».


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Fidarsi dell’altro

Fiducia che ha il suo contrario nella pretesa di controllo. Monica ha preso l’abitudine di telefonare in ufficio a Filippo, per verificare che sia presente. Se poi non lo trova, gli rinfaccia di non credere nelle sue giustificazioni («Ma ero dal capo!») ed elenca tutti i motivi per esasperare ancora di più il controllo: «Come faccio a fidarmi di te? Non sei mai dove dici di essere». Un esercizio «decisamente tossico per la coppia», commenta lo psicoterapeuta. Eppure, le coppie continuano a farlo.

«In una relazione i partner commettono inevitabilmente degli errori, agiscono con comportamenti che possono ferire e addolorare l’altro. Proprio per questo – e siamo alla terza “regola” secondo Grigoletto – è importante saper dare al rapporto sempre una nuova chance e questo è possibile solo se si è disposti a perdonare il partner».

Ma si può perdonare tutto? Anche un tradimento?

Le esperienze che ha raccolto Camillo Regalia, professore di psicologia sociale alla Cattolica di Milano, e che racconta
nel libro Ci perdiamo o ci perdoniamo? (San Paolo, 142 pagine, 14 euro), sembrano aprire a una risposta positiva. Ricorda una moglie: «Adesso appena è possibile cerchiamo di trovare tempo per noi… Se è capitato quello che è capitato è perché mettevamo il lavoro davanti a tutto. Adesso non è più così». E un marito, riferendosi a un episodio di tradimento: «Se uno sopravvive a questo, sono certo che può sopravvivere a tutto». E un altro: «Sono stati tempi duri, ma adesso una cosa è certa: parliamo di più, non ci teniamo le cose dentro».



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Un universo complicato quello dell’amore. «È quasi impossibile parlarne », commentava il filosofo Silvano Petrosino in un incontro promosso dai gesuiti del Centro milanese San Fedele sul tema “Non ti amo più. Che vuoi dire?”, «è il regno della banalità e dei luoghi comuni. Ma se dobbiamo vedere il suo vero significato dobbiamo guardare alla relazione padre-madre e figlio.
Solo lì capiamo che amiamo il figlio per quello che egli è; voglio il bene suo, un essere unico, singolare. Non sono definito nella mia identità genitoriale dai comportamenti che metto in atto verso il figlio, ma dal fatto di cercare il bene di lui». Così è anche
la relazione d’amore tra un uomo e una donna. Per questo diventa «devastante sentirsi dire in una relazione intima di coppia “Non ti amo più”, perché è come percepire che io per te non sono più io, che puoi vivere senza di me».

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