Il giornalista argentino non fa più riferimenti diretti ai legami tra il futuro Papa e la dittatura (ma La7, per ora, lo censura lo stesso). Ecco perché il “grande accusatore” si è ammorbidito
Questa volta gli attacchi sono più morbidi, ma pur sempre attacchi restano. Jorge Bergoglio è stato un «peronista di destra», contrario alla resistenza anti-regime dei «peronisti di sinistra» che evangelizzavano nelle baraccopoli di Buenos Aires.
Horatio Verbitsky, il giornalista investigativo che ha provato in tutti i modi – negli anni scorsi – a dimostrare un legame diretto (che non esiste) tra il futuro Papa Francesco e la dittatura militare in Argentina degli anni ’70, è tornato a parlare su una tv italiana.
Lo ha fatto durante la puntata di Atlantide, su La7, andata in onda mercoledì scorso. Il giornalista Andrea Purgatori ha ricostruito con lui l’operato del governo nazionalista di Juan Domingo Peron e il successivo golpe di Jorge Rafael Videla.
Le accuse “morbide”
Ad un certo punto Purgatori gli ha posto alcune domande sul ruolo di Bergoglio, allora al vertice dei gesuiti argentini, rispetto al caos politico di quegli anni. E Verbitsky non ha più fatto cenno esplicito, né sventagliato presunti documenti che perorano le sue tesi (come accaduto in passato) sui legami tra il Papa e i golpisti. Si è limitato a rilanciare la teoria del “peronista di destra” Bergoglio che era in opposizione all’area più barricadera dei gesuiti, e della scarsa tutela nei loro confronti, nonostante il futuro Papa fosse a capo della Compagnia del Gesù.
La “censura”
Purgatori, sorridendo, gli ha fatto notare la sua scarsa simpatia nei confronti di Bergoglio e Verbitsky ha provato a “difendersi”, smentendo il suo astio. Ma di tutto questo non troverete nulla on line perché sul sito de La7 la puntata non è disponibile e sui canali social, dove sono presenti ben nove video che ricostruiscono la puntata, l’intervista a Verbistky è stata tagliata proprio nel momento in cui il giornalista gli chiede di Bergoglio (dal minuto 28’00 in poi).
Ma vediamo il perché di questa “inversione buonista” di Verbistky. Che nel 2013 aveva scritto diversi articoli, pubblicato un libro, diffuso documenti, parlando di Bergoglio come di una persona che «recita»; e la sua elezione a pontefice era stata definita «una disgrazia, per l’Argentina e per il Sudamerica».
Il documento
Il Fatto Quotidiano (15 marzo 2013) diede molta enfasi all’atto di accusa di Verbitsky. Quest’ultimo puntò di dito su un episodio in particolare: la gestione deila vicenda dei “gesuiti di sinistra” Padre Orlando Yorio e Padre Franz Jalics che evangelizzavano nella baraccopoli di Bajo Flores, quartiere povero e marginale di Buenos Aires.
«Con l’avvicinarsi del golpe, Bergoglio chiese loro di andarsene, a quanto racconta lui allo scopo di proteggerli. Secondo loro, per smantellare quell’impegno sociale che disapprovava. Venne nominato superiore provinciale della Compagnia all’inusuale età di 36 anni e da quando arrivò, iniziò a svolgere un compito di sottomissione alla disciplina, a uno spiritualismo astratto. Un documento di un servizio di intelligence che ho trovato nell’archivio della Cancelleria si intitola “Nuovo esproprio dei gesuiti argentini” e afferma che, “nonostante la buona volontà di padre Bergoglio, la compagnia in Argentina non si è ripulita. I gesuiti di sinistra, dopo un breve periodo, con grande appoggio dell’estero e di certi vescovi terzomondisti, hanno intrapreso subito una nuova fase”. Si tratta della Nota-Culto, cassa 9, bibliorato b2b, Arcivescovado di Buenos Aires, documento 9».
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Le informazioni segrete
Il giornalista rincarava le accuse, sottolineando che Papa Francesco non si è mai veramente «scusato» per questo suo «ruolo»:
«Ho trovato una serie di documenti che non lasciano dubbi. In uno, Bergoglio firma la richiesta di rinnovo del passaporto di Jalics senza necessità che venisse dalla Germania. In un altro, il funzionario che riceve la richiesta consiglia al ministro di rifiutarla. In un altro ancora, lo stesso funzionario spiega e firma che Jalics, sospettato di contatti con i guerriglieri, ebbe conflitti con la gerarchia, problemi con le congregazioni femminili (la qual cosa è molto suggestiva), che fu detenuto nella Esma, la Escuela de Mecánica de la Armada (non dice sequestrato ma detenuto) e che si rifiutò di obbedire agli ordini. Finisce dicendo che queste informazioni gli vennero fornite proprio da Bergoglio, oggi papa Francesco».
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Le parole del Premio Nobel
Dal canto suo, Bergoglio, scriveva Avvenire (15 marzo 2013) nel 2010 rigettò le accuse e anche la collaborazione con i militari nel libro “El jesuita”.
«Bergoglio non è stato complice della dittatura», «le circostanze del Paese erano tali per cui la maggioranza della popolazione era vittima della dittatura», ha detto con fermezza il Premio Nobel per la pace Adolfo Perez Esquivel, in un’intervista concessa ad AgenSir (15 novembre 2013).
Il nuovo Papa è sotto i riflettori «perché si dice che non fece il necessario per tirar fuori di prigione i due sacerdoti. So personalmente che molti vescovi chiedevano alla Giunta Militare la liberazione di prigionieri e sacerdoti e non veniva concessa», ha ricordato ancora Peres Esquivel. I due gesuiti furono liberati dopo 5 mesi di torture. Yorio morì nel 2000 in Uruguay per cause naturali, mentre Jalics si rifugiò nella meditazione e nella preghiera per superare l’esperienza subita; una condizione su cui ha anche scritto un libro.
La verità di Padre Jalics
Padre Jalics, sul sito Jesuiten.org (qui la traduzione del Corriere della Sera, 2013) ha chiarito la vicenda senza tuttavia confermare la versione di Verbisky: «Dopo la nostra liberazione ho lasciato l’Argentina. Solo anni dopo abbiamo avuto la possibilità di parlare di quegli avvenimenti con padre Bergoglio, che nel frattempo era stato nominato arcivescovo di Buenos Aires. Dopo quel colloquio abbiamo celebrato insieme una Messa pubblica e ci siamo abbracciati solennemente. Sono riconciliato con quegli eventi e per me quella vicenda è conclusa».
Jalics ha spiegato nel comunicato che il suo ruolo e quello di Padre Yorio, etichettati come spie e sostenitori della guerriglia anti-Videla, era stato frainteso anche da alcuni settori della Chiesa argentina. Tutto nasceva per la loro amicizia, nella baraccopoli in cui si trovavano, con un loro collaboratore poi ufficialmente passato nelle file della guerriglia.
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“Pagina 12”
Se già Jalics attenua notevolmente le accuse di Verbisky, lo stesso giornalista investigativo, nel novembre 2014, è stato al centro di un “giallo”. I suoi scritti anti-Bergoglio, sul quotidiano Pagina 12, sono stati rimossi dal web. Lui si è giustificato dicendo che era un problema legato ai diritti d’autore; in realtà si sono susseguite, una dopo l’altra, testimonianze di smentite rispetto alle sue ricostruzioni.
Due settimane prima della sparizione degli articoli, una autorevole smentita della teoria “Bergoglio colluso con Videla” era giunta dalla leader delle “Nonne di Plaza de Mayo“, Estela Carlotto, in visita al Pontefice assieme al nipote ritrovato Guido-Ignacio. «Come cristiana credo che se si sbaglia di deve riconoscerlo e chiedere scusa. In questo caso non domando perdono: sono stata male informata da settori che ritenevo seri; poi altri hanno rivelato la verità e ho potuto cambiare idea», ha detto la Carlotto.
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Il “sistema di soccorso”
In precedenza anche i libri inchiesta del giornalista Nello Scavo avevano scardinato le tesi di Verbitsky, dimostrando che l’attuale Papa, mettendo a rischio la propria vita, ha sottratto ai “voli della morte” (con cui si deportavano gli oppositori) decine e decine di persone nel mirino dei generali. Fino a creare un vero e proprio “sistema di soccorso” congegnato in modo che il ruolo del suo ideatore restasse ignoto, spesso, agli stessi salvati. Per ragioni di sicurezza, certo. Ma anche di quella riservatezza tanto cara a Bergoglio (Avvenire, 20 novembre 2014).
Il “Sosia”
Peraltro Padre Jorge Mario sapeva di essere finito nella lista nera delle personalità da spiare notte e giorno. E con lui anche un giovane che finirà a lavorare in Vaticano. Bergoglio s’era accorto che il ragazzo gli somigliava parecchio.
Fu proprio il futuro pontefice a fargli indossare gli abiti da sacerdote, tanto che i servizi segreti si mettevano a pedinare quest’ultimo anziché il padre gesuita. Episodio confermato dallo stesso Bergoglio, quando venne interrogato dalla commissione d’inchiesta sugli anni del regime. «Ho fatto scappare dal Paese, passando da Foz do Iguacu (città nel Sud del Brasile al confine con l’Argentina, ndr), un giovane che mi somigliava molto, dandogli la mia carta d’identità e vestendolo da prete: solo così potevo salvargli la vita».
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“Non mi risulta…”
Anche Graciela Fernandez Meijide, ex membro della Commissione Nazionale sui desaparecidos, creata dopo il ritorno alla democrazia, è stata categorica: «Non mi risulta che Bergoglio abbia collaborato con la dittatura, lo conosco personalmente. Ho sofferto per la scomparsa di un figlio. Perez Esquivel è stato quasi ammazzato dai militari. Ma non si può dire che tutti i religiosi erano complici della dittatura, è un’assurdità».