Il giovane seminarista milanese, classe 1980, non è riuscito a realizzare il suo sogno a causa di una grave malattia. Nella sua storia e i suoi scritti c’è un amore spassionato per Gesù, non comune tra i suoi coetanei
Un desiderio forte, fortissimo: abbracciare il Signore nonostante la malattia. Alessandro Galimberti, milanese, classe 1980, voleva diventare sacerdote a tutti i costi. Non ci è riuscito perché ha lasciato la vita terrena due anni prima dell’ordinazione, ma, in eredità, ha consegnato un esempio di abbandono al Signore come pochi, pochissimi suoi coetanei.
Profumo di santità: tanti suoi amici e conoscenti ricordano così la vita di questo giovane, la cui storia è raccontata da Francesco Maria Nocelli in “Giovani campioni. 20 storie di Santi a lieto fine” (edizioni Ares).
Alessandro ha un fratello, Luigi, che come lui decide di entrare in seminario. Seminaristi negli anni Duemila! Una scelta che oggi, agli occhi del mondo, appare poco comprensibile se non insensata, al punto da poter suscitare forte turbamento. Anche la famiglia resta sconvolta dalla decisione.
La promessa a Gesù
D’altro canto, Alessandro, fanciullo e poi adolescente vivace e sempre allegro, vive un rapporto molto intenso con la sua parrocchia d’origine. Fin da piccolo fa il chierichetto, nel 1989 riceve la prima Comunione, e in prossimità della Cresima così scrive nel suo quaderno di catechismo: «Gesù, sabato (9 maggio 1992) riceverò la Cresima e ti voglio promettere di seguire la tua strada e donarmi a te, aiutando gli altri».
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Amico di tutti in oratorio
La frequenza delle scuole superiori, presso le opere Salesiane di Sesto San Giovanni, conclusa con il diploma di liceo scientifico a indirizzo tecnologico, non lo distoglie dal servizio parrocchiale ma soprattutto da quello in oratorio, cui è particolarmente legato. La sua simpatia e la sua innata cordialità lo rendono amico di tutti i ragazzi.
“Scheggia col sorriso di Dio”
In uno dei suoi numerosi scritti, racconta così, in quegli anni, il suo rapporto con la Chiesa e l’oratorio: «Siamo padroni di un tesoro grandissimo: servire Gesù nostro amico nel gruppo di oratorio, in questo anno di oratorio feriale. L’oratorio, penso te ne sarai accorta, raccoglie tanti tesori: il tesoro più grande sono i bambini. Pensa a quelli sani ma pensa ai tanti malati, pensa a tutte quelle realtà che sembrano farci ridere ma che non riescono a dare sollievo con la nostra allegria. I bambini sono una scheggia del sorriso di Dio».
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“Uomo in mezzo a noi”
Una «scheggia», dice, «che vorrei portassimo al posto dei nostri talismani, delle nostre collane accanto al nostro cuore. Ci spiazzano, ci rendono e ci dimostrano quello che noi veramente siamo… Relazione d’amore, ecco che cosa resta in noi dell’oratorio. E il nostro stare insieme è caratterizzato dalla presenza di Gesù, veramente uomo in mezzo a noi. Mi piace pensarlo come un animatore. Magari lo è veramente stato qualche volta… ma noi non lo abbiamo conosciuto».
La malattia
Durante il liceo vive qualche problema di salute (prima un ricovero per leucopenia – diminuzione dei globuli bianchi nel sangue – e poi pericardite e pleura bilaterale), ma la convivenza con la malattia non gli fa perdere entusiasmo e cordialità. Affronta tutto confidando in Gesù e nella Madonna, offrendo quotidianamente le sofferenze e le gioie: «Le cose veramente grandi e di cuore le facciamo solo nella gioia di guardare Gesù e di stare presso la croce».
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Il Seminario
Nel periodo liceale inizia un percorso di preghiera, di riflessione e di discernimento che lo porta pian piano a maturare la scelta vocazionale: entra nel Seminario Arcivescovile di Milano nel settembre 1999.
Così spiega questa scelta: «Fin dall’inizio ciascuno di noi ha una sua vocazione. E questo è meraviglioso. Vuol dire che l’amore che ha il Padre per noi supera ogni sentimento, ogni limite: ci accompagna dalle origini della nostra vita e non ci abbandona mai. Non si nasconde, quando noi non vogliamo ascoltare la sua voce: Lui continua a chiamarci ogni giorno».
La “prima” volta
«Il cammino di fede cristiana, il mio in particolare – scriveva Alessandro – comincia proprio qui, all’inizio della chiesa: dopo pochi metri dall’ingresso c’è il Battistero… Ricorda il giorno del mio ingresso nella Chiesa… Mi accorgo poi di non essere solo: alla mia destra e alla mia sinistra decine di vetrate colorano la fede del mio cammino, attraverso la testimonianza dei santi che rap- presentano. La prima vetrata è dedicata a san Giovanni Bosco a cui sono particolarmente devoto. È lì ad accogliermi tendendomi la mano dal suo sfondo celeste quasi a dirmi: “Mira alla santità!”. Ed erano queste le parole che i suoi ragazzi si senti- vano rivolgere ogni giorno dalla sua bocca…».
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Il ritorno della malattia
Poco dopo il suo ingresso nel seminario, la malattia si ripresenta e Alessandro è costretto a continue cure alternate a frequenti esami e ricoveri. Se il dolore persistente costa fatica a ogni età, a vent’anni non lo si accetta facilmente, potendo apparire crudele e senza senso. Per Alessandro non è così: radicato nella preghiera (specie davanti a Gesù Eucaristia), fedele ai Sacramenti, costante nell’approfondimento della Parola, si abbandona fiducioso a Dio, nella certezza che tutto, ogni circostanza, è per un bene più grande.
Una “richiesta” continua”: diventare prete
Alessandro abbraccia Cristo, nella dolorosa malattia, e sperimenta gioia, pace e vera umanità. Confida: «La fede – come l’eternità – è fatta dall’attimo di amore intenso che si ha con il Padre. E per me, nella mia vita, entra proprio con un’unzione di un olio, con un profumo, il profumo dell’oggi per me di Gesù. E oggi lo assaporo nella malattia, senza avere timore di chiedere quello che veramente desidero: la gioia. E chiedere la gioia non significa per niente evitare nella vita gli ostacoli. Essere prete, essere uomo di Dio è forse un impegno che ti permette di buttarti a capofitto dentro il mare della vita, per alcuni della sofferenza, sapendo che, anche se ti senti verme, sei pur sempre custodito nelle mani calde del Padre».
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4 anni
Nella sofferenza riscopre il valore immenso della preghiera. La pace e la gioiosa serenità del seminarista Galimberti provengono senza dubbio dall’abbandono fiducioso e filiale in Dio. Una comunione totale e una piena immedesimazione.
Un giorno, mentre si sottopone all’ennesimo prelievo per dei controlli, Alessandro, all’improvviso, si fa serio ed esclama al dottore: «Dottore, io non le chiedo tanto, io non voglio tanto. Le chiedo solo di farmi vivere ancora quattro anni, il tempo di diventare prete. Le chiedo il tempo di celebrare una Messa, la mia Messa, una sola volta: una Messa vale tutte. Dottore, il tempo di una Messa…».
La messa nella cappella di Giovanni Paolo II
Celebrare la santa Messa è il suo desiderio più grande, insieme all’altro, quello di poter assistere a una Celebrazione eucaristica nella cappella privata di san Giovanni Paolo II. Quest’ultima richiesta viene esaudita: con grandissima gioia, Alessandro, insieme con i familiari, il 14 dicembre 2002 partecipa alla Celebrazione liturgica celebrata dal Pontefice.
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La “croce” di Alessandro
La malattia si aggrava. In una lettera rivela la sua intensa preghiera: «Padre mio, guarisci le mie infermità ma non come voglio io ma come vuoi tu». Per poi aggiungere che «questa è la preghiera più vera, nei tempi dell’angoscia, nei tempi in cui pensiamo di essere noi i fautori della nostra guarigione, i custodi della nostra salute. Ma questo non è vero. Le cose veramente grandi e di cuore le facciamo solo nella gioia di guardare Gesù e di stare presso la Croce».
“Barattolo di Nardo”
Alessandro Galimberti sale al Cielo, a 23 anni, il 3 gennaio 2004. La sua vita ispira il suggestivo lungometraggio “Voglio essere profumo“. Le lettere e le poesie-preghiere vengono raccolte in un libro, intitolato “Voglio essere come profumo di nardo“. Una delle più belle e dolci si intitola “Barattolo di Nardo“:
«Signore Gesù, voglio essere per Te
come quel barattolino di olio di nardo
che Maria riversò sui tuoi piedi.
Voglio essere come nardo per camminare con Te,
amare con Te le persone che incontriamo quotidianamente;
voglio essere strumento di rivelazione della tua presenza.
Dal mio profumo tutti devono sentire che Tu sei qui.
Dal mio profumo tutti si devono accorgere
della tua presenza, del tuo amore.
Consumami tutto Signore;
non lasciare che nessuna goccia vada sprecata.
Riversami dove Tu vuoi;
fa’ che il mio agire, il mio diffondere
la tua presenza parta sempre da Te
e non avvicini amori fatui, amori leggeri.
Io come quell’olio e come Maria
ho scelto la parte migliore che non mi verrà tolta.
Aiutami ad afferrarti Gesù.
Non permettere che la vita e i suoi buffi
e strani andamenti mi stacchino da Te.
ho trovato un tesoro, una perla preziosa;
non posso sprecare una così bella e grande occasione»