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Il tempo di un sorriso mi chiedevano quegli occhi, non un’elemosina veloce

ELEMOSINA, POVERO, CLOCHARD

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Chiara Bertoglio - pubblicato il 15/10/18

Nei tragitti a passi svelti delle nostre giornate impegnate può capitare un incontro veloce che ci cambia lo sguardo

Nel tragitto dalla chiesa alla stazione, che percorro tutti i venerdì mattina, incontro non meno di una decina di persone che chiedono l’elemosina. Nella maggioranza dei casi, è purtroppo molto evidente che si tratta di persone vittime dello sfruttamento della mendicità, e che una generosità di pochi spiccioli in realtà non risolve alcuno dei loro problemi alimentando invece una sorta di racket che vive alle spalle dei poveri.




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Oggi, avvicinandomi alla stazione, incontro invece un povero “diverso”. È anziano, almeno sembra. Un po’ curvo, si trascina dietro due trolley, probabilmente tutta la sua “casa”. Occhi bellissimi, da bambino, innocenti e luminosi anche se seminascosti da un berretto da baseball e da numerosi riccioli in parte biondicci, in parte già grigi. Mi colpisce con la sua aria buona e veramente bisognosa. Mi avvicino con un euro in mano.

OCCHI, AZZURRI, ANZIANO
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Pur avendomi vista estrarre la moneta dal portafogli, non tende la mano. Resa prudente da questo comportamento non comune fra le persone senza fissa dimora, mi avvicino con delicatezza chiedendo: “Mi permette di offrirle un caffè?”. Lui alza lo sguardo e sorride: “No, grazie. Però forse sa dirmi se questa domenica c’è qualche manifestazione speciale qui a Torino. Magari di auto d’epoca…”. E comincia a raccontarmi delle sfilate che ha visto, dalle auto da rally alle Vespe, di come gli piacciono. Io confesso la mia ignoranza sulle manifestazioni torinesi – il tempo è talmente tiranno che nemmeno mi informo su cosa c’è da fare in città, tante sono le cose “da fare” a casa e per lavoro. Lui si informa se sono una studentessa (grazie del complimento, penso fra me e me), io gli rispondo che sono musicista e lui si illumina: “Ah, questa è una cosa che mi interessa molto… alla sera, quando posso, vado ad ascoltare una violinista bionda che suona qui per strada”, mi confida, con lo stesso tono con cui avrebbe potuto dirmi che è abbonato alla stagione d’opera – solo che qui la strada si fa palcoscenico oltre che casa.

Il mio treno non mi aspetta. Saluto questo amico di pochi minuti, e me ne parto con l’euro fra le dita.


BAR, MANI, CAFFE

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Rainer Maria Rilke, con la follia paradossale dei poeti, raccontava di aver donato un giorno una rosa ad una mendicante, che poi per qualche giorno non si era più vista al solito posto in cui chiedeva l’elemosina. Ad un’amica che si stupiva, chiedendosi: “Di che cosa avrà vissuto in questi giorni?”, il poeta rispose: “Della rosa”.
Senza nulla togliere al dovere che chi è più fortunato economicamente ha di venire in aiuto della povertà materiale di tante persone in difficoltà, dovremmo sempre ricordarci che anche loro hanno bisogno “della rosa”, di una parola più che di un euro, del rispetto della dignità che porta a vedere in loro prima degli esseri umani con cui parlare ed a cui sorridere, e solo poi delle persone in condizioni difficili. E tutti possiamo essere un po’ “rose” per chi incontriamo, abbia il portafogli pieno o le tasche sdrucite e vuote.

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