Un mega-trend planetario che incontra però opposizioni agguerrite e una nuova, crescente presa di coscienza. Ha ragione il Papa: non è affatto una questione religiosaC’era da aspettarselo. Il fronte sostenitore della legge per la liberalizzazione dell’aborto in Argentina non si è ritirato in buon ordine a leccarsi le ferite ma, instancabile come paiono spesso i devoti a simili cause, ha già inaugurato altre strategie per sfondare gli argini.
Riforma del Codice penale, dichiarazione di incostituzionalità da parte della Corte Suprema, referendum popolare: sono le tre strategie individuate in Argentina dai sostenitori della nuova legge sull’aborto, bocciata il 9 agosto dal Senato di Buenos Aires con 38 voti contrari e 31 favorevoli (Avvenire)
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Attualmente il totale di aborti registrati nel mondo è di cinquantasei milioni. Un numero che non solo non cala ma va aumentando: erano 50,2 milioni in media tra il 1990 e il 1994. Un’ecatombe che però sembra non saziare gli appetiti di chi, nelle istituzioni, in soggetti terzi, negli organismi sovranazionali, tra gli attivisti per i cosiddetti diritti civili, continua a costringere l’opinione pubblica mondiale a mettere il tema in alto nelle agende e i governi a discutere se e di quanto allargare le maglie già non troppo strette di legislazioni a difesa del nascituro.
E se i difensori della vita sono spesso figli di Madre Chiesa questo è perché proprio la Chiesa pare essere rimasta l’unica a difendere la natura umana con la sola ragione. E non perché, come vogliono far credere insistentemente i pro choice, come miserevoli maniaci religiosi incapaci di modernità, invochiamo astrusi principi teologici a difesa di ciò che a loro avviso non va affatto difeso ma voluto o rifiutato; cercato o respinto. Sentito o meno. E’ del Santo Padre l’ultimo appello, in ordine di tempo e con una risonanza sufficiente, sebbene sempre il più possibile ovattata dai media main stream, che ricorda di cosa davvero si stia parlando. Nel volo di ritorno dal faticoso ma anche fruttuoso per molti aspetti incontro di Dublino, ha ricordato che
«Il problema dell’aborto non è religioso. No. È un problema umano, e va studiato dall’antropologia», a partire dall’«eticità di far fuori un essere vivente per risolvere un problema» (Ibidem)
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Chi vuole l’aborto praticabile sempre più facilmente e liberamente invece è perché ha cambiato nome a questo fatto. Non è l’azione specifica che sopprime una vita in particolare e non un’altra ma l’esercizio libero di un diritto da parte della legittima titolare dell’utero (quanto sono vittime, invece, proprio le donne di questa falsa libertà).
Estremo oriente: così lontani, così vicini
Un altro Paese preso in esame dal dossier del quotidiano dei vescovi italiani è la Corea del Sud. Il problema dei problemi per questa nazione, per il suo popolo, per l’economia, per tutti i settori della vita del paese è il crollo verticale della natalità.
Con 1,05 nascite per donna fertile nel 2017, il Paese è sceso al livello più basso dal 2005, lontanissimo dal dato necessario anche solo per garantire la popolazione sugli attuali 51 milioni. Negli anni ’70 e ’80 la Corea del Sud cercò con ogni mezzo di limitare le nascite che accompagnavano il boom economico con la distribuzione di profilattici e di pillole anticoncezionali, oltre a una strategia pressante di sterilizzazione tubarica e vasectomie portata quasi casa per casa col motto «Due sono troppi». (Ib.)
Ora potrebbe tragicamente correggerlo in “Due sono troppo pochi e ormai è troppo tardi”. Anche in un paese come quello, industrialmente e tecnologicamente avanzato, così diverso da India e Pakistan, famigerate in questo senso,, sussistono gravi discriminazioni contro le donne e le bambine; anche le appena concepite. Patisce quindi non solo una carenza di nuovi nati ma una disparità numerica tra maschi e femmine. Secondo indagini recenti il 20% delle donne sud-coreane in età fertile ha abortito almeno una volta.
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Eppure, nonostante la consapevolezza della maggioranze del popolo sudcoreano che si tratti di omicidio, ha raccolto grandi consensi la petizione per depenalizzare ancora di più le pratiche abortive, per allargane ancora di più l’esercizio. Attualmente l’aborto è legale nei casi di rischio per la vita della madre, della sua salute fisica e mentale, in caso di stupro, anomalie del feto.
Anche il Giappone non spicca per forza vitale e incremento dei nuovi nati. E cosa ha rifilato alla propria popolazione per decenni? Dal 1948 al 1996 sono state sterilizzate circa 25000 persone, i più piccoli avevano appena 9 anni. In nome di un progetto eugenetico. Il Giappone, che aveva subito dall’esterno lo squarcio insanabile dell’attacco atomico, si auto inflisse questo. A quale scopo? “Migliorare la qualità della nazione” recita il piano.
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California dreaming
Sì, siamo in USA, la patria delle libertà individuali, del sogno che tutti devono poter sognare. Il grande paese pieno di contraddizioni, delle cliniche abortiste con tutti i loro orrori non ancora completamente scoperchiati. Il posto dove è arrivato un presidente, che tra i primi atti del proprio mandato vanta quello di aver tagliato finanziamenti a Planned Parenthood per spostarli sul sostegno alla maternità.
Lungo la costa occidentale, in California, quella delle onde da surfare, delle colline, di Hollywood, dei vini rossi non male (pare!) degli ottimi college, sta avanzando un’iniziativa del Senato tutta dedicata alla quota giovane (femminile!) e sessualmente attiva della popolazione. Si tratta di investire soldi e risorse in anticoncezionali e” servizio post vendita”. Sì, nella pillola abortiva! La RU486 è quel tipo di intervento tempestivo ma a cose fatte per ripristinare la soddisfazione del cliente: consumare incontri sessuali senza contrarre gravidanze. (In questo caso ne godrebbe i benefici anche il maschio ma ne farebbe le spese soltanto la donna, lasciata sola ad assimilare i veleni del pesticida umano e a smaltire eventuali rischi per la propria salute oltre agli effetti psicologici dell’aborto. Questi però, va detto, colpiscono spesso anche gli uomini, i padri!).
Possiamo stare tranquilli, le coperture economiche ci sono. Il ricorso facile alla RU486 dovrebbe evitare la “ben più molesta” pratica dell’aborto chirurgico. Dal mondo pro life i dubbi e le obiezioni si alzano come un’onda anomala ma l’autrice del testo di legge è determinata. Ne va della salute della donna e dei suoi diritti, sostiene imperterrita la senatrice democratica, Connie Leyva.
Non te ne devi nemmeno accorgere. Si parla sempre di aborto e non di assorbenti.
In Kentucky nel mirino è finito l’obbligo per le donne che chiedono di abortire di sottoporsi a una ecografia durante la quale vengono mostrate immagini del feto. Con un ricorso alla Corte distrettuale, la Aclu, nota sigla del mondo pro-aborto, ha chiesto che tale obbligo venga rimosso poiché veicolerebbe un messaggio ideologico. (Ib)
Peccato siano stati frettolosi e non abbiano riletto bene le motivazioni addotte al divieto di ecografia. Forse si sarebbero accorti dell’effetto tragicomico. Cosa c’è di meno ideologico di vedere un bambino in formazione in presa diretta?
Siamo certi che conoscano bene i rischi tutt’altro che ideologici connessi a questa “barbara” pratica: “ma questo è il mio bambino ed è vivo!” potrebbe trovarsi a pensare la donna al di qua dell’ecografo. Meglio evitare.
Italia, Europa, resto del mondo. Di quelli che riescono a venire al mondo
Il nostro viaggio intorno al globo non è finito. Se pensiamo solo all’Italia e ci limitiamo ai conti ce n’è abbastanza per non dormire la notte: sei, 6, six, VI, milioni, 6.000.000 di aborti da quanto esiste la 194. Bambino più bambino meno. Eravamo finiti anche noi nelle agitate mire di sindacati zelanti, preoccupatissimi per il diritto all’aborto così tanto disatteso nei patri confini. La CGIL corre da mamma Europa e mamma Europa ci sgrida: in Italia troppo difficile abortire. Troppi obiettori e troppa coscienza.
In Irlanda del Nord si spinge per emulare la legislazione della repubblica d’Irlanda che ha visto la debacle del fronte non abortista al famigerato referendum di fine maggio scorso.
Lo stesso ministro della Salute nella parte sud dell’isola, il liberale del Fine Gael Simon Harris, ha detto che ora l’impegno è quello di uniformare la legislazione su tutto il territorio.(Ib.)
Nel frattempo la bozza della legislazione dopo la vittoria al referendum è in stand by. Pendono tre ricorsi presentati alla Corte di Giustizia da parte dei pro life.
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L’estensione planetaria nelle legislazioni e nelle coscienze dell’aborto concepito (ironia della sorte) come diritto sembra realizzare una mostruosa estensione. Se la donna che sola può essere madre, quando coltiva la propria natura rettamente, tende ad estendere il senso di accoglienza dai suoi intimi (soprattutto i figli che ha partorito) fino agli estranei più remoti vedendo anche nel nemico il figlio di una madre, ora sembra portare fin dentro i confini del proprio utero quel senso di distanza, alterità e minaccia che si attiva in noi quando all’orizzonte (fosse anche l’uscio di casa) vediamo avvicinarsi il nemico.