Nella sua enciclica Laudato si’ Papa Francesco ci invita a vivere «una ecologia integrale vissuta con gioia e autenticità». Esigente, sì, eppure la conversione ecologica è nondimeno accessibile. Proteggere la propria salute e il pianeta senza rovinarsi è possibile? È quanto afferma Clémence Pouclet, eco-consigliera per la salute ambientale e co-autrice del libro “Ma santé, ma planète, mon budget” [“La mia salute, il mio pianeta, il mio budget”, N.d.T.]. Ci dà dei consigli pratici e facili per una vita quotidiana più sana.
Papa Francesco non è il primo a interessarsi alla problematica ecologica. Nel 1971 Papa Paolo VI la presentava come «una conseguenza… drammatica» risultante dall’attività incontrollata dell’essere umano. Annunciava già «l’urgenza e la necessità di un cambiamento quasi radicale nel comportamento dell’umanità». Nella sua prima enciclica, san Giovanni Paolo II ha anche lui invitato a una “conversione ecologica” globale. Per proteggere la creazione, egli preconizzava la necessità di profondi cambiamenti quanto agli «stili di vita, ai modelli di produzione e di consumo, alle strutture di potere costituito che reggono oggi le società». Quanto a Benedetto XVI, egli ha sviluppato un approccio globale della protezione della creazione, ivi incluso l’ambiente, ma anche la vita, la sessualità, le relazioni sociali, la famiglia. È in questa continuità che si iscrive l’enciclica Laudato si’, con la quale Papa Francesco ci invita a vivere una “ecologia integrale”. Numerose famiglie hanno risposto a questo appello. Si assiste progressivamente all’emergenza di un nuovo modo di vivere, sano e armonioso, incarnato da una comunità di persone impegnate, proprio come Clémence Pouclet.
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G. d.L.: Nel suo percorso personale, che cosa le ha fatto prendere coscienza della necessità di cambiare il suo modo di vita?
C. P.: Non ho troppo merito, in questo, perché i miei genitori sono vegetariani da sempre. Mi hanno trasmesso questa sensibilità ecologica perché hanno rinnovato la loro casa in maniera interamente ecologica, tritano quotidianamente i loro rifiuti e mangiano bio. Erano già dei pionieri di questo stile di vita. La loro fede pure ha nutrito la nostra educazione. Ci hanno inculcato la coscienza della bellezza e della fragilità della creazione. Sono quindi stata imbevuta dei loro valori. All’inizio volevo fare qualcosa di umanitario, ma alla fine mi sono resa conto che si poteva agire qui per avere un impatto sul resto del mondo, nella fattispecie con i nostri modi di consumo. Ho quindi scelto di restare in Francia per cercare di modificare i nostri modi di vivere e condurci ad avere sul mondo un impatto positivo. Oggi mangio quasi al 100% bio e sono vegetariana. Nel mio quotidiano, faccio attenzione a tutti i prodotti per le pulizie, ai cosmetici, evito le onde elettromagnetiche e per spostarmi utilizzo i mezzi pubblici – alla bisogna affitto un’automobile. Adottando uno stile di vita alternativo, si evitano gli effetti collaterali della mondializzazione, che ha conseguenze drammatiche sulle popolazioni più povere. L’idea è di rompere il circolo vizioso della mondializzazione e di ridurre l’inquinamento dei Paesi del Nord per aiutare i Paesi del Sud. Nel nostro piccolo, dunque, possiamo agire facendo attenzione alle nostre scelte, e per me il rispetto della creazione si vede in queste scelte. Sono felice che il Papa incarni questo messaggio.
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G. d.L.: Dall’alimentazione al consumo, passando per la conservazione dell’ambiente e delle risorse naturali, la sua guida ci offre le chiavi di un cambiamento di vita integrale. Vuol dire che per lei “tutto è legato”?
C. P.: Secondo me tutto è legato. Credo molto nella forza della filosofia “pensiero globale, agire locale”. Agendo così, si prendono in considerazione tutti i fattori che avranno un impatto sull’ambiente e sull’economia. È un vero cambio di modello di società, che ci conduce verso un modo di vita più umano e urbano. Non si può cambiare tutto dall’oggi al domani, è il cammino che conta. I cambiamenti si fanno progressivamente, mano a mano che prendiamo coscienza dei nostri consumi irragionevoli. È questa lenta conversione a far sì che la cosa funzioni. Non bisogna farlo in modo coercitivo. Il nostro modo di vivere più responsabile e contemplativo cambia il nostro sguardo sul quotidiano e sul mondo. Una volta che si sia messo piede nella coscienza dell’ecologia, giorno dopo giorno si integrano nella nostra vita pratiche ambientali.
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G. d.L.: La sua guida è una vera miniera d’oro per agire in maniera concreta nel quotidiano, ma il programma è denso. Da dove si comincia?
C. P.: Mi sembra che la cosa più semplice sia cominciare dai prodotti per le pulizie: è facile e permette di risparmiare. Con dell’aceto bianco, dell’acqua, del sapone nero e del bicarbonato di sodio si può pulire tutto. Oltre a essere buono per l’ambiente, questo preserva la nostra salute e il nostro conto in banca. Anche in questo dominio ci sono meno affezioni personali legate alla nostra educazione, se pensiamo ad altri dominî come quello dell’alimentazione, che richiede maggiori sforzi. In un secondo tempo, si possono ridurre i prodotti che abbiamo in bagno. Gli studi mostrano che il rituale del mattino, a base di creme e cosmetici, ci espone fin dal risveglio a numerosi prodotti chimici. Possono invece adottarsi gesti molto semplici, come sostituire del gel doccia con un sapone solido, utilizzare un olio vegetale, per idratarsi, piuttosto che delle creme trasformate. È più sano, senza plastica e meno caro. Per le onde elettromagnetiche, che hanno un effetto nefasto sul cervello, si può spegnere il wifi a casa quando non lo si utilizza, o rimpiazzarlo con dei cavi ethernet. L’aria di casa deve essere rinnovata areando ogni giorno almeno 10 minuti. Infine, per l’alimentazione, il meglio sarebbe cominciare con le mele e le carote bio, perché sono i prodotti più esposti ai pesticidi e i meno cari.
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G. d.L.: Per molti essere ecologisti significa soccombere al “greenwashing”, una tendenza bio che costa cara al consumatore e fa il profitto di multinazionali, insomma una vera trappola per allocchi. Lei che ne pensa?
C. P.: C’è del vero e del falso. Il “greenwashing” esiste, questo è certo, e quindi è importante imparare a riconoscerlo. Sfortunatamente, alcuni grandi magazzini fanno creste importanti su del bio senza etichetta e lucrano sull’onda verde. Per evitare questo scoglio occorre un unico riflesso: l’etichetta. Ci si può fidare di etichette controllate da organismi indipendenti. L’agricoltura bio è il modo di coltura più controllato in Francia, con controlli annuali o biennali. La coltura bio implica obblighi nei mezzi, non nei risultati. La pioggia, l’aria, il vento porteranno sempre degli agenti inquinanti, ma il bio resta un male minore. È anche un modo di coltura più giusto per il produttore, che sarà rimunerato equamente. Personalmente, non aderisco alla critica dell’“allocco parigino”. Penso che ciascuno possa contribuire nel suo piccolo a una grande causa. Uno stile di vita ecologico è accessibile a tutti. Comprare frutta e legumi da un’associazione di agricoltori o consumare al dettaglio prodotti naturali e non trasformati sarà sempre meno caro che fare la spesa in un supermercato convenzionale. Bisogna ripensare e ricostruire la propria dispensa e la propria casa.
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G. d.L.: Lei è una donna che lavora e una giovane mamma di tre bambini. Il suo stile di vita è davvero conciliabile con la sua attività e con la sua vita famigliare?
C. P.: Si pongono due questioni, la gestione del budget e quella del tempo. Io sono convinta che un modo di consumo convenzionale non mi permetterebbe di tirare su tre bambini. Realizzo risparmi considerevoli, con questo stile di vita alternativo. Nutro i miei bambini con prodotti freschi e bio, faccio attenzione al mio consumo d’acqua, di energia e non consumo mai prodotti lavorati o usa e getta, che sono costosi e inquinanti (pannolini, prodotti per l’igiene, detergenti intimi…): utilizzo soluzioni alternative. Finanziariamente è un vantaggio considerevole. La gestione del tempo richiede maggiore organizzazione. Ridurre i rifiuti, per esempio, impone di venire a fare la spesa al dettaglio con dei contenitori. Cucinare a casa richiede pure il suo tempo. Ma tutto sommato non credo di dedicare alla casa più di una mamma “non bio”.
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G. d.L.: Più che uno stile di vita, di consumo e di alimentazione, avverte un sentimento di armonia e di pienezza?
C. P.: Tutto il tempo che consacro alla cucina e alla casa sono momenti di qualità che condivido con la mia famiglia. Col mio stile di vita coltivo il legame con la terra e con i miei prossimi. Oggi si vuole dedicare sempre meno tempo e denaro all’alimentazione, mentre invece è il pilastro di una vita sana e l’occasione di vivere momenti di qualità. Cucinare o fare la spesa diventa un momento piacevole quando si compra altro che alimenti incellofanati o surgelati al supermercato. È uno stile di vita che permette di conciliare vita professionale e realizzazione personale. Credo che al giorno d’oggi si viva troppo rapidamente, e i genitori risultano assenti. Mi sembra che il nostro stile di vita riveli un problema di società, e che i genitori dovrebbero essere più presenti a casa. Si dovrebbe poter lavorare part-time o per tre quarti di tempo, e lasciare così tempo per la famiglia, la casa, il giardino, i passatempo. Consumare meno significa accettare di essere più modesti, di non essere nell’iperconsumo, e di vivere più tempo di qualità in famiglia. Non è alienante far vivere la propria casa, se in questo stile di vita si trova del senso. La nostra vita quotidiana prende allora tutto un altro sapore.
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[Traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]