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La vocazione di Eseosa: tornare in Nigeria per costruire una casa a Dio

NIGERIA, ESEOSA, ORFANOTROFIO
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Annalisa Teggi - Aleteia - pubblicato il 02/05/18
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Nella terra di Boko Haram, del Voodo e della corruzione dilangante, ci sono bambini abbandonati per strada che implorano: “Prendimi, mamma” e lei li accoglie.

Si chiama Eseosa, che significa «dono di Dio», è nigeriana ma vive da tantissimi anni in Italia dove si è sposata e ha messo su famiglia. Poi Dio è entrato di prepotenza nella sua quotidianità, ed è nato un progetto incredibile a priori: è tornata nella sua Nigeria, lacerata da guerre e corruzione, e sta mettendo in piedi una «Casa per Dio» dove accoglie e dà un futuro ai bambini abbandonati. Ecco la sua intervista in cui, alle mie insistenti domande su come pensa, progetta e porta avanti questa missione, lei ha sempre risposto: «la fede prima di tutto».

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Cara Eseosa, hai contattato noi di Aleteia per far conoscere un tuo progetto di solidarietà in Nigeria. Ci racconti chi sei?

Sono molto riservata come persona, non avrei mai pensato di espormi in pubblico e non è importante quello che riguarda la mia vita privata. La cosa da sapere è che la fede mi ha portata a realizzare un centro di aiuto per i bambini in Africa.

La fede, ecco: come hai incontrato la chiesa cattolica?

Sono nata in Nigeria, da una famiglia strana: mio nonno era prete anglicano, mia nonna invece non andava neppure in chiesa. Direi, comunque, di appartenere a un ambiente familiare cristiano, mia mamma era una donna di fede. La chiesa cattolica ha sempre esercitato un fascino su di me, da quando a 15 anni fui mandata in una scuola cattolica per un anno: la sentivo come casa mia, mi sarebbe piaciuto restarci.
Una volta arrivata in Italia mi sono sposata e ho cominciato ad andare in chiesa con mia suocera, 16 anni fa. Dopo qualche mese ho cominciato a cantare nel coro della mia parrocchia, a Crenna di Gallarate. Sono quindi cattolica per scelta, ho ricevuto il Battesimo da adulta.


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Una bella famiglia in Italia, una fede che ha riempito di senso la vita. Perché mandare all’aria questa serenità e tornare in Africa?

Ho ricevuto una chiamata spirituale, questa è la verità. Raccontando cosa è accaduto, rischio di passare per matta, ma è la verità. Dio ha insistito con me, mostrandomi in sogno un’ipotesi da realizzare nella realtà; all’inizio non ci davo peso. Una cosa posso condividere di questo messaggio che Dio mi mandava: dovevo tornare in Africa «per far splendere la sua luce». Il sogno è tornato più volte, ma io lo rifiutavo perché mi chiedeva un impegno in Nigeria che non potevo sostenere. È cominciata l’insonnia, non volevo più dormire. Poi mi sono confidata con mio marito, per capire se ero suggestionata da un eccesso di spiritualismo. In seguito, parliamo di 5 anni fa, mi sono confrontata col mio parroco, pensando che mi avrebbe detto che ero matta. Invece, ascoltandomi, ha cominciato lui a muoversi, a fare in parrocchia una raccolta di vestiti ed elettrodomestici da mandare in Africa. E, dunque, io mi sono trovata coinvolta in quest’opera e, allora, ho detto a Dio: «Sia fatta la tua volontà». Da quel momento ho ricominciato a dormire senza problemi.


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Raccontaci meglio in cosa consiste quest’opera che è cominciata.

All’inizio è cominciata, appunto, come una raccolta di vestiti e altri piccoli oggetti da portare in Africa: metà del materiale veniva venduto per raccogliere fondi, l’altra metà ero io stessa a distribuirla tra chi aveva bisogno. Mi sono lasciata guidare da Dio, in questa fase, e l’ho sempre sentito vicino. Tutto parte dalla città dove sono nata e dove ci sono ancora i miei parenti, Benin City. Mi muovo, cerco chi ha bisogno, senza badare alla cultura o alla religione. Nella città di Lagos ho visitato i villaggi più poveri, a prevalenza musulmana, e ho dato vestiti a molte famiglie. Nella mia città, mi reco all’ospedale dove nascono i bambini e dono alle neo-mamme generi utili alla sussistenza. Non chiedo nulla, solo che preghino dicendo: «Dio, grazie».
Col tempo si è imposto alla mia attenzione un problema serio che affligge la Nigeria: gli orfani.
L’anno scorso mi sono ritrovata ad assistere due bambini di 8 e 9 anni, violentati. La storia della bimba di 9 anni è emblematica: rimane orfana e viene mandata a vivere ad Abuja presso la famiglia di uno zio; un giorno la mandano a fare un acquisto e durante il tragitto viene violentata. A seguito di ciò, la bambina è stata rifiutata dalla famiglia dello zio, perché in Nigeria viene considerata colpevole dello stupro la vittima: si crede che la femmina abbia dentro di sé un demonio che costringe l’uomo a violentarla. Questa è la realtà nigeriana, schiava di queste superstizioni che fanno danni.

Noi siamo lontani dalla Nigeria, abbiamo tristi luoghi comuni sulle nigeriane, voci terribili delle stragi di Boko Haram. Ci fai un breve quadro della tua nazione?

La Nigeria copre un territorio vastissimo pieno di religioni, culture, tradizioni diverse. Ci sono più di 200 lingue parlate e ogni città ha il suo dialetto. L’unico modo di comunicare è un inglese pidgin (semplificato). Una cosa da dire con chiarezza è che è un paese molto corrotto e questo si configura come una piaga tremenda che campa sull’ignoranza del popolo. Voglio fare un esempio clamoroso.


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I giovani che vogliono entrare in università devono sostenere un esame d’ingresso a pagamento; i soldi complessivi versati l’anno scorso per tale esame ammontavano a 36 miliardi di euro e sono tutti spariti, cioè anziché finire nella banca delle università se li sono spartiti in modo illegittimo. Quale giustificazione è stata data per un ammanco del genere? È stato detto, da fonti ufficiali, che un serpente gigante ha mangiato tutti i soldi; e il popolo ci ha creduto senza battere ciglio. Il Vodoo e altre superstizioni malvagie sono molto radicate tra la gente, tuttora.
Ci sono altre cose che mi sconcertano: c’è una grande mancanza di fede nei giovani, rispetto a quando sono nata io e un grande assenteismo scolastico. Si è innescato un modo di pensare sbagliato, per cui l’idea fissa è scappare in Libia per poi venire in Italia. Un tempo era considerato un male avere una figlia femmina, ora è il contrario: perché è la femmina quella che, venendo in Europa, può fare più soldi.

Eppure adesso, in questa nazione grande, ferita e complicata, c’è il piccolo seme di luce che hai piantato tu. Ha costruito una casa, giusto?

Esiste in Nigeria un ufficio che dovrebbe occuparsi degli orfani, ma non fa il suo dovere fino in fondo. Insieme agli addetti di quest’ufficio sono stata a vedere le strade in cui i bambini vivono e dormono, abbandonati. È straziante, appena vedono una donna dicono: «Prendimi, mamma!». E vorresti prenderli tutti. Non è possibile; per cominciare io sono riuscita a prenderne cinque.


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Quindi sì, ho costruito una casa che non è un orfanatrofio; ho voluto chiamarla «casa per Dio» perché lui mi ha aiutato a metterla in piedi. Sono partita da zero a fare i lavori burocratici e le fondazioni dell’edificio. Mi sono ritrovata con una forza che non credevo di avere; e certo, anche alcuni amici e parenti mi hanno dato una mano. Vorrei che questo luogo fosse un punto di aiuto per il futuro dei bambini, non solo un tetto per farli mangiare, bere e dormire. Ho comprato anche un terreno che potrebbe essere coltivato per permetterci di avere un’economia autonoma e sostenerci da soli. Vi ringrazio per avermi permesso di raccontare la mia storia e dell’aiuto che vorrete dare alla mia fondazione che si chiama Unchangeble God of Mercy and Grace Foundation (Dio non cambia mai, sarà con te sempre ed è Dio di Misericordia e Grazia)

#heavensdoor