La vicenda è accaduta quando è arrivata a Roma l’urna con i resti di Don Giovanni BoscoDon Giovanni Bosco, santo fondatore della congregazione salesiana, risulta il solo uomo che abbia avuto un cane per angelo custode, o al limite un angelo che si mascherava da cane… Sulla sua stupefacente vicenda scherzava egli stesso: “Dire che era un angelo farebbe ridere. Ma non si può dire nondimeno che fosse un cane come gli altri”. In sostanza, la fama che aveva cominciato a circondare don Bosco gli era costata minacce, aggressioni e tentativi di avvelenamento da parte di gruppi massonici e di sette evangeliche piemontesi che non vedevano di buon occhio l’impegno del sacerdote. Il vecchio capannone, chiamato Casa Pinardi, dove aveva installato la sua fondazione si trovava in un sobborgo torinese oscuro e deserto.
Una sera piovosa del novembre 1854 don Bosco rientrava da solo a casa, quando tutt’a un tratto un gigantesco molosso dal pelo grigio scuro, uscito da chissà dove, gli si piazzò dinanzi. Il cane era così impressionante che don Bosco si fermò di colpo con il respiro bloccato, ma l’animale lo guardava con grandi occhi dolci, agitando la coda, e si andò a sdraiare ai suoi piedi leccandogli le dita. Da quella sera il cane, battezzato Grigio, divenne familiare per don Bosco, che aveva anche provato a chiedere se fosse di qualche contadino dei dintorni: vane ricerche, poiché nessuno aveva mai visto la bestia.
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Trascorsa qualche settimana il sacerdote si trovò nuovamente a percorrere da solo quella strada, quando si accorse che due uomini lo stavano inseguendo. Lo raggiunsero e gli gettarono un sacco di tela sulla testa, ma d’improvviso piombò su di loro Grigio, abbaiando e mordendo come una muta di cani. Aggressioni di questo genere si ripeteranno e ogni volta Grigio comparirà dal nulla, mettendo in fuga i malfattori, anche armati. Nell’intervallo fra tali episodi, nessuno lo vedrà circolare per le strade. Quelle rare volte in cui si presentò a Casa Pinardi non prese mai nulla da mangiare o da bere, cosa singolare in un randagio.
Questa protezione durò a sufficienza per far stancare gli aggressori. Da quel momento Grigio sparì dalla vita di don Bosco altrettanto misteriosamente come vi era entrato. Nel 1864 il sacerdote, che non aveva rivisto il cane da quasi dieci anni, stava recandosi a casa di amici, ma aveva smarrito la strada. Improvvisamente una rasposa linguata sulle dita gli fece abbassare gli occhi: era Grigio, che accompagnò don Bosco fin sulla soglia degli amici e poi andò via. Dopo altri diciannove anni, nel 1883, a don Bosco capitò nuovamente di perdersi. Neanche il tempo di allarmarsi e Grigio era là, affettuoso e scodinzolante, senza un pelo bianco e con il sicuro senso dell’orientamento che tante volte aveva già manifestato. Trentadue anni erano ormai trascorsi dal primo incontro, stupefacente longevità per un cane…
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Il cardinale Tarcisio Bertone, salesiano e già segretario di stato Vaticano, nel suo libro autobiografico intitolato “I miei Papi” edito dalla LDC nel 2018 parla del cane grigio quando sotto il pontificato di Giovanni XXIII l’urna di don Bosco arrivò a Roma e descrive una sua esperienza: “Giovanni XXIII ebbe il merito e anche l’onore di inaugurare a Roma il tempio dedicato a don Bosco a Cinecittà.
Si decise in quella occasione di far venire a Roma l’urna di don Bosco e di presentarla alla venerazione insieme all’urna di San Pio X che tornava da Venezia, dove era stata offerta alla devozione dei fedeli. Le due urne si incontrano a Roma tra stazione Termini e Vaticano. Don Bosco rimase a Roma dal 30 aprile circa al 12 maggio 1959. Il 1° maggio il santo ricevette l’omaggio dei fedeli al nuovo tempio di Cinecittà. Il 2° maggio vi fu la consacrazione del tempio, presieduta dal Cardinale Bbertobertenedetto Aloisi Masella. Il 3 maggio ebbe luogo la visita di Giovanni XXIII sulla spianata di Cinecittà davanti ad oltre centomila persone. L’11 maggio l’urna fu trasferita alla Basilica del Sacro Cuore, costruita da Don Bosco in via Marsala (vicino alla stazione Termini).
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Il 12 maggio, dopo aver atteso l’arrivo dell’urna di San Pio X alla stazione Termini, le due urne furono recate processionalmente attraverso le vie della città in piazza San Pietro per l’omaggio di Giovanni XXIII e di una moltitudine di devoti. Il 13 maggio, dopo una sosta nella Basilica di San Pietro e una breve celebrazione in suo onore, l’urna partì per il ritorno a Torino.
Conosciamo dalla storia di san Giovanni Bosco la presenza di un cane misterioso, il famoso “Cane grigio” che interveniva ogni tanto per proteggerlo dalle aggressioni. Ebbene, l’urna di don Bosco fu protagonista di un episodio molto interessante, e vale la pena di ascoltare in proposito il racconto del signor Renato Celato, anziano salesiano ancora vivente che dovette rispondere tante volte alla domanda: “Che cosa ricorda del misterioso cane che vide accanto all’urna di don Bosco?”.
Egli racconta: «Ho potuto vedere, toccare, accarezzare quel misterioso cane dopo l’inaugurazione del grande tempio di Cinecittà, eravamo di ritorno da Roma con l’urna di don Bosco. L’urna era rimasta a Roma vari giorni. Era venuto ad onorarla anche papa Giovanni XXIII. L’urna di don Bosco rimase due giorni in San Pietro, intanto che si facevano le pratiche burocratiche per il viaggio di ritorno a Torino. Siamo partiti da Roma nel tardo pomeriggio. Cominciava a farsi buio. Dovevamo arrivare a La Spezia alle quattro del mattino, sennonché eravamo stanchi e l’Economo Generale, don Fedele Giraudi, ci consigliò di fermarci un paio d’ore a Livorno dai Salesiani. Arrivammo a La Spezia verso le sette invece che alle quattro».
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«Il confratello sacrista, Signor Bodrato, aveva aperto le porte della Chiesa alle quattro e mezzo e aveva visto questo cane accovacciato davanti alla porta – prosegue il signor Celato – e gli aveva rifilato un calcio per mandarlo via. Senza reagire, il cane si era ritirato in disparte ed aveva aspettato l’arrivo dell’urna. Quando siamo arrivati, abbiamo portato l’urna in chiesa e l’abbiamo appoggiata su un bancone dei falegnami; il cane ci ha seguiti e si è accoccolato sotto l’urna. Lì per lì nessuno ci ha badato. Poi quando incominciò ad arrivare la gente e iniziarono le Messe e le funzioni, il direttore si preoccupò e disse ai carabinieri: “Mandate via questa bestia che sta sotto l’urna!”. Ma non ci riuscirono. Il cane digrignava i denti e sembrava arrabbiato. Rimase là fino a mezzogiorno. A quell’ora chiusero la chiesa. Il cane uscì e cominciò a gironzolare tra i ragazzi in cortile».
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«I ragazzi naturalmente erano felici di averlo in mezzo a loro – evidenzia ancora il signor Celato – lo accarezzavano, gli tiravano la coda. Mi unii anch’io a loro. Andammo a pranzo. C’erano l’Ispettore, tutti i direttori dell’Ispettoria, i novizi e i confratelli che erano riusciti ad entrare. La sala da pranzo era al piano superiore».
«Durante il pranzo vedemmo questo cane che tranquillamente spinse la porta con le zampe anteriori ed entrò. Cominciò a gironzolare tra le tavole. Don Salvatore Puddu, segretario del Consiglio Superiore, gli sferrò un calcio, ma il cane non si scompose e continuò a passeggiare. Gli offrirono pane, prosciutto, salame. Annusava in segno di gradimento, ma non toccò niente. Rimase lì per tutto il pranzo». Poco prima della preghiera finale, aprì di nuovo la porta da solo ed uscì. Verso le quattordici, tornammo in chiesa per ripartire, perché il viaggio era ancora lungo.. il cane era di nuovo accovacciato sotto l’urna. Come aveva fatto ad entrare? La chiesa aveva le porte sbarrate, com’è facile immaginare. Caricammo la pesantissima urna sul furgone e il cane era ancora lì in mezzo a noi. Ho lasciato in archivio una fotografia che documentava quel momento. Partimmo per Genova Sampierdarena, passando per il valico del Turchino. Non c’era l’autostrada allora. Don Giraudi, che era in macchina con me, mi diceva ogni tanto: “Stà attento, guarda un po’ se c’è il cane!”. C’era. Sempre dietro il nostro furgone, anche in città. Lo vidi ancora fino al terzo tornante della salita. Poi scomparve».
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