“MEDIATORE” TRA MILANO E IL MONDO
E’ tutto questa straordinarietà del personaggio ad aver fatto ricadere la scelta su di lui. «Abbiamo fatto un film su Martini – sentenzia il regista –perché ogni capitolo della sua vita ha potuto rappresentare l’occasione per rivivere emotivamente un capitolo della nostra stessa esistenza, di ciascuno di noi. Potremmo addirittura immaginarci un diagramma, una sorta di tabella, in cui mettere in colonna da una parte gli avvenimenti del mondo, dell’Italia, di Milano; dall’altra disporre quelli della Chiesa di Milano, della Chiesa di Roma, della Chiesa universale; in mezzo porre Martini, come punto di raccordo, di incontro, di dialogo tra le tante situazioni. E a parte, in un’ulteriore colonna, potremmo indicare le aperture al futuro rese possibili da quell’intreccio di scambi».
L’INFLUENZA DI SANT’AGOSTINO
Un film con un’impostazione agostiniana, dunque, “questo vedete, sono uno di voi“. È Agostino a scrivere nelle Confessioni che i “tempi sono tre: il presente del presente, il presente del passato e il presente del futuro“. Del resto si sa che Martini conosceva e amava molto Agostino.
E’ ne metteva in pratica il pensiero. «Ad esempio – evidenzia Olmi – quando teorizzava la solitudine in cui vive l’uomo, di cui si incomincia oggi ad avere consapevolezza. Oppure il diffuso senso d’ingiustizia. E ancora la precarietà, che non è solo quella riferita al lavoro che manca o che risulta inadeguato rispetto ai bisogni e alla dignità; lo smarrimento delle persone; la perdita di fiducia, soprattutto nell’altro».
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“VEDEVA OLTRE IL PRESENTE”
Ecco, sottolinea il regista, «il tempo presente è l’oggi. Noi raccontiamo, ma cerchiamo di far capire che ci stacchiamo dalla narrazione, che siamo degli interroganti. Sono le nostre continue domande che fanno procedere il racconto cinematografico. Dai sogni dell’infanzia arrivi al sogno della giustizia tra le persone. Credo che Martini ci abbia aiutato a capire anche un tale passaggio».
Perché, secondo Olmi, «ha attraversato situazioni molto difficili, nelle quali ha visto che al massimo di dolore può corrispondere il massimo di speranza. Pensa solo al “benvenuto” che quasi da subito Milano gli ha dato con il terrorismo, lui che accorre a benedire le vittime, a celebrare i funerali, a dover cercare un senso a tante morti per i parenti, per la città, per la gente che gli è stata affidata, oltreché per sé, sottratto ai suoi libri e catapultato qui. Credo che lo abbia sorretto molto in questa capacità di vedere oltre l’istante e l’immediato delle situazioni una circostanza all’apparenza privata».
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