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Il carico mentale: quando le donne si esauriscono per pensare a tutto

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Lucile Mathieu - pubblicato il 15/05/17

Denunciato dal fumetto “Fallait demander” [“Bastava chiedere”], che gira su Facebook, il fenomeno del carico mentale consiste nel pensare a tutto, continuamente, per riuscire a svoltare la giornata di tutta la famiglia. Le dirette interessate: le donne.

Il fumetto di Emma, 36 anni, ha fatto il giro del web in qualche giorno, scatenando più di 12mila commenti e circa 60mila condivisioni sulla sua pagina Facebook. La giovane donna ha saputo trovare le parole giuste per illustrare un fenomeno nel quale tanti internauti si sono riconosciuti: il carico mentale.

Che cos’è il carico mentale?

Il fenomeno corrisponde a tutto il lavoro invisibile che permette di far funzionare efficacemente un ambiente domestico. Prima di parlare di suddivisione dei compiti nella coppia, si tratta di tutte le piccole cose alle quali le donne pensano di continuo. Pensare che presto non ci sarà più carta igienica è che bisogna aggiungerla sulla lista della spesa, che bisogna prendere appuntamento dal medico per i richiami del vaccino, prenotare i biglietti del treno per quest’estate, trovare un di sotto nero e un di sopra bianco per la festa di fine anno, rinnovare le iscrizioni alle attività dei bambini… Per potersi dedicare a queste cose, o anche per delegarle, bisogna anzitutto porvi il pensiero, ed è appunto questo che Emma denuncia nel suo fumetto: troppo spesso la donna resta sola a pensare a tutto, laddove il partner si pone in un atteggiamento attendista e trova logico che gli si chieda di fare le cose. La donna diventa allora il “capoprogetto del focolare”.

Questo fenomeno la sociologa Susan Walzer l’aveva già identificato nel 1996 nel suo studio intitolato “Thinking About The Baby”. Dopo aver intervistato 23 coppie che avevano avuto figli nel corso dei precedenti 12 mesi, ne deduceva che le donne si assumono i pesi legati all’educazione del bambino e alla manutenzione dell’ambiente domestico già sul piano mentale, emozionale e intellettuale. La sociologa constata che le donne si preoccupano, organizzano e delegano più del loro compagno. Anche quando i lavoretti domestici sono equamente suddivise con il padre, sono sempre loro quelle che cominciano a stabilire la lista delle cose da fare. Insomma, tutto quello che avrebbe espresso Emma.

Sotto il link della disegnatrice, su Facebook, sono fioccati gridi dall’anima di mogli, madri e concubine. Ad esempio Maëlle scrive: «Mi parla così a fondo che mi ha fatto piangere! Eppure ho un convivente di cui non posso affatto lamentarmi, che fa un sacco di cose che neanche devo stare a chiedergli di fare. Ma sto sempre a pensare a quello che va fatto, a casa e fuori. Non mi riposo mai…»

Prima di diventare così virale in Francia, l’argomento era già stato oggetto di polemica Oltreoceano, lo scorso dicembre, quando Ellen Seidman, mamma di tre bambini, aveva condiviso sul proprio blog un poema sul fenomeno: «Sono quella che si rende conto di…». E spiegava: «Il dentifricio è già finito, come pure il collutorio al gusto di gomma da masticare e il filo interdentale». «Sono io quella che si rende conto che… non abbiamo più barrette di cereali, merendine, frutta secca o compresse di legumi, e tanti altri snack che ci salvano la vita». Ed enumerava tutti i pensieri stressanti che ogni giorno si aggiungono alla to do-list mentale delle donne.

Un fenomeno percepito differentemente a seconda delle età della vita

La donna sembra perseguitata dal fenomeno del carico mentale in ogni momento della propria vita: che sia una ragazza che convive, una neomamma o una moglie agguerrita.

Camille, 30 anni e madre di due bambini piccoli, commenta: «Prima di sposarmi e di avere bambini, già risentivo il fenomeno in cose semplicissime come il fatto di pensare a comprare il dentifricio, riflettere sulla decorazione dell’appartamento… ho l’impressione che gli uomini invece abbiano la tendenza a lasciarsi trasportare, dal momento in cui si mettono con qualcuno». Eppure afferma che tutto questo le scivolava abbastanza addosso, prima di aggiungere: «La cosa cambia con l’arrivo del primo bambino».

Nel suo fumetto, Emma descrive il circolo vizioso nel quale restano impantanate le giovani mamme. Mentre il papà torna al lavoro appena 11 giorni dopo il parto, la madre si ritrova a smaltire tutto un ventaglio di cose da fare per gestire la quotidianità del neonato. Alla ripresa del lavoro, la donna preferirà continuare a fare quelle cose invece che delegarle al padre… semplicemente per fare prima.

«Durante la gravidanza, tutto il carico mentale riposa naturalmente sulla madre, poiché è lei che porta il bambino. È lei che prende gli appuntamenti per le ecografie, cura di essere seguita dal medico…», confida Camille. «In maternità, visto che si ha tutto il tempo da dedicare al bambino, s’innesca tutta una dinamica: per forza di cose si ha più tempo per comprare i vestiti del bambino, preparare i pasti e curare gli appuntamenti medici. Ma l’altro non si rende necessariamente conto dello stato di spossatezza che rappresenta questo carico mentale. Alla fine ci si sente incomprese. Dopo la nascita del mio secondo figlio avevo la percezione che questo carico diventasse una piovra, ed ero arrivata talmente vicina al burn-out che non vedevo l’ora di tornare a lavorare».

È proprio alla ripresa del lavoro che casca l’asino, allorché la mamma fatica molto ad assumersi insieme il proprio carico mentale personale e professionale. Per Camille, «malgrado tutto cerchiamo di tenerci questo carico mentale per mantenere il legame col bambino. Però bisogna saper mollare la presa e agire rapidamente fin dalla ripresa, prima di trovarsi totalmente sommerse».

Come fare del carico mentale un progetto portato in due?

Mollare la presa prima di trovarsi sommerse, la questione è proprio lì. Alcuni internauti l’hanno ben capito, come David, che sotto al fumetto di Emma commenta: «Se volete che la smettiamo di essere dei meri “esecutori”, forse dovreste smetterla voi di dirci – quando facciamo qualcosa senza prima consultarvi – che la stessa si sarebbe dovuta fare in altro modo, anzi che non bisognava farla affatto… Certo che facciamo le cose in modo molto diverso, rispetto a voi, ma c’è poco da discutere: è il nostro modo di fare. Quando uno si abitua a sentirsi sempre dire che non bisognava fare così, e ci si sente dire come le cose vanno fatte, alla fine si rassegna ad attendere semplicemente le direttive e gli “ordini”». Chi non si riconosce nell’analisi di David scagli la prima pietra.

Isabelle Nicolas, terapista di coppia, conferma l’importanza del saper passare la mano all’altro: «Non si tratta di delegare, ma di passare la mano e lasciar fare chi di dovere. Se le cose non vengono fatte come si vuole che vengano fatte, bisogna tenersele così e mordersi la lingua».

Secondo lei, il carico mentale non è una fatalità femminile e possiamo decidere di ripartirla in seno alla coppia: «Una coppia e una famiglia sono due adulti che creano un sistema. Niente va a posto spontaneamente. Se uno si aspetta che le cose si organizzino da sé, non accade niente e uno dei due finisce per gestire tutto da solo. Bisogna realmente decidere di ripartire il carico mentale tra marito e moglie, e che ciascuno diventi capoprogetto nel proprio settore».

Come in un’impresa, si tratta di fare brainstorming per mettere in atto un sistema che corrisponda bene al progetto di vita della coppia. Questo ingranaggio potrà certamente evolversi col mutare delle situazioni professionali e delle aspirazioni personali dei coniugi. Così si potrà essere una volta “capo del progetto spese” e poi passare alla gestione del progetto delle attività extrascolastiche dei bambini in un altro momento della vita. L’essenziale è che ciascuno gestisca il proprio progetto dalla A all Z, e questo include evidentemente il carico mentale legato all’argomento. Eppure Isabelle insiste sul fatto di non avere un àmbito riservato: «Anche quando si è capoprogetto, bisogna sempre consultare l’altro, che non deve diventare uno straniero a casa propria».

Per mettere in opera un’organizzazione che funzioni, Isabelle consiglia di scrivere nella propria agenda professionale i compiti personali da gestire, ma pure di avere un calendario di riferimento, a casa, dove sono annotati gli imperativi di ciascuno. Se un giorno uno ha una riunione a un’ora inattuale, l’altro deve saperlo per potersi organizzare e far evolvere la propria gestione del progetto.

«L’importante è non restare ficcati in un sistema che non ci aiuta. Se sopraggiungono in uno dei due un cambiamento di stato d’animo o un esaurimento, bisogna parlarne per cambiare la procedura prima di sentirsi completamente sommersi. In ogni caso, se si vive male qualcosa e non si dice niente, si porta la responsabilità che la cosa perduri».

E prosegue: «C’è una soddisfazione indicibile nel gestire insieme l’ambiente domestico: si crea un’ammirazione reciproca! Che bello sapere di poter contare sull’altro coniuge, che bello ammirare che contribuisca a tenere in piedi il nostro progetto di vita comune!». Tra due buoni consigli, Isabelle condivide pure una bella frase, che suo marito dice regolarmente ai loro amici e alle giovani coppie che preparano al matrimonio: «Non è che aiuto mia moglie: io gestisco con lei la nostra casa». Da rifletterci su…

[traduzione a cura di Giovanni Marcotullio]

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