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Vatileaks, Lombardi: ci interessa la verità, non l’immagine

Vatican Insider - pubblicato il 02/02/17

«Non sono mancate persone che pensavano che il processo non andasse fatto per evitare il danno di immagine. Io, forse perché sono un po’ vecchio e un po’ duro, ho una linea completamente diversa su questa vicenda…»: padre Federico Lombardi, fino a pochi mesi fa direttore della Sala Stampa vaticana, ha seguito passo passo il processo sulla fuga di documenti riservati della Santa Sede, Vatileaks 2, iniziato nel tribunale dello Stato vaticano il 24 novembre 2015 e concluso il 7 luglio scorso con le condanne dei due principali imputati, monsignor Lucio Angel Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui: all’epoca membri della commissione voluta da Papa Francesco per istruire la riforma finanziaria vaticana, e il proscioglimento di un loro collaboratore e dei due giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, autori dei bestseller che hanno pubblicato i documenti in questione, «Via crucis» (Chiarelettere) e «Avarizia» (Feltrinelli).  

Conclusa quella vicenda – che il gesuita non esclude possa ripetersi – e pubblicate, la vigilia di Natale, le motivazioni della sentenza , Lombardi ha dato ora alle stampa un libro,«Vatileaks 2 – Il Vaticano alla prova della giustizia degli uomini» (Rizzoli), in collaborazione con il giornalista Massimiliano Menichetti che quel processo ha raccontato sulla Radio Vaticana, per «dare conoscenza dell’adeguato funzionamento della giustizia in Vaticano, realtà molto poco nota, e fornire una documentazione di come nel processo è stato affrontato il tema della libertà di stampa e il coinvolgimento di due giornalisti». Ma anche per lasciare all’opinione pubblica, e agli atti della storia, i passi avanti compiuti in questi anni dal Vaticano in termini di trasparenza. 

«Non sono mancate persone che pensavano che il processo non andasse fatto per evitare il danno di immagine», ha detto in una affollata conferenza stampa ospitata dalla Sala Stampa estera padre Lombardi, che già nei mesi scorsi aveva scritto per la «Civiltà cattolica» un articolo che rappresentava al contempo una cronaca del processo e un’analisi del suo significato per il Vaticano. «Io, forse perché sono un po’ vecchio e un po’ duro, ho una linea completamente diversa su questa vicenda, così come l’ho avuta diversa su altri casi, ad esempio gli abusi (sessuali del clero sui minori, ndr.): non credo in nessun modo che la preoccupazione prevalente debba essere per l’immagine, credo invece che la preoccupazione principale sia la verità, lo sforzo di fare verità, per arrivare alla sostanza delle cose e poi prendere posizione su quella. Sono convinto che alla fine le persone intelligenti e oneste riconosceranno che anzi l’immagine è migliore se si fa così».  

Per padre Lombardi, che da portavoce vaticano aveva già seguito il primo processo Vatileaks nell’ultimo scorcio del pontificato di Benedetto XVI, «era giusto fare questo processo: c’era una legge», promulgata da Papa Francesco proprio sulla scorta della prima vicenda Vatileaks, «c’era un’evidente mancanza, bisognava affrontarla alla luce della legge e trovare una risposta a questa situazione. Questa – ha tenuto a sottolineare Lombardi, responsabile della comunicazione vaticana praticamente per l’intero pontificato del predecessore di Jorge Mario Bergoglio e ora presidente della fondazione Joseph Ratzinger – è anche, credo, la linea che ha seguito Papa Benedetto di fronte al caso degli abusi». In Vaticano, insomma, in questi anni «sono stati fatti passi avanti nella linea della verità, della trasparenza, in contrasto con un certo spirito di mondanità».

Quanto al futuro, «dire ‘non succederà più’ è una profezia che non mi sento assolutamente di fare. Lo spero, mi dispiacerebbe se avvenisse, ma non mi stupirebbe che succedesse di nuovo», ha detto, lapidario, Lombardi, il quale ha sottolineato in particolare, che, come dimostrato dalla ultima fuga di documenti, nata in seno alla commissione voluta dal Papa argentino per la riforma delle strutture economiche e finanziarie del Vaticano, «il rischio più forte è che quando ci sono tensioni e discussioni forti emerga nei protagonisti la tentazione di influire sugli eventi con discrezioni o documenti alla stampa, lo sapete meglio di me, e sapete meglio di me anche come profittare di una situazione del genere, perché a volte voi giornalisti andate dalle persone che più facilmente parlano o che sono appunto in una situazione di tensione per provocarli e così ottenere informazioni». Una questione che «solleva, al di là dell’aspetto giuridico, una questione morale», ossia di deontologia professionale dei giornalisti. 

Padre Lombardi non si è espresso sul libro che proprio uno degli imputati del processo Vatileaks, Francesca Immacolata Chaouqui, manderà nei prossimi giorni alle stampe con preannunciati documenti inediti: «Siamo contenti di fare oggi la presentazione e non parliamo di ipotesi di futuro. Non mi sento in nessun modo di parlare di un libro che non ho letto e non conosco». A chi domandava, nella conferenza stampa presso la Sala Stampa estera alla quale erano presenti anche molti vaticanisti italiani, se a suo avviso la vicenda della fuga di documenti sia stata un complotto o una storia squallida, padre Lombardi ha risposto sottolineando che «c’è un aspetto umano» rilevante, ma aggiungendo, in riferimento ai due imputati condannati: «Non voglio fare lo psicologo su questi due personaggi, a cui voglio bene, con cui ho avuto un rapporto diciamo professionale» che non ha impedito al gesuita di provare «un po’ di compassione, perché è stata una vicenda dolorosa per tutti».

Padre Lombardi non ha risposto a questioni su altre vicende vaticane, e a chi gli domandava, in particolare, un commento sul tema dell’Ordine di Malta, si è limitato a rispondere: «Uno dei vantaggi di aver terminato il mio lavoro è non dovermi occupare più di queste cose». 

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