Nella mia ferita mi apro ad altre ferite: comprendo, accetto, amo
Credo che la cosa migliore che si possa dire di una persona è che è molto umana, ma cosa significa davvero essere molto umani? È umano chi conosce l’anima umana. Chi conosce la debolezza e le ferite. Chi ha palpato i sentimenti più profondi e le contraddizioni dell’anima. È quella persona che vive nel modo più umano, in base all’amore più profondo che sboccia dalla sua ferita. Essere umani ha a che vedere con l’essere misericordiosi. Col tastare la propria debolezza e vedere gli altri come li vede Dio.
Leggevo giorni fa: “Il passato, con tutti i suoi errori, non era dimenticato. Rimaneva lì a ricordarmi la fragilità della natura umana e l’ingenuità di riporre la fiducia in se stessi. Non confidavo più nella mia guida, non dipendevo più da me stesso” [1].
Essere umani significa aver fallito e non averlo dimenticato, ma non per recriminare continuamente per i propri errori, ma per essere consapevoli del fatto che la nostra fragilità è la chiave che apre il cuore di Dio.
A volte faccio come se i santi non fossero umani. Li ritraggo perfetti, li descrivo come irraggiungibili. Li catapulto in cielo staccandoli dal carcere della loro carne. Come se non avessero mai sperimentato la debolezza, l’errore, il peccato, la caduta, le proprie ferite.