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Beschi: senza missione la Chiesa muore

Vatican Insider - pubblicato il 23/10/16

La Chiesa italiana è davvero una Chiesa missionaria? A questa domanda cerca di dare una risposta monsignor Francesco Beschi, vescovo di Bergamo e presidente della Commissione episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese. «Quotidianamente ci interroghiamo – spiega Beschi – sulla missione a partire dalla grande intuizione conciliare di una Chiesa missionaria nella quale tutti sono missionari e la missione è rivolta a tutti».  

Ma se la Chiesa è per sua natura missionaria, bisogna chiedersi allora cosa sia la missione. «La risposta si trova nel Vangelo ma anche nella storia (può mutare nel tempo). La missione è annuncio del Vangelo per un’adesione a Cristo. Non si può separare la testimonianza dalla Parola come diceva Paolo VI nell’Evangelii Nuntiandi. La missione ha un futuro certo perché è il Signore che la conduce. Pensiamo sempre alla missione in termini propositivi, ma la missione si alimenta della coscienza di un dono ricevuto dal Signore anche attraverso le persone che incontri».  

C’è, però, un altro fine della missione, ricordato dal Concilio, che spesso non appare: «L’implantatio Ecclesiae, cioè la fondazione di una comunità cristiana. E questo l’ho visto, ad esempio, in una realtà come Cuba dove in una diocesi (Guantanamo) con 10 sacerdoti, di cui 5 fidei donum bergamaschi, incroci lo sguardo di persone che ascoltano per la prima volta la storia di Gesù. Gli Istituti missionari hanno ancora un grande ruolo da giocare, soprattutto in quelle situazioni dove la Chiesa non ha ancora preso forma».  

In Italia si avverte una debolezza della missio ad gentes nella coscienza comunitaria… «Sì, partendo dalla convinzione che tutto è missione, si fa largo l’idea che la vera missione sia qui perché il contesto attuale è molto più scristianizzato rispetto ad altri Paesi. La missione è universale, ma la missio ad gentes è paradigma e sorgente di ogni altra missione». Non è facile, però, tematizzare questo punto. «L’evangelista Luca ci rappresenta il Vangelo che da Gerusalemme va in ogni angolo del mondo, mentre noi stiamo tornando a Gerusalemme…». C’è una frase vera («non abbiamo le forze») che ritorna spesso anche nella sede della Conferenza episcopale. «Questo è quello che stiamo percependo in Italia. La Chiesa vive per la missione ma vive anche di missione. La missione fa bene alla Chiesa. Senza esperienza missionaria, una Chiesa muore. Paradossalmente, ritirandoci dalla missione, alimentiamo la nostra morte». Dobbiamo comprendere chi sono i gentes. «I gentes sono stati identificati con i poveri perché nel Vangelo si legge che il “Signore mi ha mandato ad annunziare il lieto annuncio ai poveri”, ma nello stesso tempo questo ha dato una configurazione alla missione stessa, ecco perché nell’immaginario collettivo, si pensa all’aiuto ai popoli e non all’evangelizzazione».  

Beschi presiede anche la Fondazione Missio, un soggetto relativamente nuovo e non molto conosciuto, che è stato costituito dalla Cei nel 2005 per «promuovere e sostenere – recita lo statuto – la dimensione missionaria della comunità ecclesiale italiana, con particolare attenzione alla missio ad gentes e alle iniziative di animazione, formazione e cooperazione tra le Chiese”. E la declinazione alla missione avviene molto sotto la forma proprio della cooperazione tra le Chiese. «I fidei donum italiani sono 500 e i fidei donum stranieri in Italia in pastorale sono 1200, ma la cooperazione richiede una progettualità pastorale, altrimenti cosa vengono a fare?». La missione ha a che fare con la salvezza. «Il Papa ci indica una strada che è il cuore del Vangelo: la gioia. Evangelii Gaudium diventa davvero un testo missionario perché ci indica qualcosa per cui vale la pena spendere la vita: comunicare la gioia del Vangelo è la declinazione attuale della salvezza. La missione diventa una sorgente alla quale attingere la gioia del Vangelo». La gioia deve essere annunciata, testimoniata e comunicata. «Per gli uomini contemporanei, soprattutto in Occidente, la grande fatica è rappresentata dalla tristezza. La prospettiva della missione come annuncio, testimonianza e comunicazione della missione è una ragione forte per impegnare la propria vita. Vedo un grande segno nei giovani che partono, anche per un periodo breve, perché, se preparati opportunamente, maturano sotto il profilo della coscienza missionaria. La missione è fortemente connotata dal Vangelo delle Beatitudini che declina la gioia secondo la storia di Gesù: una missione capace di declinare le beatitudini corrisponde alle attese dell’uomo contemporaneo». 

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