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Siria e Iraq, l’impegno umanitario della Chiesa

Vatican Insider - pubblicato il 27/09/16

Quaranta organismi di carità cattolici si riuniranno giovedì mattina, 29 settembre, in Vaticano con Papa Francesco e i rappresentanti degli episcopati locali, di Congregazioni religiose che operano nell’area del Medio Oriente, e con i Nunzi Apostolici in Siria e Iraq. La riunione è promossa dal Pontificio Consiglio “Cor Unum”. Il fatto che il Pontefice, questa volta, aprirà personalmente i lavori costituisce una novità importante e conferma l’attenzione della Santa Sede rispetto al tema in questione

Alla riunione prenderà parte, oltre al segretario di stato, cardinale Pietro Parolin e a monsignor Giampietro Dal Toso, segretario di Cor Unum, anche Staffan de Mistura, inviato speciale dell’Onu per la Siria.

«Obiettivi della riunione, in continuità con il percorso intrapreso negli ultimi quattro anni, sono – afferma una nota – tracciare un bilancio del lavoro svolto finora dagli organismi caritativi cattolici nel contesto della crisi, condividendo le risposte della Chiesa alla situazione umanitaria; discutere le criticità emerse e individuare le priorità per il futuro; analizzare la situazione delle comunità cristiane residenti nei Paesi colpiti dalla guerra, promuovendo la sinergia tra le Diocesi, le Congregazioni religiose e gli organismi ecclesiali». 

Secondo i dati forniti dalla rete Caritas in Siria e Iraq sono quattro milioni e mezzo le persone assistite direttamente dalle organizzazioni caritative cattoliche. «La Santa Sede- prosegue il comunicato di Cor Unum -, oltre all’attività diplomatica, partecipa attivamente ai programmi di aiuto e assistenza umanitaria. La rete ecclesiale, complessivamente, ha raggiunto nel biennio 2015-2016 oltre 9 milioni di beneficiari individuali, mobilitando circa 207 milioni di dollari (anno 2015) e 196 milioni di dollari (anno 2016 aggiornato a luglio). Dal 2011 la crisi avrebbe provocato oltre 300 mila vittime e 1 milione di feriti. Attualmente sono più di 13,5 milioni le persone bisognose di aiuto in Siria e oltre 10 milioni in Iraq; i rifugiati interni sono 8,7 milioni e più di 3,4 milioni in Iraq, mentre 4,8 milioni sono i rifugiati siriani in tutta l’area del Medio Oriente, in particolare in Turchia, Libano e Giordania».  

Ma sotto le bombe cosa possono fare le organizzazioni caritative e i 12mila operatori (tra volontari e professionisti) che ogni giorno rischiamo la vita? «Nonostante la Chiesa sia colpita e minacciata,- ha osservato monsignor Dal Toso – le agenzie sul campo stanno aumentando la quantità e la qualità del loro impegno, anche dal punto di vista economico. In Siria l’intervento principale riguarda ancora l’aspetto puramente umanitario: dobbiamo dare da mangiare alle persone e assisterle nei loro bisogni primari. Un altro dato molto significativo è il fortissimo impegno nel campo dell’educazione, in particolare per l’istruzione dei bambini. Poi puntiamo a creare opportunità di lavoro e a sostenere le famiglie nelle loro necessità più elementari, a cominciare dal pagamento dell’affitto di casa». 

Interventi che riguardano anche il vicino Iraq. «Nell’ottobre 2014 – ha dichiarato sempre Dal Toso – ci siamo resi conto che questi due conflitti hanno tragicamente tanti punti in comune, persino le zone di guerra per certi versi si avvicinano. Anche se le due guerre nascono per motivi diversi: in Siria per un conflitto interno e in Iraq come forma di radicalismo islamico. Però sono soprattutto le tragiche conseguenze a rendere le due crisi un unico conflitto. Con una constatazione: a pagare sono sempre le popolazioni. Oltretutto le agenzie cattoliche lavorano su tutti e due i fronti, ad esempio accanto ai profughi sia siriani sia iracheni in Giordania e in Libano. Possiamo dire, in conclusione, che c’è un crescendo di attività, in tutti i sensi. Il primo incontro si svolse nel novembre 2012 a Beirut: Benedetto XVI incaricò il cardinale presidente di Cor Unum, Robert Sarah, di fare una visita a suo nome proprio agli inizi della guerra in Siria. Dopo quella prima esperienza, abbiamo ripreso e rilanciato l’idea di organizzare a Roma, ogni anno, una riunione di confronto e di condivisione sulle crisi in corso». 

Intanto, questa mattina a Voci del mattino, Radio 1 Rai, è intervenuto Padre Ibrahim Alsabagh, francescano, parroco latino di Aleppo: «Quella che si combatte in Siria – ha aggiunto – è una guerra mondiale e Aleppo ne è l’epicentro. La soluzione non potrà arrivare da un accordo fra il governo di Assad e i capi delle milizie. Occorre un accordo internazionale, perché sono tanti i Paesi che hanno le mani dentro la Siria: Turchia, Iran, Arabia Saudita, Qatar, Giordania, Israele. Sono americani e russi che devono trovare una intesa, è inutile pensare a una soluzione che arrivi dal terreno. Nella mia zona, ad Aleppo ovest, posso affermare che il 90% delle persone vive sotto la soglia della povertà. La gente – ha spiegato il religioso – non ha i soldi per comprare acqua, carne, formaggio, non osa neppure pensare di poter fare una visita medica o acquistare medicine essenziali per la salute. Senza gli aiuti umanitari, sia della Chiesa, sia di altri, è impossibile parlare di vita, in qualsiasi parte di Aleppo».  

Il futuro? «Vedo un futuro molto buio per tutto il mondo, non solo per la Siria. L’avidità per il denaro e per le risorse dei Paesi, la smania di potere e di gloria, non devono guidare la politica. Cosi andiamo verso l’autodistruzione, verso guerre totali. Il mio appello è per la pace, per la condivisione, per una equa distribuzione delle ricchezze mondiali, che sono sempre in diminuzione. La soluzione non può venire dalle armi ma dal dialogo, dal rispetto della dignità umana, che adesso viene derubata. Faccio un richiamo forte alle due superpotenze, Usa e Russia – ha concluso padre Ibrahim Alsabagh da Aleppo – un appello per arrivare a un accordo sulla Siria, per salvare il salvabile, quello che è rimasto, che non è molto in verità. Perché qui è tutto pieno di ruderi, l’uomo stesso è diventato un rudere». 

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