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“Guardo i miei studenti e vedo dei futuri ex cattolici”

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© SHUTTERSTOCK / LENETSTAN

Mary DeTurris Poust - pubblicato il 15/09/16

L'educazione religiosa deve iniziare dalla famiglia, ma spesso gli stessi genitori sono spiritualmente "a digiuno" da troppo tempo

Si sa che gli adolescenti hanno un’indole all’apatia. Provate a metterli in un’aula di educazione religiosa per un’ora e un quarto e all’ora di cena, dopo una lunga giornata scolastica: la noia di quei ragazzini si potrà respirare nell’aria. Io e mio marito l’abbiamo sperimentato con i 21 studenti della parrocchia in cui insegniamo, nella parte settentrionale di New York.

La scena non era certamente nuova, né inaspettata. Già l’anno scorso avevamo insegnato a gran parte di quei ragazzi, iscritti in un programma biennale che in primavera avrà il suo culmine nella Cresima. Scommetto però che la loro apatia non sia necessariamente correlata alla scontrosità tipica degli adolescenti, bensì alla mancanza di una catechesi di base. E lo dico considerando che a molti di quei ragazzi avevo già insegnato in quarta e quinta elementare. Ho usato ogni espediente – dalle attività di gruppo ad una vera e propria corruzione con pasta al forno e biscotti — per farmi ascoltare quando parlo della Messa, del Vangelo e delle nostre meravigliose tradizioni cattoliche. Ma ogni anno, quando escono dall’aula, devo considerarmi grata e soddisfatta se la metà di loro ricorda il Padre Nostro.

Quando guardo questi ragazzi – a prescindere dall’età e dal fatto che abbiano frequentato le elementari alla scuola pubblica o a qualche scuola cattolica – mi viene da pensare che il 75% di loro un giorno sarà composto da “ex cattolici”.

La colpa di questo ricade direttamente sulla Chiesa, che per decenni ha permesso che i genitori di questi bambini fossero spiritualmente affamati. Una catechesi sbagliata da giovani li ha resi incapaci di cogliere la sfida della Fede da adulti. L’anno scorso, durante l’ordinazione sacerdotale, Papa Francesco ha detto: “Che le vostre omelie non siano noiose; che le vostre omelie arrivino proprio al cuore della gente perché escono dal vostro cuore…”


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Qualcuno potrebbe dire che anche con una predicazione docile la Santa Eucaristia dovrebbe bastare ad ad attirare le persone. Ma come si fa a dire una cosa del genere considerando che molti non hanno idea del potere e dello splendore del Sacramento – perché nessuno lo ha insegnato loro, né in un’aula né dal pulpito?

Le persone hanno fame, sì, ma prima che vadano a Cristo nell’Eucaristia, devono frequentare le parrocchie ogni domenica, ricevere le parole di cui ha bisogno il loro spirito e incontrare una comunità che ricorda loro di non essere sole. Da oratrice e responsabile di un numero di ritiri giovanili, posso dirvi che – sia dall’esperienza personale che da quella di altri cattolici da tutti gli Stati Uniti – nelle nostre parrocchie spesso non avviene nulla di tutto ciò. Alcune comunità funzionano a dovere, ma sono delle tristi eccezioni e non una piacevole regolarità.

E quindi le persone vanno altrove. Probabilmente a quelle chiese non confessionali dove le predicazioni sono avvincenti e la comunità – composta principalmente da ex cattolici – è totalmente coinvolta. Lì non hanno l’Eucaristia, ma le persone si sentono saziate, e vi tornano ogni settimana. Quando domenica prossima andrai a Messa, prova a viverla come se fosse la prima volta e chiediti: “Se questa fosse la prima e unica esperienza con il cattolicesimo, tornerei in Chiesa?”

Quando scrissi il libro Complete Idiot’s Guide to the Catholic Catechism, tantissimi adulti che si erano allontanati dalla fede mi dissero: “Perché crescendo non mi è stato insegnato niente di tutto ciò?” Molti di loro sono cresciuti, come me, in quella che chiamo “l’epoca del Collage”. La fede venne ridotta ad un continuo taglia e cuci sul Gesù allegro, venendo a mancare molti insegnamenti fondamentali su ciò che dà forza nell’affrontare questa vita: la bellezza di una fede vivente. Ringrazio mia madre per aver colmato il divario che crebbe tra l’educazione religiosa ricevuta e la mia fede; ecco perché sostengo che abbiamo bisogno soprattutto delle nostre famiglie per trasformare la Chiesa.

La catechesi deve iniziare attirando le famiglie, facendole sentire benvenute, dando loro qualcosa in più di moduli per registrarsi e buste settimanali. Solo quando si sentono di appartenere a questa Chiesa saranno propensi a ripercorrere le orme spirituali della propria infanzia e abbracciare, da adulti, una fede rinnovata. In questo modo porteranno con loro anche i figli e la formazione religiosa non sarà più percepita come un cartellino da timbrare per poter ricevere un sacramento e poi “diplomarsi” in religione, bensì come il primo passo di un viaggio che dura tutta la vita.

Gli adolescenti restano tali, è ovvio. Continueranno a sbuffare e a rispondere a sillabe. Ma sotto questo vi sarà una base di fede autentica e la consapevolezza di essere amati oltre misura da un Dio che li ha creati, salvati e desiderati. Una consapevolezza potentissima, che cambia la vita.

I ragazzini della nostra classe si comportano come se a loro non interessasse nulla di religione, ma penso che in realtà abbiano un desiderio (e bisogno) disperato di un Dio del genere. Proprio come i loro genitori. O troviamo un modo per permettere a Dio di manifestarsi nelle loro vite, oppure Lui rimarrà sempre un’idea astratta a cui assistere in modo passivo. E questa sarebbe una sconfitta. Non solo per quei ragazzi, ma per tutti noi.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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