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Sud Sudan, un missionario: qui c’è una guerra nascosta

Vatican Insider - pubblicato il 07/07/16

Lontano dai riflettori, c’è una guerra che continua a mietere vittime. Morte e disperazione affliggono la popolazione del Sud Sudan che, ottenuta l’indipendenza nel 2011, confidava in un nuovo percorso dopo 22 anni di sangue con 2 milioni di morti e 4 milioni di profughi. Purtroppo nelle scorse settimane si è nuovamente accesa la battaglia fratricida. Il presidente Salva Kiir e il suo vice Riek Machar, esponenti rispettivamente dell’etnia maggioritaria Dinka e di quella minoritaria Nuer, non sono riusciti a trovare un’intesa di pace per dare un futuro sereno al Paese. «È significativo – racconta il salesiano Jim Comino, da 23 anni missionario in Sudan e Sud Sudan dopo 32 anni in Korea – che gli scontri siano ripresi proprio dove si concentrano gran parte delle risorse petrolifere, cioè dove staziona la maggiore ricchezza del Paese. È difficile tracciare un bilancio delle vittime: secondo l’Onu sarebbero decine di migliaia. I pesanti combattimenti degli ultimi due mesi nel Sud Sudan hanno provocato la migrazione forzata di più di 200mila persone e hanno bloccato le consegne di aiuti umanitari per 650mila persone. La situazione è diventata talmente pericolosa che le organizzazioni umanitarie sono state costrette a ritirarsi».  

La guerra, che sta devastando il povero Sud Sudan, costringe la popolazione all’esodo forzato nella foresta o nelle nazioni vicine. Da un anno le Nazioni Unite hanno dichiarato che la terra coltivabile è completamente «libera dalle mine-antiuomo (made in Italy) fatte a forma di giocattolo. La gente non è abituata a lavorare il terreno perché molti di loro sono vissuti e cresciuti nei campi profughi. È incredibile! I ribelli impediscono di lavorare la terra per produrre da mangiare e per mettere in atto una specie di pulizia etnica, uno strumento per eliminare il nemico con la fame. È un sistema che non costa niente, più efficace delle sparatorie dei mitra, non fa propaganda ed è molto silenzioso, per questo non fa notizia». Il 75% della nazione dipende dall’agricoltura, perché non c’è alcuna industria e «le risorse naturali sono derubate da altri Paesi».  

Il Sud Sudan una volta era il granaio dell’Africa, oggi importa l’80% del cibo; la terra è fertile (c’è l’acqua), il clima è buono, ma solo il 30% viene coltivato e di conseguenza «il 90% della gente non ha abbastanza da mangiare».  

La Francia sfrutta le miniere d’oro e altri minerali, mentre la grande Tigre Cinese sta appropriandosi di vaste estensioni di terreno coltivabili ed esporta i prodotti. «Le Nazioni Unite hanno lanciato un sos per ricevere aiuti alimentari, altrimenti circa 5 milioni di persone rischiano la fame e solo il Signore sa quanti, specialmente bambini, moriranno all’insaputa di tutti. Solo quando migliaia di persone e bambini moriranno, i mass media forse diranno qualcosa».  

Là dove c’è la guerra, qualcuno prova, nonostante tutto, a seminare speranza. Davanti a questi enormi problemi, «guidati dallo spirito di Don Bosco pensiamo che l’unica soluzione sia educare alla coltivazione della terra; quindi educare i giovani delle nostre cinque presenze salesiane nel Sud e addestrarli nell’agricoltura. Solo con l’educazione e lo sviluppo agricolo si evitano le lotte tribali, perché se la gente è occupata nel coltivare la terra per poter mangiare, non ha tempo di fare la guerra. Dar da mangiare ai poveri oggi è un bell’atto di carità, ma non risolve il problema del domani, come dice il proverbio cinese: “Non basta dar loro il pesce da mangiare un pesce ma bisogna insegnar loro a pescare”. Questa è la nostra speranza nel Sud Sudan: non solo dar da mangiare a chi muore di fame, ma insegnar loro a produrre il mangiare per diventare autosufficienti e crescere nella propria terra, solo così fermeremo la corsa all’emigrazione in Europa».  

La Chiesa non chiude alla speranza in un territorio dove il 60% è cristiano: «Abbiamo lanciato il progetto di realizzare 100 scuole primarie per 50mila bambini del sud Sudan. Agli occhi di chi non crede nei miracoli della Divina Provvidenza sembrava un progetto irreale, impossibile… In tre anni siamo già riusciti a costruire 70 scuole primarie ognuna del costo di 80mila euro: sono scuole affidate ai vescovi del Sud Sudan. Oggi oltre 20mila bambini hanno la possibilità di studiare al riparo dalle intemperie, mentre molti di loro prima studiavano all’ombra di un albero senza riparo dalla pioggia, dal vento e dal sole». 

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