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“Francesco a Lesbo come a Lampedusa contro l’indifferenza”

Vatican Insider - pubblicato il 02/07/16

Cardinale Francesco Montenegro, il Papa andrà nell’isola di Lesbo, uno dei crocevia di questo flusso di migranti. Il Papa agisce e le cancellerie europee tacciono?

«Il Papa compie un atto che rientra nella logica delle cose che sta portando avanti. Che poi la sua sia una voce isolata, che grida nel deserto, questo fa parte della sua missione. Quando venne a Lampedusa significò qualcosa quella presenza nell’isola, e credo che in questa occasione, con la visita a Lesbo, accadrà lo stesso». 

Da Lampedusa a Lesbo, il Papa sembra avere posto il migrante al centro del suo magistero…

«È un uomo che si è accorto che sta cambiando la storia del mondo, che siamo in un mondo costruito o sull’indifferenza, o sulla violenza o sull’ingiustizia sociale, e allora oggi bisogna dare un colpo di timone e cambiare modi e stile. Proprio per questo l’intervento del Papa diventa prezioso, perché noi corriamo il rischio di tornare al passato».  

Il fatto che l’Europa, l’Italia, vivano una forte crisi economica e sociale interna, non rende però più difficile parlare di accoglienza, solidarietà?

«Credo che sia necessario un salto di qualità. È vero, è un momento difficile per tutti, ma sembra strano che un continente come l’Europa che tra l’altro è stato quello che ha inventato il Diritto romano, e tutto ciò che riguarda la legalità nelle relazioni fra le nazioni, improvvisamente si trovi in difficoltà; parliamo dell’Europa che ha costruito la democrazia, i diritti. Come è possibile? D’altro canto noi sappiamo che siamo un’Europa vecchia, che abbiamo bisogno di forze nuove; non si tratta di usare gli altri per il nostro bene, ma di mettersi accanto gli uni agli altri per costruire un bene comune. Che l’Europa sia incapace di tutto questo mi suona strano. Anche in Italia si dice che ci sono 5 milioni di immigrati, ma hanno riempito un vuoto che farà bene all’Italia. Altrimenti non ci saremmo riusciti ad andare avanti. Ma questo non lo dico io, lo affermano gli esperti». 

Si discute molto dell’accordo fra Ue e Turchia sui rimpatri o respingimenti, lei che valutazione dà?

«È è un aspetto che mi lascia perplesso. Vediamo queste persone che sono trattate come dei pacchetti, li prendo e li porto da una parte all’altra. E poi proprio la Turchia che lascia perplessi tutti, comincia a diventare garante di protezione e di servizio agli uomini? Ecco, mi lascia perplesso».  

Gli imponenti flussi di profughi di questi mesi sono dovuti anche ai conflitti che attraversano il Medio Oriente, non è questo in fondo il nodo irrisolto?

«Ancora prima però bisogna farsi un’altra domanda di fondo: ma questi conflitti sono solo i loro conflitti o sono il risultato di un atteggiamento dell’Occidente nei loro riguardi? Quanti dei loro governi sono sostenuti dai nostri? Ci sono state delle guerre perché a noi faceva comodo andare a prendere le materie prime; la questione insomma non è soltanto che noi viviamo, attraverso i profughi, le conseguenze di una cattiva intesa fra di loro, è tutto un atteggiamento e un’ingiustizia su cui si regge il mondo che ora sta scoppiando e che ci sta scoppiando fra le mani. In molti di quei Paesi siamo andati a colonizzare e stiamo andando a colonizzare. Quindi non è facile dire: loro fanno le guerre e noi ne paghiamo le conseguenze. Noi stiamo pagando anche le conseguenze dei nostri atteggiamenti che possono avere influito su quei conflitti locali».  

Altro aspetto emerso, è quello del timore che ingressi massicci di profughi favoriscano l’arrivo di fondamentalisti o terroristi.

«Potrebbe essere, allora servono buone intese fra gli Stati. Ma i rischi ci sono dovunque, i terroristi possono arrivare anche col turismo. Non occorre che scoppi la guerra. Che questo sia un rischio che ormai ci accompagna sempre, d’accordo, ma che ogni immigrato sia un ipotetico terrorista è privo di fondamento. Io sono siciliano e noi abbiamo esportato la mafia altrove, ma io non mi sento un mafioso pure essendo un siciliano e mi offenderei se mi dovessero dire: “tu sei mafioso perché sei siciliano”. Perché anche fra questa gente che arriva ci sono persone buone. Come vengono esportati i terroristi, vengono esportati anche i buoni. Alcuni di quei morti nel naufragio di Lampedusa del 3 ottobre, avevano in bocca una medaglietta o un crocifisso, non avevano le pistole addosso e qualcuno è morto pregando, perché l’hanno trovato nella stiva a mani giunte».  

In che termini la Chiesa vive il tema immigrazione come un segno di cambiamento anche evangelico?

«Il segno di cambiamento è che una cultura dell’accoglienza sta incrementandosi anche nelle comunità cristiane, se si riescono ad accogliere più di 20mila immigrati, se molte parrocchie sono impegnate nel sostegno a questa gente, vuole dire che questo sta avvenendo. È quello che stiamo vivendo anche noi qui, ci sono sempre più comunità attente a queste problematiche, non è solo: “ti porto un bicchiere d’acqua”, ma ci si sta interrogando anche sul significato di questa presenza che invita la Chiesa a vivere la fedeltà a Gesù in maniera concreta, dalle parole ai fatti. E quindi ogni comunità sta facendo la sua esperienza soprattutto dove ci sono centri di immigrati». 

Secondo lei c’è una differenza nell’approccio alla questione profughi fra nord e sud del Paese?

«Io sono stato anche nel nord a parlare di queste cose e tutta questa reazione non l’ho avvertita. Io credo che la questione sia il Vangelo. Quindi non è che siccome sono del sud il Vangelo lo leggo in una certa maniera, posso essere più propenso a determinati gesti; ma il Vangelo interpella tutti, chi sta ai confini del nord come nel meridione e si attende la stessa risposta. Ogni immigrato è una presenza in questo senso, io per lui sono quel Cristo che si deve fermare».  

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