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Il Papa sulle famiglie: no a una “morale rigida”, occorre accompagnare tutti

Pope Francis with a mother and daughter

© Antoine Mekary / ALETEIA

Vatican Insider - pubblicato il 16/06/16

Non bisogna adottare una «morale rigida», ma, evitando sia il lassismo che il rigorismo, accompagnare tutti, anche i peccatori, lasciando spazio alla loro conversione, perché «la morale è un atto di amore sempre, amore a Dio e amore al prossimo». Papa Francesco ha parlato della famiglia nell’apertura del convegno della diocesi di Roma a San Giovanni in Laterano. Prima con un discorso che prendeva le mosse dal doppio sinodo del 2014-2015, poi rispondendo a braccio a tre domande dei fedeli, Jorge Mario Bergoglio ha toccato i temi più disparati della famiglia, dal calo demografico italiano causato dal «maledetto benessere», tra virgolette, alla «crudeltà» di non battezzare i figli delle ragazze madri, dai versi infantili – che ha imitato – che i genitori fanno ai figli neonati, analoghi all’atteggiamento di Dio con gli uomini, alla necessità di una solida preparazione al matrimonio capace di contrastare sia la attuale «cultura della precarietà», sia superstizioni e pregiudizi culturali, sia la tendenza consumistica a concentrarsi sulla festa e sulle bomboniere anziché sulla bellezza del sacramento. Non sono mancate, nel discorso del Papa, battute, ricordi personali, aneddoti che hanno suscitato risate e applausi dei fedeli, quando per esempio si è raccomandato: «Non accusatemi con il cardinale Mueller», il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

«Né il rigorismo né il lassismo sono la verità, il Vangelo sceglie un’altra strada», ha risposto Francesco a una donna che gli ha domandato come evitare una «doppia morale» tra il rigorismo e il lassismo. «Accogliere, accompagnare, integrare e discernere… senza mettere il naso nella vita morale della gente». Il Papa ha ricordato che nella sua esortazione apostolica sulla famiglia, Amoris laetitia, come dice il cardinale Christoph Schoenborn, «grande teologo», «tutto è tomista, dall’inizio alla fine, è dottrina sicura. Ma noi – ha proseguito – vogliamo tante volte che la dottrina sicura abbia una sicurezza matematica, che non esiste, sia con il lassismo, la manica larga, sia con la rigidità». Il Papa ha fatto gli esempi del Vangelo, prima la donna adultera («Chi è senza peccato scagli la prima pietra»), poi la samaritana (che, ha detto Francesco suscitando le risate dei fedeli, «aveva tante medaglie di adulterio, tante onorificenze…»): «Andiamo al Vangelo, andiamo a Gesù. Questo non significa buttare dalla finestra l’acqua con il bambino, no, significa cercare la verità: la morale è un atto di amore sempre, amore a Dio e al prossimo, è un atto che lascia spazio alla conversione dell’altro, non condanna subito». Il Papa ha poi raccontato di un consiglio che gli dette un suo predecessore a Buenos Aires, il cardinale Juan Carlos Aramburu: quando scopri che un tuo sacerdote ha la doppia vita, gli disse il Porporato, chiamalo, diglielo, e poi mandalo a casa dicendogli di tornare dopo 15 giorni. Lui inizialmente negherà, poi avrà tempo di riflettere, pentirsi, ammettere i propri peccati e chiedere aiuto.

«Quest’uomo ha celebrato in peccato morale per 15 giorni, così dice la morale: ma cosa è meglio», ha chiosato il Papa, «che il vescovo abbia avuto la generosità di dargli 15 giorni per ripensarci o la morale rigida?». Poi Francesco ha raccontato di un suo compagno di corso all’università che contestò una domanda molto teorica a un esame sulla confessione, dicendo: «Questo sta nei libri, non nella realtà»: «Ma per queste cose per favore – ha concluso Bergoglio – non andate ad accusarmi con il cardinale Mueller!».

L’individualismo, ha detto il Papa rispondendo alla prima domanda, «è l’asse di questa cultura» e «ha tanti nomi con una radice egoistica». Significa «non guardare l’altro, le altre famiglie» e può arrivare alle «crudeltà pastorali», ha proseguito Francesco, cha ha citato, per esempio, un’esperienza di un’altra diocesi quando era Arcivescovo di Buenos Aires: «Alcuni parroci non volevano battezzare i bambini delle ragazze madri, trattandoli come animali». L’individualismo, inoltre, assume a volte la declinazione dell’edonismo, «stavo per dire una parola un po’ forte, lo dico tra virgolette – ha proseguito – quel “maledetto benessere” che ci ha fatto tanto male. Oggi l’Italia – ha proseguito – ha un calo delle nascite terribile, credo sotto zero: questo è cominciato con quella cultura del benessere venti anni fa. Ho conosciuto tante famiglie che preferivano – ma non accusatemi con animalisti, non voglio offendere nessuno – ma preferivano avere due tre gatti, un cane, invece di un figlio», ha detto il Papa, «perché fare un figlio non è facile», «tu fai una persona che diventerà libera», e mentre «il cane e il gatto ti daranno un affetto programmato, non libero», i figli «saranno liberi, dovranno andare nella vita con i rischi della vita, e questa è la sfida che fa paura». Invece, a volte «noi abbiamo paura della libertà, anche in pastorale», e se si segue «la pastorale delle mani pulite, come i farisei, dove tutto è pulito, tutto a posto, tutto bello», non ci si accorge «fuori da questo ambiente quanta miseria c’è, quanto dolore, quanta povertà, quanta mancanza di opportunità di sviluppo».

«L’individualismo edonista ha paura della libertà, è un individualismo, non so se la grammatica italiana lo permette, ingabbiante, ti ingabbia, non ti lascia volare», ha detto Francesco, bisogna, invece, «rischiare». E avere tenerezza: «È la carezza di Dio. Una volta in un sinodo di anni fa era uscita la proposta di “fare la rivoluzione della tenerezza”, ma alcuni padri hanno detto che non poteva dire, non suonava bene… ma oggi possiamo dirlo: manca tenerezza, bisogna carezzare, non solo malati, anche i peccatori. La tenerezza è un linguaggio per i più piccoli, quelli che non hanno niente, il bambino per esempio. A me piace sentire quando anche il papà e la mamma si fanno bambini e parlano così», ha proseguito il Papa facendo il verso dei bambini, «questa è la tenerezza, abbassarmi: è la strada che ha fatto Gesù, non ha ritenuto come un privilegio essere Dio, si è abbassato e ha parlato la nostra lingua e i nostri gesti».

Quanto alla preparazione al matrimonio, «ricordo che ho chiamato un ragazzo, qui in Italia, che avevo conosciuto tempo fa, a Ciampino, e si sposava», ha detto il Papa in risposta all’ultima domanda. «L’ho chiamato: mi ha detto la tua mamma che ti sposerai. E lui: stiamo cercando la chiesa che sia adatta al vestito della mia ragazza, e poi tante cose, le bomboniere, un ristorante che non sia lontano… Queste sono le preoccupazioni?». Il Pontefice ha criticato la concezione del matrimonio come «fatto sociale», ma invitando al contempo a non chiudere le porte della Chiesa, semmai a concentrarsi, con molta «pazienza», in una solida preparazione delle giovani coppie al matrimonio: «La preparazione al matrimonio la si deve fare con vicinanza, senza spaventarsi, lentamente: ci sono ragazzi e ragazze che hanno purezza e amore grande, ma sono pochi. Nella nostra cultura di oggi ci sono ragazzi buoni ma bisogna accompagnarli fino al momento della maturità. E lì, che facciano il sacramento, ma gioiosi. Ci vuole tanta pazienza, senza spaventarsi». Nel corso del suo discorso a braccio, il Papa non ha mancato di sollevare risate e applausi dei fedeli. Per esempio quando ha citato una «superstizione» invalsa nel nord-est dell’Argentina, dove le coppie prima fanno figli, poi si sposano civilmente, e infine, da anziani, si sposano in Chiesa, perché, sostengono, «farlo religioso spaventa il marito… dobbiamo lottare anche con queste superstizioni, con questi fatti culturali». E poi la complessità delle famiglie, la presenza dei suoceri… «Ho sentito una cosa bella, piacerà alle donne: quando una donna sente dall’ecografo che è incinta di un maschietto, da quel momento incomincia a studiare per diventare suocera».

Nel corso del suo discorso, prima di rispondere alle domande, il Papa, anziché concentrarsi sulla Amoris laetitia, ha sottolineato alcune questioni emerse durante il Sinodo che ha preceduto l’esortazione apostolica, indicando in particolare tre punti. Prima, «la vita di ogni persona, la vita di ogni famiglia dev’essere trattata con molto rispetto e molta cura»: non bisogna «parlare in astratto» né «ideologizzare», non per seguire il «politicamente corretto», ma per rispetto nei confronti delle situazioni di vita concreta: «Questo – ha detto – ci impone di uscire dalle dichiarazioni di principio per addentrarci nel cuore palpitante dei quartieri romani e, come artigiani, metterci a plasmare in questa realtà il sogno di Dio, cosa che possono fare solo le persone di fede, quelle che non chiudono il passaggio all’azione dello Spirito».


Secondo, «guardiamoci dal mettere in campo una pastorale di ghetti e per dei ghetti»: il realismo evangelico, ha detto, «non significa non essere chiari nella dottrina»: «Non si tratta di non proporre l’ideale evangelico, al contrario, ci invita a viverlo all’interno della storia, con tutto ciò che comporta». Al proposito il Papa ha parlato di un antico capitello medievale che a un estremo rappresenta Giuda e all’altro Gesù che porta il traditore in spalla: «Don Primo Mazzolari fece un bel discorso su questo, era un prete che aveva capito bene questa complessità della logica del Vangelo: sporcarsi le mani come Gesù, che non era pulito andava dalla gente e prendeva la gente come era, non come doveva essere».

Infine, terzo punto del discorso, gli anziani: «Come società, abbiamo privato della loro voce i nostri anziani, questo è un peccato sociale», ha detto, affermando: «Questa è l’ora dei sogni degli anziani», che i giovani possono realizzare. Rinunciamo, ha detto in generale il Papa citando la sua esortazione, «ai “recinti” che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza». Francesco, affiancato dal cardinale vicario Agostino Vallini, aveva iniziato la sua meditazione con una osservazione: «Le cinque navate piene, si vede che c’è voglia di lavorare!».

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