Parole come queste sono vane e vuote per il grande mondo della filosofia. Ho verificato una strategia di guerra risoluta, direi quasi una cospirazione, contro i diritti della coscienza, come ho descritto. La letteratura e la scienza si sono incarnate in grandi istituzioni per eliminarla. Nobili edifici sono stati edificati come fortezze contro l’influenza invisibile, spirituale, che è troppo sottile per la scienza e troppo profonda per la letteratura. Le cattedre universitarie sono diventate i seggi di una tradizione antagonistica. Gli scrittori, giorno dopo giorno, hanno indottrinato la mente di innumerevoli lettori con teorie sovversive. Come ai tempi di Roma, e del Medioevo, la supremazia [della coscienza] è stata assalita dall’arma della forza fisica, e quindi ora l’intelletto è messo in condizioni di indebolire le basi di un potere che la spada non è riuscita a distruggere. Ci viene detto che la coscienza non è altro che una svolta nell’uomo primitivo e senza guida; che il suo dettame è immaginazione; che la nozione stessa di colpevolezza, imposta da questo dettame, è semplicemente irrazionale…
Questo per quanto riguarda i filosofi. Vediamo ora qual è la nozione di coscienza al giorno d’oggi nella mente popolare. Non più che nel mondo intellettuale, anche lì la “coscienza” mantiene il significato antico, vero e cattolico del termine. Anche lì l’idea, la presenza di un Governatore Morale, è ben lontana dal suo utilizzo…
Quando gli uomini sostengono i diritti di coscienza, non intendono affatto i diritti del Creatore, né il dovere nei suoi confronti, nei pensieri e nei fatti, della creatura, ma il diritto di pensare, parlare, scrivere e agire in base al loro giudizio o al loro umore, senza alcun pensiero per Dio. Non fingono nemmeno di basarsi su qualsiasi regola morale, ma esigono, cosa che ritengono sia una prerogativa di un gentiluomo inglese, che ciascuno sia il padrone di se stesso in tutte le cose e professi ciò che vuole, senza chiedere il permesso di nessuno, ritenendo il sacerdote o il predicare, l’oratore o lo scrittore, incredibilmente impertinente, che osa dire una parola contro il fatto di andare verso la perdizione, se gli va, a modo suo. La coscienza ha dei diritti perché ha dei doveri, ma in quest’epoca, con un’ampia porzione di pubblico, ha il diritto e la libertà di coscienza di dispensare con coscienza, di ignorare un legislatore e un giudice, di essere indipendente da obblighi non visibili. Diventa una licenza di assumere ogni religione o nessuna, di accettare questa o quella e di lasciarla, di andare in chiesa, in una cappella, di vantarsi di essere al di sopra di tutte le religioni e di essere un critico imparziale di ciascuna di loro. La coscienza è un severo controllore, ma in questo secolo è stata sostituita da una contraffazione, di cui i diciotto secoli precedenti non avevano mai sentito parlare (…). È il diritto alla caparbietà…