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“Mosè, hai sbagliato”, disse Dio

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Elizabeth Scalia - Aleteia - pubblicato il 16/03/16

Il latte di Dio e i piccoli doni che diffondono la grazia

Sto leggendo il libro dell’arcivescovo ortodosso Anthony Bloom Beginning to Pray. È un piccolo libro affascinante con talmente tante perle in ogni pagina che è difficile sceglierne una, ma per ora questa è la mia preferita:

Nella vita di Mosè, nel folklore ebraico, c’è un momento notevole. Mosè trova un pastore nel deserto. Trascorre la giornata con lui e lo aiuta a mungere le sue pecore, e alla fine della giornata vede che il pastore mette il latte migliore in una ciotola che deposita su una pietra piatta un po’ distante. Mosè gliene chiede il motivo, e il pastore replica: “Questo è il latte di Dio”. Mosè è stupito e gli chiede cosa intenda. Il pastore allora risponde: “Prendo sempre il latte migliore che ho e lo offro a Dio”.

Mosè, che è ben più sofisticato del pastore dalla fede semplice, chiede: “E Dio lo beve?”.

Sì”, replica il pastore.

Mosè si sente allora in dovere di illuminare il povero pastore, e gli spiega che Dio, essendo puro spirito, non beve latte, ma il pastore è certo che lo faccia, e quindi hanno una breve discussione che finisce con Mosè che dice al pastore di nascondersi dietro i cespugli per vedere se Dio arriva davvero a bere il latte.

Mosè va poi a pregare nel deserto. Il pastore si nasconde, scende la notte e al chiaro di luna vede una piccola volpe che arriva trotterellando dal deserto, guarda a destra, guarda a sinistra e poi si dirige verso il latte, che beve per poi scomparire nuovamente nel deserto.

La mattina dopo Mosè trova il pastore piuttosto depresso e abbattuto. “Che succede?”, gli chiede.

Il pastore dice: “Avevi ragione. Dio è puro spirito, e non vuole il mio latte”. Mosè resta sorpreso e dice: “Dovresti essere felice. Conosci Dio più di prima”.

Sì”, dice il pastore, “ma l’unica cosa che potevo fare per esprimere il mio amore per lui mi è stata tolta”.

Mosè capisce. Si ritira nel deserto e prega con fervore. Di notte, in una visione, Dio gli parla e dice: “Mosè, hai sbagliato”.

“È vero che sono puro spirito, ma ho sempre accettato con gratitudine il latte che il pastore mi offriva come espressione del suo amore, ma visto che essendo puro spirito non ho bisogno del latte l’ho condiviso con quella piccola volpe, alla quale il latte piace molto”.

In questa piccola storia ci sono talmente tante lezioni che ci si potrebbe riflettere molto a lungo. Le nostre piccole espressioni d’amore sono gradite a Dio, indipendentemente da quanto siano umili, e contribuiscono al bene degli altri. Egli usa anche il più piccolo e il più umile dei doni per benedire gli altri, a nostra insaputa. Non importa quanto pensiamo di sapere di Dio, stiamo solo iniziando a imparare.

Il dolore del pastore per aver perso il modo migliore per dimostrare a Dio il suo amore mi ricorda il gelataio che offriva gelati gratis alle suore che passavano accanto al suo carrettino. Quando le suore hanno smesso di indossare l’abito religioso, non è più riuscito a distinguerle dalle altre persone e ha perso la sua possibilità di dimostrare il proprio amore per Dio in quel piccolo modo.

Ci intromettiamo nel modo in cui gli altri presentano delle offerte perché pensiamo che i loro doni siano troppo piccoli? Rifiutiamo di offrire doni che riteniamo insufficienti perché ci vergogniamo di quanto siano esigui? Il nostro orgoglio – o la nostra timidezza – fa sì che gli altri abbiano difficoltà a farci dei doni?

In tutti questi casi, quando inibiamo la possibilità di donare, ostacoliamo la bontà semplice che opera nel mondo, e quindi ostacoliamo la grazia.

I nostri sacrifici sono doni graditi a Dio, offerti nell’amore di un pastore che dava un’umile ciotola di latte al puro spirito. E con la grazia di Dio, il nostro ego, le nostre comprensioni più “sofisticate” – che appartengono tutte alla nostra natura spezzata – non diminuiranno il loro valore.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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