Perché siamo stati creati per l'amicizia, per l'amore, per essere uno con Lui
Tra tutti i dolori patiti da Gesù durante la passione, quale lo ha fatto soffrire di più? Io ho il sospetto che sia stato quello nel cuore e nell’anima. Ci sono dei limiti al dolore fisico immediato; si può addirittura svenire e quindi avere una certa distanza da esso stesso.
Ma il dolore psichico (vale a dire, il dolore del cuore e dell’anima) può essere costante ed estremamente intenso. Si possono avere lunghi strascichi anche dopo che l’evento doloroso in sé è passato. Il dolore psichico può penetrare nella profondità dell’anima e là trovarvi luoghi nascosti per insediarsi, nutrirsi e quindi crescere. Questo tipo di dolore può essere la madre da cui nascono quei tremendi gemelli chiamati isolamento e disperazione.
Rileggendo i racconti biblici sulla notte tra il Giovedì Santo e il Venerdì Santo, noto che il dolore psichico che ha fatto soffrire di più Gesù era la solitudine. In Matteo 26 vediamo che i suoi amici più stretti, dopo avergli promesso di rimanergli fedeli fino alla morte, non furono in grado di rimanere svegli con lui nel Giardino degli Ulivi, nonostante le ripetute suppliche. Giuda lo tradì con un bacio, e gli altri apostoli fuggirono all’arrivo delle autorità. Di certo Gesù ha sofferto una terribile solitudine, trovandosi abbandonato dai suoi amici e circondato da coloro che lo odiavano.
Dopo l’arresto Gesù non ha avuto alcun avvocato che lo difendesse, né alcun alleato. Nemmeno una persona fu disposta a sostenere la sua causa davanti al Sinedrio. Ancora una volta, Gesù si trovò da solo, separato da qualsiasi persona che potesse aver affermato di amarlo. In quel momento il cuore di Gesù, quel cuore fatto di un amore così perfetto, ha di certo sofferto una terribile solitudine.
In Luca 22 si legge che Gesù guardò Pietro, proprio mentre lui negò persino di conoscerlo – come Gesù aveva predetto. E di certo non lo consolò sapere di aver ragione sul rinnegamento di Pietro.
In Giovanni 19 leggiamo che Gesù si sia lamentato sulla croce, dicendo: “Ho sete”. Non è difficile immaginare che la sua non sia stata soltanto sete d’acqua, ma anche di amore, di compassione e di anime.
Cosa più toccante di tutte, forse, è ciò che leggiamo in Marco 15. Gesù che grida dalla croce con il cuore trafitto dal dolore dell’abbandono, un dolore così grande che lo ha portato al punto di sentirsi abbandonato anche da Dio. Sicuramente un tale dolore non è stato esclusivamente dolore fisico, ma un vero e pervasivo dolore del cuore e dell’anima.
Perché vi ho raccontato tutto questo? Avrei potuto evitare il giro di parole qui sopra e chiedervi subito di camminare con Gesù in questa Quaresima, nella sua solitudine, nella sua sete di amore e di anime, mentre meditate la Via Crucis o pregate prima di ricevere la Comunione. Tali pratiche sono sempre lodevoli, soprattutto durante la Quaresima, ma vi parlo della solitudine di Gesù con uno scopo diverso in mente.
Sappiamo che il Gesù sofferente può essere trovato nel nostro prossimo (Matteo 25:40). I santi ci hanno sempre esortati ad eseguire le opere di misericordia – sia materiali che spirituali – verso il prossimo, per amore del Cristo sofferente. Tali opere sono sempre raccomandate – in particolare durante la Quaresima.
E qui voglio porre enfasi su una cosa che fa male: è purtroppo facile trascurare chi ci è più vicino, colui in cui potremmo trovare Gesù e che è la nostra stessa vita. La solitudine – che è inevitabile in questo mondo decaduto – affligge Gesù nel cuore e nell’anima, perché lui abita in noi.
Ognuno di noi sente il “pungiglione” della solitudine, di tanto in tanto; alcuni soffrono di solitudine per una stagione; e sembra che talune povere anime siano afflitte da solitudine come se fosse una ferita che si rifiuta di rimarginare.
Che Quaresima ricca e piena di grazia sarebbe, se vivessimo quella libertà e quella generosità necessarie per trovare Gesù. Quel Gesù che con compassione soffre dentro di noi, mentre attraversiamo la nostra passione di solitudine.