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Ciò che colpisce dietro Vatileaks è che non c’è un complotto curiale contro Francesco

Andrea Tornielli - Vatican Insider - pubblicato il 06/11/15

Una lettura dei due libri di Fittipaldi e Nuzzi che riportano i risultati di un'inchiesta condotta dallo stesso Vaticano

Dietro ai libri «Avarizia» e «Via Crucis» non c’è un complotto curiale contro Francesco. Non c’è nemmeno il «vecchio» contro il «nuovo corso»: se l’ipotesi accusatoria sarà confermata, le due talpe che hanno fatto avere le carte ai due autori erano infatti state nominate dal nuovo Papa nella commissione per la riforma economico-amministrativa della Santa Sede (Cosea).

Dalla lettura di entrambi i testi, dalle pagine di documenti, cifre, verbali, registrazioni audio, non emergono dati sconvolgenti. Molto di quel materiale, infatti, era già stato pubblicato. Sullo scandalo delle case di Propaganda Fide o dell’Apsa cedute ai vip in cerca di appartamenti sottocosto, sono usciti centinaia di articoli documentati. Lo stesso si può dire sui conti sospetti dello Ior. Anche le spese del cardinale George Pell e dei suoi sottoposti erano già state pubblicate dall’Espresso.

Tra le novità ci sono certamente le parole dette dal Papa nella riunione a porte chiuse con i porporati che si occupano di questioni economiche e i dialoghi tra cardinali alla vigilia dell’annuncio della costituzione di un nuovo dicastero economico centralizzato nella Santa Sede. Si tratta di registrazioni carpite all’insaputa dei presenti. A leggere le trascrizioni non se ne ricava però l’impressione di una guerra in corso, mentre emerge la determinazione di Francesco nel volere trasparenza sui conti, sulla gestione degli appalti e sui costi.

Del tutto nuova è invece la notizia della cassaforte dov’erano conservate la carte della Cosea che è stata scassinata. Chi è perché ha violato quello e altri forzieri, rubando poche centinaia di euro? Come pure i due libri aggiungono un triste dettaglio alle già note polemiche relative alla ristrutturazione del nuovo appartamento del cardinale Tarcisio Bertone: non si sapeva infatti che 200mila euro della fondazione per i bambini malati del Bambin Gesù erano stati usati per quello scopo. Anche qui, però, si poteva spendere forse qualche riga in più per spiegare che il manager bertoniano Giuseppe Profiti e l’intero cda dell’ospedale sono stati cambiati nel gennaio 2015 dal nuovo Segretario di Stato Pietro Parolin. Del tutto nuove sono le cifre relative alla destinazione dell’Obolo di San Pietro, usato in parte per iniziative di carità e in parte per coprire i buchi di bilancio della Santa Sede.

Quello che più colpisce è piuttosto il quadro generale: i due libri presentano infatti i risultati della più grande e minuziosa inchiesta sui conti vaticani che sia mai stata condotta. A realizzarla però, è stato lo stesso Vaticano, affidandosi a consulenti esterni ed estranei: l’indagine per sapere quanto denaro c’è e come viene speso; quanti immobili ci sono, quanto realmente valgono e come vengono gestiti; che ruolo hanno le fondazioni e come gestiscono le loro uscite; lo screening minuzioso su tutti i conti dello Ior che ha portato alla chiusura di centinaia di posizioni… Tutto questo è emerso per la prima volta per volere di Papa Francesco, delle due commissioni referenti, dei consulenti internazionali che evidentemente hanno fatto un buon lavoro. E hanno permesso che si cominciasse a mettere mano alla riforma. Certo, non senza discussioni, frizioni, contrapposizioni, difficoltà, ostacoli. Come quelli inizialmente frapposti alla commissione Cosea dagli uffici della Segreteria di Stato a proposito della destinazione dell’Obolo di San Pietro, poi superati.

La fotografia che emerge dai due libri, nei suoi dati più nuovi, è riferibile ai primi mesi del pontificato di Bergoglio e non di rado nel passare da una carta all’altra si perdono di vista i contesti e soprattutto ciò che sta avvenendo oggi. Esistono ancora tanti casi di cattiva gestione, un sottobosco di privilegi e privilegiati. Esistono tensioni fra la nuova Segreteria per l’Economia e altri dicasteri come l’Apsa. Ma tanta strada è stata fatta dai tempi di Calvi e Sindona, dai tempi del crack dell’Ambrosiano e dei conti Ior usati per far passare maxi-tangenti o riciclare denaro sporco. Benedetto XVI ha iniziato la stagione del rinnovamento e dell’adeguamento agli standard internazionali, per aprire il piccolo mondo vaticano e i suoi istituti talvolta utilizzati come banche offshore.



Il suo successore ha voluto proseguire l’opera interrotta con una fortissima determinazione. Molto in questi primi anni di pontificato è stato fatto. Molto resta ancora da fare, ad esempio per quanto riguarda l’Apsa e la gestione degli immobili. Francesco Peloso, nel suo documentato libro «La Banca del Papa» (Marsilio editore), utile per capire lo scenario di tutti questi avvenimenti, ha scritto che quanto sta accadendo è «il racconto di un cambio d’epoca nel quale il papato ha accettato e fatto proprie le regole della globalizzazione finanziaria» come l’«antiriciclaggio».  La sfida che Papa Francesco «prova allora a lanciare alla sua stessa Chiesa – si legge ancora nel libro di Peloso – è quella di una struttura economica che, pur non rinunciando a un rapporto diretto con i mercati finanziari globalizzati, produca però circoli ridistributivi virtuosi al suo interno per consegnare risorse innanzitutto alla missione evangelizzatrice nelle varie forme in cui questa si esplica nelle diverse regioni del mondo, privilegiando magari quelle più bisognose». Una sfida che non è ancora vinta.

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