Dopo la sua morte c'è stato chi ha continuato a insultare la sua testimonianza
La sua sorte era ormai segnata, decisa. E lui stesso, mons. Oscar Arnulfo Romero, sapeva che non sarebbe potuto sfuggire alla morte. Per il suo impegno sociale a favore dei poveri, per le sue proteste di fronte al venir meno anche degli spazi minimi di giustizia e di democrazia, e soprattutto per le sue coraggiose denunce contro il governo, contro gli “squadroni della morte”, autori di spaventosi delitti, per tutto questo l’arcivescovo di San Salvador era diventato una minaccia permanente non solo per il regime militare ma anche per l’oligarchia economica, per i grandi proprietari terrieri.
Così, i poteri forti avevano deciso che era venuto il momento di far tacere quella “voce”. Il killer aveva avuto via libera, e il 24 marzo del 1980 aveva ucciso l’arcivescovo sull’altare, mentre celebrava Messa, nel momento più sacro per un sacerdote, perché levava in alto l’ostia ricordando il sacrificio del Figlio di Dio. Dunque, tutto era segnato, deciso. Ma se ciò era accaduto, se quell’assassinio era stato consumato, era stato anche perché mons. Romero era stato lasciato solo. Tragicamente solo. Indifeso. Sempre più esposto ai pericoli che si addensavano su di lui.
Era stato lasciato solo dai suoi stessi confratelli, cioè da quasi tutti i vescovi salvadoregni, compreso il suo ausiliare, e, in qualche misura, anche dal nunzio di allora. C’erano tutti loro dietro le notizie diffamatorie che da mesi arrivavano in Vaticano, e che lo dipingevano – fintanto a chiederne le dimissioni – come un comunista, se non addirittura un sovversivo, un estremista, un fomentatore di violenza. Ed erano stati talmente convincenti, nelle loro accuse, che Romero, giunto a Roma, non solo non era stato ascoltato da nessuno dei responsabili della Curia romana, ma gli erano stati creati mille ostacoli perché non andasse inudienza da Giovanni Paolo II.
Finalmente c’era stato quell’incontro, il 7 maggio del 1979. Ebbene, se prima aveva nutrito qualche riserva sul comportamento dell’arcivescovo, come conseguenza delle informazioni poco obiettive che gli erano state mandate, il Papa ascoltando il commosso drammatico racconto di Romero si era convinto che laverità fosse decisamente un’altra. Gli aveva sì consigliato equilibrio e prudenza, così come gli aveva raccomandato di fare il possibile per ricreare l’unità dell’episcopato; ma lo aveva comunque sostenuto nella sua audacia evangelica, e anche nelle critiche al regime militare. In conclusione, avuta una impressione sostanzialmente favorevole del presule salvadoregno, si era impegnato a far conoscere queste sue considerazioni all’interno di una Curia ancora sospettosa e contraria.