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A scuola di respiro

Michel de Certeau

© Public Domain

L'Osservatore Romano - pubblicato il 08/05/15

Michel de Certeau e la mistica

Anticipiamo ampi stralci di un articolo tratto dal numero in uscita della rivista «Vita e Pensiero», intitolato «Michel de Certeau e il respiro della mistica». L’autore insegna Filosofia della comunicazione e Filosofia morale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano e Piacenza.

di Silvano Petrosino

L’interesse dello storico francese per questa disciplina, simbolo della modernità, evoca la nostalgia dell’assente come desiderio del suo ritorno. Un modo per lasciar entrare l’aria che viene d’altrove, attraversare altri spazi e apprendere altre domande.
Ludwig Wittgenstein
«L’impulso al mistico viene dalla mancata soddisfazione dei nostri desideri da parte della scienza. Noi sentiamo che anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, il nostro problema non è ancora neppur toccato» (Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philisophicus, 25.5.1915). È una delle grandi tesi di Lacan: «Oso enunciare come una verità che il campo freudiano non sarebbe stato possibile se non un certo tempo dopo l’emergenza del soggetto cartesiano, per il fatto che la scienza moderna non comincia se non dopo che Cartesio ne ha compiuto il passo inaugurale» (Seminario xi, Einaudi 1979, p. 48). Freud, come è ovvio, viene dopo Cartesio, ma soprattutto, e questo prima di Lacan era certamente molto meno ovvio, viene proprio grazie a o a causa di Cartesio. Senza Cartesio non ci sarebbe stato Freud; infatti, insiste Lacan, «ora sappiamo che ciò che comincia a livello del soggetto non è mai senza conseguenze, a condizione che sappiamo che cosa vuol dire questo termine – il soggetto». Michel de Certeau, come è noto, non solo ha condiviso una tale interpretazione, aderendo con decisione all’avventura/apertura di pensiero ch’essa ha fecondato, ma ha anche cercato di verificarla e approfondirla nel campo che gli era proprio, diciamo in generale la “storia”, ma più precisamente bisognerebbe dire la “mistica”. Leggere o magari rileggere de Certeau significa innanzitutto interrogarsi sul perché dell’interesse di uno storico per la mistica, un oggetto in verità assai poco storico o se si preferisce solo “marginalmente” storico.

La mistica è sintomo di un’apertura che è anche una ferita, e come tale essa rappresenta, rispetto all’immagine del soggetto configurata dalla modernità, l’altro volto di una ricerca dell’identità che non riesce in alcun modo ad accontentarsi della sola esaltazione del cogito. Ecco perché de Certeau è uno storico sui generis; nei suoi scritti, in effetti, egli si occupa ultimamente non tanto e non solo di una determinata disciplina quanto piuttosto del soggetto, del modo d’essere del soggetto che in questa disciplina necessariamente si svela nell’istante stesso in cui la istituisce. Non è dunque difficile comprendere il senso del costante interesse di de Certeau per la mistica che non a caso egli legge e interroga sempre e con rigore in relazione ai grandi temi, in verità così “stranamente storici”, dell’esperienza, dell’enunciazione, del desiderio, della mancanza, del “volo”, del “sì”. Ha dunque ragione Napoli quando osserva che de Certeau, leggendo Freud, e personalmente direi soprattutto Lacan, «disvela la pratica storiografica, ben al di là di uno spazio epistemologico, come uno strumento di una significazione ontologica: oggetto della storiografia è il soggetto scisso e la sua identità che nessun approccio epistemico si mostra capace di indagare» (Diana Napoli, Michel de Certeau. Lo storico “smarrito”, Morcelliana 2014, p. 224). Nel corso di un’intervista pubblicata nel 1983, a una domanda sui suoi svaghi, de Certeau risponde: «Un altro svago è viaggiare. Andare altrove: altre persone, altri paesi, altre esperienze. Il lavoro tecnico, rigoroso, eremitico, è necessario ma si deve poter respirare — inspirare, piuttosto: lasciar entrare l’aria che viene da altrove. E il mio, il mio modo, è quello di attraversare altri spazi e apprendere altre domande, che si inseriranno poi in questo lavoro tecnico. Occorre alienare il proprio piccolo sapere, provare a perderlo, praticare l’oblio che è vacanza e vuoto offerto ad altri» (de Certeau, Storia e psicoanalisi, p. 37).

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