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Mio marito, il minimizzatore

A man householder

© Firma V/SHUTTERSTOCK

Paola Belletti - La Croce - Quotidiano - pubblicato il 05/05/15

Mi insegna a gettarmi nelle braccia del Signore con amorosa confidenza

“Cose che tieni nascoste, con la D”.

“Duodeno”.

Ecco, questo è mio marito. O meglio lui e una delle sue uscite durante una sessione plenaria (con fratelli, cognati, amici-di-lunga-data) di Saltinmente. Lui fa così. Battute surreali con la faccia sempre seria. Comunque, oltre a fare questo e a lavorare minimo  10 ore al giorno, a sostenere la sua famiglia con grande coraggio e una punta di scanzonato menefreghismo. Oltre  a fare un sacco di cose normali e medie, come tutti. Oltre a fare il gira-gira alle due figlie ancora sotto i 30 kg non appena mette piede in casa con il giubbino ancora addosso (il gira-gira consiste nel far ruotare  vorticosamente una figlia per volta tenendola per le braccia e sopravvivere alla fuoriuscita delle sue 3 ernie lombari). 

Oltre a giocare a poker online e a fare il principiante seriale di varie attività sportive (da domani vado a correre tutte le mattine, prima di portare le bambine a scuola. Adesso riprendo ad andare in piscina,  etc) riducendosi invece a finanziare, pochissimo per la verità, i reparti della decathlon. Oltre a fare il copridivano (che dopo 10 ore di lavoro ogni tanto te lo concedo. Anzi ogni tanto non mi arrabbio al quinto minuto), oltre a tutto questo e molto altro che non dettaglieremo, fa il minimizzatore. “Oh, sai che una frangia oltranzista di mamme della 3° dice che non va bene che la maestra vada così piano? Che i più bravi si stufano? Secondo me ce l’hanno con la Marghe perché è dislessica e forse discalculica – sicuramente originale –  e rallenta tutti”. All’altro capo della linea , dall’altro bisunto touchscreen di smartphone, dopo una pausa di 4/4 e un bel sospirone, sento un rassicurante “ma sssssssssssì”, seguito da un “tranquilla, sono tutte scene. Lascia perdere. La Marghe è perfetta e la maestra sa quello che fa”. 

In un’altra telefonata con un ordine del giorno variegato, dopo fiumi di parole (non volevo ma qualche volta credo sia doveroso citare anche loro, i Jalisse), mi butto su una chiusa potente e sintetica che suona più o meno così: “Ecco soprattutto tu, tu che sei chiamato fra tutti a capirmi e supportarmi con la U, manco mi ascolti”. “Non è vero. Io ci sono. Ho i miei limiti ma ti ascolto. E so che certe volte esageri”.

Poi di fronte alle cose grosse, come può esserlo la malattia di un figlio, non perde la calma. Soffre molto ma ingoia il suo dolore per aiutarmi a sopportare il mio e ribadisce con la persuasività di uno che ora sta pagando di persona che “niente ci può davvero ostacolare nell’essere felici. Nemmeno questo…”. Qui non minimizza perché non c’è spazio di manovra, ma guarda dal punto di osservazione più umano possibile. Quello della croce. Minuscola e maiuscola. Che poi a cosa costringe la Croce? Cosa mi fa?  Mi tiene. Mi  trattiene. Mi inchioda.

Al presente.

Allora mi tocca anche dire  grazie per questa prova;  che non è una grossa goccia di inchiostro che scurisce tutta la nostra vita come fosse caduta in un bicchiere d’acqua. No, è un’altra cosa. Ancora non so descriverla…

Intanto è senz’altro la migliore occasione che io abbia avuta finora per dire grazie al Signore del marito che ho. Per la stoffa che sta dimostrando. Per il suo restare, continuare, ripartire, raccogliermi, buttarla in ridere quando è il momento, ribadire l’ovvio quando nel polverone sollevato dalla mia paura non vedo più niente.

Stiamo. Viviamo insieme un giorno alla volta. Che poi: c’è forse un’altra possibilità? Nell’orizzonte della sanità mentale intendo…(perché le altre possibilità al di fuori della sanità mentale le conosco bene. Hanno le sembianze dell’angoscia, della disperazione, a volte dell’invidia per la sorte altrui, e sanno di spavento, oppressione, sfinimento).

C’è  un altro modo rispettoso delle nostre coordinate umane che non vivere ben piantati nel presente? Come un albero che poi può pure piegarsi un po’ in avanti o indietro e aprire bene i rami, se ha  radici ben ficcate nella terra? Viviamo ora. Non ieri, non domani. Carpe diem? Affatto. Prendimi Tu piuttosto, mio Dio, tienimi nella Tua mano. Tienimi alla Tua presenza. Qui e ora. E poi in quell’ora.

Fa che mi accorga di Te. Fa che veda dove ti nascondi, non per sfuggire alla mia presa ma per dare occasione alla mia libertà e alla mia ragione di scoprirti e rispondere con lo slancio di chi non vi è costretto alla Tua presenza.
Aiutami ad obbedire alla realtà che da quando sei diventato Cristo Tu abiti; aiutami a fidarmi di Te.

Come fa mio marito…

Ecco. È questo che voglio: gettarmi nelle braccia del Signore con la stessa amorosa confidenza, lo stesso abbandono senza riserve di mio marito che si lascia cadere sul divano. Sarà pure sdraiato a volte, decisamente bradicardico, ma da quella sorta di letargia (e dalla preghiera personale..anche se non me lo dice) forse ottiene il ristoro, la calma che gli consentono di guidare la sua famiglia con saggezza. E di dire a me, che spesso protesto come una bambina per le vicende che ci sono toccate in sorte, che “si vede che dobbiamo passare da lì per la nostra salvezza, per la nostra vera felicità. Fidati di Gesù”.

Va beh, ma allora con chi mi posso lamentare?

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