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E’ la vita concreta che ci fa scoprire la “cattolicità” di Dio

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Waterdotorg/Heather Arney

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 26/11/14

Non si può amare, e quindi conoscere adeguatamente, un Dio che non si vede, se non si amano i fratelli che si vedono

La "cattolicità" di Dio da un punto di vista concreto, nella vita di tutti i giorni. A spiegarla ad Aleteia è Il teologo Padre Paolo Asolan, docente di Teologia Pastorale presso la Pontificia Università Lateranense.

SOVRACATTOLICO
«Se per cattolicesimo intendessimo unicamente una confessione di fede cristiana che storicamente si è determinata e differenziata a partire da eventi e soggetti puramente umani – premette Asolan – allora è chiaro che Dio non potrebbe essere cattolico: nel senso che in Sé non è realtà determinabile o esauribile a partire da eventi e soggetti puramente umani. In questo senso Dio non sarebbe cattolico ma, tuttalpiù, sovra-cattolico; così come, del resto, non sarebbe perfettamente coincidente con nessuna rappresentazione puramente umana del suo Mistero». 

NON E' UN IDOLO
Dio, prosegue padre Asolan, «sfugge a rappresentazioni puramente umane, magari idolatriche – cioè costruite o elaborate dagli uomini, perciò inadeguate o addirittura false – e rimane sempre al di là di quanto possiamo dire o pensare o sperimentare di lui». 

RIVELATO IN GESU'
E tuttavia, aggiunge, «Dio si è rivelato in Gesù, che è allo stesso tempo colui che rivela e colui che è rivelato. Quindi se per cattolicesimo intendiamo quanto la Chiesa cattolica custodisce nel patrimonio della sua fede come divinamente rivelato  [Haec revelationis oeconomia fit gestis verbisque intrinsece inter se connexis, (Dei Verbum 2) ] , quanto cioè la fede della Chiesa riceve e trasmette di Gesù Cristo dallo Spirito Santo, allora dobbiamo umilmente confessare che la fede della Chiesa cattolica conosce, ama e adora la verità su Dio, e chi conosce Dio secondo la fede dei cattolici conosce il Dio vivo e vero, e non un idolo costruito dall’intelligenza umana».

CONOSCENZA E' VERITA'
Secondo il docente di teologia pastorale, «possiamo ritenere con l’umile sicurezza della fede che la conoscenza "cattolica" di Dio è vera, raggiunge la verità, perché è una verità – vivente  personale – che essa stessa riceve e impara, entrando in relazione con Gesù Cristo, il Vivente». “Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1,18).

VIVERE, AGIRE COME DIO
«Come ribadì Paolo VI nel Credo del Popolo di Dio, "l’intelligenza dataci da Dio raggiunge la realtà (ciò che è), e non soltanto l’espressione soggettiva delle strutture e dell’evoluzione della coscienza”. Lo confessiamo umilmente, ripeto: da gente che ha coscienza di come per questa conoscenza non basti sapere, ma sia necessario anche vivere, agire – così come la rivelazione si è compiuta verbis gestisque, con parole e gesti intimamente connessi tra loro. Potremmo altrimenti saper parlare, saper esprimere, saper argomentare, ma non essere altro che descrittori». 

UN GESTO CHE GUARISCE
«Racconta la Genesi – evidenzia padre Asolan – che nel giardino di Eden c’erano due alberi: quello della conoscenza e quello della vita. Il testo narra come gli uomini scelsero quello della conoscenza, perdendo così l’albero della vita. Per poter conoscere chi è Dio, come anche per guarire da certe malattie dell’anima, è perfino inutile spiegare tante cose: alla fine sarà (o non sarà) un gesto, un passo pratico, a guarire dalla lontananza da Dio. Cristo stesso, dopo tanto insegnamento, ha compiuto un definitivo atto di obbedienza al Padre, ed è per quell’atto che noi siamo stati redenti».

L'IMPORTANZA DELLA CARITA'
«Voglio dire – è il pensiero del pastoralista della Lateranense – che la disputa sulla “cattolicità” o meno di Dio va affrontata non solo e non tanto sul piano delle dispute verbali o teoriche, ma anche su quello della vita concreta. Sono i gesti che rivelano la verità della coscienza di una persona, che può baloccarsi su questioni teologiche e non amare il suo prossimo, o essere schiavo del proprio io e delle proprie idee. Ma non si può amare – e quindi conoscere adeguatamente – Dio che non si vede, se non si amano i fratelli che si vedono. Senza questa purificazione frutto della carità, anche le domande intellettuali su Dio rischiano di mancare il loro oggetto e di avvitarsi su se stesse, esercitandosi su risposte precostituite, quasi sempre ideologicamente già elaborate dall'intelletto».

L'INCONTRO CON DIO
Su questa Terra, conclude il teologo, «non possiamo andare oltre ciò che Gesù Cristo ci ha rivelato verbis gestisque su Dio, e tuttavia possiamo del tutto ragionevolmente mettere la nostra certezza in lui. Noi crediamo a quanto Gesù ci ha rivelato, e non a una costruzione puramente umana. La fede cattolica in Gesù Cristo, la sua forma, non sono soltanto un atto o una forma umani dalle quali occorre affrancarsi per poter attingere direttamente la verità su Dio: sono esse stesse un dono di Dio, una sua opera in noi e nella Chiesa. Nel nostro fidarci di lui, nel nostro comprenderlo in comunione con la fede e con la vita della Chiesa, noi lo incontriamo già all’opera. Le parole della fede e del dogma ci sono perfino necessarie per comprendere in maniera degna dell'uomo quella rivelazione (che a sua volta le innerva) e per viverne». 

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