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Se la Chiesa è nella tempesta, la bussola è la Basilica di San Pietro

Pilgrims praying in St. Peter’s Basilica

© Sabrina Fusco / ALETEIA

Giulia Spoltore - Aleteia - pubblicato il 13/11/14

“Tomba e la sua memoria all’interno della Basilica di S. Pietro” di mons. Marco Agostini

Sono mesi di grande instabilità per la comunità della Chiesa: le forti critiche mosse a Papa Francesco per una sua vera o presunta mancanza di chiarezza, l’avvento del Sinodo sulla famiglia e la pluralità delle sue proposte sembrano sconvolgere il panorama. C’è chi parla di grandi aperture, chi invece parla di feritoie all’interno delle quali passa l’opera del demonio. C’è tuttavia da dire che il clima di incertezza, complessità e pluralità di voci, talvolta discordanti, non è unico in tutta la storia della Chiesa; si pensi all’apertura del Concilio Vaticano II o alla presa di Roma, cambi epocali per la Chiesa sempre fedele a Cristo e dunque a sé stessa.

Quale contributo risolutore può dare l’arte a questa situazione? E qualora potesse, dove cercare le istruzioni? La risposta dobbiamo cercarla nella Basilica di San Pietro, centro della cristianità, perché quando il problema è sostanzioso bisogna ridurre al minimo gli ambiti di ricerca. In questo frangente sembra ben altro che casuale l’uscita di una silloge di saggi di mons. Marco Agostini intorno alla Tomba e la sua memoria all’interno della Basilica di S. Pietro.

Perché proprio S. Pietro? Ce lo suggerisce monsignor Agostini quando scrive “sul colle Vaticano ancora Pietro e pietra si toccano” (p.15). C’è una continuità tra la presenza della tomba dell’apostolo e martire Pietro, il sovrastante altare coperto dal baldacchino berniniano e la cupola michelangiolesca che svetta nelle panoramiche di Roma. I quattro pilastri, custodi delle reliquie della passione, che sostengono la cupola, sono idealmente collegati tra loro da un’iscrizione che corre lungo ciascuna cornice “Hinc una fides mundo refulgit. Hinc sacerdotii unitas exoritur” (“da qui l’unica fede rifulge nel mondo, da qui sorge l’unità del sacerdozio”). Questa sistemazione seicentesca ci mostra una coerenza d’intenti con gli interventi precedenti: si indica esplicitamente la tomba dell’apostolo Pietro come unico luogo dal quale possono venire la fede e la cattolicità della Chiesa, il suo essere universale. A questo fine tutte le mattine il “risveglio in Vaticano” (pp. 30-31) è connotato dalla celebrazione sugli altari di S. Pietro della messa “per favorire maggiormente la devozione della gente e perché quelli che son ferventi crescano di virtù in virtù”, dunque per tutti noi.

Molte sono le opere che in San Pietro potrebbero aiutarci, ma per brevità e seguendo sempre le tracce che ci lascia monsignor Agostini nel suo libro, una sopra tutte potrebbe essere un sostegno per affrontare la questione inizialmente abbozzata.

Il San Pietro cammina sulle acque di Giovanni Lanfranco (pp. 36-41), dipinto tra il 1627 e il 1628 e del quale esistono ancora i bozzetti preparatori, è conosciuto dai più come la Navicella. L’originale, ad oggi in uno stato mediocre di conservazione, si trova nella Loggia delle Benedizioni e al suo posto troviamo la copia a mosaico (1719) sull’altare del pilone di S. Elena.

La decorazione degli altari addossati ai piloni della cupola e rivolti verso le navate minori ha una storia lunga che risale a Clemente VIII Aldobrandini, come riassume monsignor Agostini, e ruota intorno al progetto di illustrare i miracoli dell’apostolo Pietro. Al parmense Lanfranco, allievo dei Carracci e grandissimo innovatore della pittura seicentesca (a lui dobbiamo le riprese di Correggio per la costruzione dello spazio barocco) Urbano VIII Barberini affidò la realizzazione definitiva dell’opera in questione.

Il soggetto è fondamentale: non è la prima volta che in S. Pietro si rappresenta quest’episodio evangelico, basti pensare alla più nota Navicella di Giotto. L’episodio dipinto è quello raccontato in Mt 14, 28-31, in cui tutto gira intorno alla sguardo tra Pietro e Cristo, alla capacità di Pietro di mantenere lo sguardo su Cristo nonostante infuri la tempesta, nonostante ormai le acque gli abbiano raggiunto la cintola. Lanfranco coglie proprio questo momento, quello in cui Pietro trova la forza di fissare di nuovo lo sguardo su Cristo mentre Gesù gli allunga la mano, gesto che manifesta l’azione salvifica della venuta di Cristo.

Scrive monsignor Agostini in merito: “Gli Apostoli sanno che sulla barca di Pietro, Pietro non può mancare. Essi sanno che Pietro non è solo uno dei dodici, comprendono che se Pietro si salva anche loro si salvano perché con lui c’è il Signore. Con questo equipaggio e specificamente con questo nocchiero la barca tocca sicuramente il porto: nella Chiesa ci si salva insieme” (p.40).

La metafora della navicella dipinta da Lanfranco dunque è ancora attuale, nulla da aggiungere alle parole del monsignor Agostini che con acume e sapienza ce la spiega. Queste parole rimettono tutti noi nella prospettiva gioiosa della fede e dell’unità. Tanto è convincente la metafora della navicella che settanta anni dopo l’opera di Lanfranco ispirerà anche Carlo Fontana per la progettazione del fonte battesimale in S. Pietro (1692-1698).

 L’idea della nave che dà forma al bacile, come insiste il professor Marcello Fagiolo, non può essere casuale: nel battesimo si approda ad una prima salvezza che è la partecipazione alla vita della Chiesa e solo in questa si può ottenere la salvezza eterna. “Nella Chiesa ci si salva insieme”, queste le parole che dovrebbero restare scolpite nella nostra mente di fedeli, sicuri dell’equipaggio e del nocchiero che ci sono stati dati.

In conclusione la lettura di un libro sull’arte, o meglio su come si possa far buon uso dell’arte ai fini della pastorale, è molto più che un esercizio culturale: diventa piuttosto un esercizio spirituale, un’occasione di verifica della propria fede e soprattutto un ritrovare, laddove perduta, la prospettiva vera della fede. L’arte non è solo la “Bibbia dei poveri”, ma è il modo che usa il popolo di Dio per fare memoria dell’intervento di Dio stesso nella Storia, come dimostra il libro di monsignor Agostini, e per questo non può rimanere un interesse collaterale e sporadico nella formazione dei consacrati e di tutti i fedeli.

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