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Esperienze di pre-morte, quando il mistero si fa scienza

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 21/10/14

Un nuovo libro affascinante su un tema al crocevia tra scienza, filosofia e teologia

La modernità è figlia e produttrice a sua volta di divisioni. È dal secolo dei Lumi che i campi del sapere si litigano l’esclusività del vero: in particolare ciò accade alle scienze le quali, schiacciate dall’urgenza della prova e della logica, sono costrette a confinare ciò che non comprendono nel campo del “mistero” o, addirittura, del “miracolo”. Eppure, cresce il numero degli scienziati non solo affascinati, ma interessati al concetto di “miracolo” che se inquadrato correttamente – cominciano ad affermare – si armonizza perfettamente con alcuni fenomeni dimostrabili solo in parte. Questo vale, ad esempio, per tutte le esperienze di pre-morte, che in Sorella morte corporale. La scienza e l’aldilà di Francesco Agnoli (La Fontana di Siloe, 2014) non solo sono raccontate in quantità e in profondità da molti scienziati, ma che per questi sono diventate impulso, così leggiamo, ad allargare il raggio del campo di studi. “Potrà sembrare strano”, scrive Agnoli, “ma la parola «miracolo» torna, tra gli scienziati di ieri e di oggi, più frequentemente forse che tra i filosofi, e oggi, tra i teologi. Non di rado infatti si parla di «miracolo» riguardo alla creazione dell’universo: cosa è più difficile, resuscitare un morto o creare l’universo intero?”. Da questa domanda, Agnoli trae spunto per ricostruire, a mo di introduzione agli interventi degli scienziati, una storia dell’alleanza, più o meno legittima a seconda delle epoche storiche, tra i diversi campi del sapere umano. Aleteia ha incontrato l’autore, scrittore e autore del blog libertaepersona.org.

In che senso gli scienziati sono di nuovi inclini ad accettare il concetto di miracolo?

Agnoli: Nel senso che la parola «miracolo» nella cultura cristiana ha un significato molto preciso, assai diverso da quello che aveva nelle culture pagane. Per queste tutto è miracolo, ovvero un’azione delle numerose divinità che animano la natura. Invece, nella concezione cristiana questa parola ha proprio a che fare con le leggi della natura, perché identifica un Dio legislatore, che ha posto delle leggi nell’Universo. Per i cristiani, Dio agisce di norma secondo le sue leggi: questo lo disse già Sant’Agostino. Però poiché il Legislatore non è dalle sue stesse leggi limitato e forzato, evidentemente può anche sospenderle. Un po’ come il fabbricante di un orologio, il quale lavora mettendo in azione un meccanismo che tende a funzionare secondo una legge intrinseca, ma sul quale lui può intervenire, sospendendone il funzionamento e portando le lancette avanti o indietro.

Si riferisce alla tesi di Malebranche, quella di un “Dio orologiaio”?

Agnoli: Sì, ma l’idea di una “Dio orologiaio” va compresa. Un concetto di Dio come costruttore della “machina mundi” c’è già nel Medioevo, poi in Keplero e in tanti personaggi religiosi. È un’idea che si oppone ad una visione panteista, in cui tutto è animato, ma non porta necessariamente ad un meccanicismo assoluto. L’idea di un “Dio orologiaio” va intesa come riferita a un Dio che crea le leggi, ma che poi non si pone al di fuori di tutto. È un Dio che crea ogni istante.

In che modo il miracolo si associa all’idea delle esperienze di pre-morte?

Agnoli: Le esperienze di pre-morte sono sempre più studiate anche da un punto di vista scientifico; ad oggi non sono ancora spiegabili scientificamente. Non abbiamo la possibilità di dire che queste visioni siano semplicemente frutto di un cervello impazzito; piuttosto sembra di vedere qualcosa che ci mette in relazione con il grande enigma del rapporto mente/cervello. In passato si è sempre ragionato sul rapporto anima/corpo, e si è compreso via via che l’anima non è un contenuto e il corpo un contenitore, ma c’è un’intima connessione. Ma questo non vuol dire che c’è uguaglianza o identità. Ci sono tante cose oggi che ci fanno comprendere che mente e cervello costituiscono una dualità. Tanti aspetti, infatti, non sono riducibili al solo cervello – la mia personalità, la mia autocoscienza, il fatto che i cervelli oggettivi producono una personalità soggettiva – che ci fanno pensare all’esistenza della mente. Anche le esperienze di pre-morte ci portano su questo terreno. Esse, come sono state raccontate nel Novecento e nel Duemila, dall’India all’Italia agli Stati Uniti, sono incredibilmente simili a quello che i filosofi cristiani hanno detto dell’anima. Ad esempio, come questi “quasi-morti”, diciamo così, comunicano nelle loro visioni con i defunti o con i santi fa pensare a come San Tommaso 800 anni fa descrisse il modo di comunicare fra le anime in assenza del corpo. Un grande matematico come Kurt Gödel spiegava che la mente degli uomini è limitata dalla potenzialità ridotta di un cervello materiale, cioè di un calcolatore meccanico che non ha la stessa potenzialità della mente di cui è strumento. Quando la mente sarà libera dal calcolatore meccanico – diceva Gödel – allora la comunicazione sarà immediata, telepatica, sarà al di fuori del tempo e dello spazio. Cioè, sarà una comunicazione fra entità spirituali. Per gli scienziati di cui si parla nel libro, e per quelli intervistati in appendice, il cervello è un elemento necessario ma non sufficiente per spiegare tutta la vita psichica. C’è molto al di là, c’è un campo che si estende al di là di quello che noi possiamo toccare, vedere ad esempio con le varie tecniche di neuroimagining ecc.; un campo che ha a che fare col mistero che abbiamo sempre intravisto della personalità e della libertà umana.

Cosa emerge dalle esperienze di pre-morte raccontate nel libro?

Agnoli: La cosa strana è che persone, che sono in uno stato del cervello o del cuore nel quale non potrebbero avere nessuna percezione, non solo dicono di aver visto o incontrato i loro cari, ecc, e questo già non è spiegabile in alcun modo, ma ridescrivono cose che hanno visto. Ad esempio, hanno visto medici che facevano determinate cose, intorno al loro corpo. Ma come possono averle viste se erano, per quanto noi ne sappiamo, non coscienti? Un malato che viene operato e che è in uno stato che noi definiamo di incoscienza, nel quale è impossibilitato a percepire qualsiasi cosa, una volta risvegliatosi racconta di aver visto, percepito, ascoltato cose che ci pongono in imbarazzo. Imbarazzo dovuto al fatto che in quel momento lui non aveva gli strumenti corporei per percepire, vedere o ascoltare. 

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