Con prologo e promozione dell'arcivescovo di Granada, le professoresse Arbona e Fanconi raccolgono 19 profili
Non ci sono limitazioni per mostrare l’intelligenza di padre Brown quando disarma rispettosamente i malviventi o la noia che proviamo per don Fermín ne “La Regenta”, dipinto da “Clarín” in modo tanto intelligente quanto sadico in uno degli esercizi letterari di manipolazione più brillanti mai realizzati.
Di tutto ciò dà conto la docente universitaria Guadalupe Arbona, una delle scrittrici e coordinatrici di un’opera pubblicata da Encuentro.
In questo libro intervengono vari autori. Com’è stata la sua gestazione?
L’idea è stata dell’arcivescovo di Granada, monsignor Javier Martínez, che per l’anno sacerdotale proposto da Benedetto XVI ha deciso di affidarmi uno studio sulla figura dei sacerdoti nella letteratura contemporanea. Bisogna spiegare che monsignor Martínez è molto segnato dalle opere che ha letto da giovane in seminario, soprattutto da una: “Diario di un curato di campagna”, di Bernanos. Ha convocato me e una sua ex insegnante, María Dolores de Asís, dell’Istituzione Teresiana di Padre Poveda e docente emerita di Letteratura presso l’Università Complutense, ora all’Universidad San Pablo CEU, e ci ha detto: “Vediamo che persone e che contatti potete riunire per realizzare l’opera”.
Non ci ha indicato requisiti previ e ci ha detto che si fidava completamente di noi (ho un rapporto di amicizia con monsignor Javier dall’età di tredici anni). María Dolores de Asís è stata una delle persone che lo hanno maggiormente aiutato in gioventù quanto all’orientamento delle letture. Monsignor Javier ha letto molto Sartre, Camus, Bernanos…, tutta una serie di scrittori, fondamentalmente francesi, che lo interessavano perché mettevano in discussione tutta la cultura del momento e rivisitavano il cristianesimo per proporlo nell’epoca attuale.
Abbiamo subito contattato dei professori che pensavamo potessero essere interessati al progetto (tutti esperti in ciascuno dei capitoli che scrivono). Quando prima commentavo che monsignor Javier non ci ha posto “paletti”, mi riferivo al fatto che gli ho detto che non potevamo limitarci alla letteratura spagnola, ma dovevamo offrire un approccio più universale. In questi libro ci sono autori non toccati o assenze di spicco come il caso de “I Promessi Sposi” di Manzoni, che non abbiamo potuto includere perché la persona che avrebbe dovuto sviluppare il tema ha avuto dei problemi gravi.
Ci troviamo quindi di fronte a una tipologia sufficientemente rappresentativa?
Ci abbiamo quantomeno provato. Ad esempio con il padre Brown di Chesterton, scritto dal mio ex allievo Jesús Montiel con una prospettiva straordinaria del personaggio. Un altro caso è quello di Thomas Becket, di Eliot, in “Assassinio nella cattedrale”, trattato da un professore di un’università nordamericana di origine spagnola che avanza una proposta molto interessante: partendo dall’opera teatrale Premio Nobel, identifica la differenza tra l’attesa e la speranza.
Un altro profilo è quello che ci mostra Graham Greene ne “Il potere e la gloria”, un romanzo in cui l’intreccio è molto ben costruito partendo da vari livelli narrativi. La sua genesi è assai interessante perché parte da un viaggio di Greene in Messico, in cui si innamorò della zona del Chiapas e scrisse un testo intitolato “Le vie senza legge”. Lo colpisce moltissimo – è il primo scossone alla propria coscienza – la realtà del cattolicesimo in un Paese in cui i parroci sono perseguitati per essere uccisi o espulsi e restano solo i rinnegati.
Così è il protagonista, un “güisqui pater”, un curato ubriacone, che per una serie di casualità e di eventi è rimasto quasi intrappolato nel suo Paese, con le circostanze storiche che decidono la sua vocazione. L’ho intitolato “En el umbral del abandono” (“Al limite dell’abbandono”) per parlare di questo paradosso: nella sua estrema debolezza si manifesta anche la gloria, da cui il titolo del romanzo. Da un lato c’è un tenente messicano, che rappresenta il potere che perseguita la Chiesa, dall’altro c’è la gloria che si manifesta in un pover’uomo com’è il curato.