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Dovremo rinunciare al termine “matrimonio”?

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Christine Tremoulet

mons. Charles Pope - pubblicato il 08/10/14

La cultura laica sta trasformando l'idea di matrimonio in qualcosa di completamente diverso dal matrimonio cristiano

Con i tribunali di vari Paesi occidentali che stanno ridefinendo quello che può essere inteso come “matrimonio” al giorno d’oggi, stiamo arrivando a un punto in cui dovremmo mettere semplicemente da parte l’utilizzo di questa parola?

È un fatto che per molte persone nel mondo laico la parola “matrimonio” abbia cambiato significato. Quando la Chiesa utilizza la parola “matrimonio”, non si riferisce chiaramente alla stessa cosa che intende con questo termine un numero crescente di Paesi.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce il “matrimonio” in questo modo:

“Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento” (CCC, 1601).

Le ultime decisioni giudiziarie prese in molti Paesi indicano tuttavia con chiarezza che la definizione di matrimonio nel mondo laico non assomiglia neanche lontanamente a ciò che viene descritto nel Catechismo.

E questa non è la prima ridefinizione del matrimonio che avviene in Occidente. La ridefinizione è infatti avvenuta in varie tappe.

Una prima e nitida tappa è stata l’inizio della legislazione a favore del divorzio. La legge non difendeva più quello che il Catechismo descrive come un’alleanza per tutta la vita: il matrimonio, indissolubile negli insegnamenti che la Chiesa preserva con base nel Vangelo, è stato ridefinito come un contratto facilmente rescindibile per volontà dei coniugi.

Il drammatico aumento dell’uso degli anticoncezionali e il forte crollo dei tassi di natalità, pur non essendo una ridefinizione legale, finiscono per essere nella pratica una sorta di ridefinizione culturale del matrimonio, se paragonato a quanto descritto nel Catechismo. La procreazione e l’educazione della prole fanno parte della natura stessa del matrimonio, ma la cultura occidentale è passata a vedere questo aspetto come opzionale da parte dei coniugi. Oltre a questo, avendo seminato al vento e ridefinendo non solo il matrimonio, ma lo stesso atto sessuale, stiamo ora cogliendo anche il vortice della profonda confusione sessuale.

La tappa più recente di questo processo di ridefinizione del matrimonio è il riconoscimento legale dei cosiddetti “matrimoni” omosessuali, il che completa la rottura con la definizione di matrimonio del Catechismo: un’alleanza stabilita da un uomo e una donna.

Il mondo laico è andato escludendo tutti gli aspetti di ciò che la Chiesa intende per matrimonio. Non sarà allora giunto il momento di accettare questo fatto e iniziare a utilizzare una parola diversa per rendere ben chiara la differenza tra ciò che il mondo intende per “matrimonio” e quello che la Chiesa ci insegna al riguardo?

Dal mio punto di vista, dovremmo riferirci al matrimonio nella Chiesa solo come al “santo matrimonio”.

In base a questa proposta, la parola “matrimonio” verrebbe messa da parte e sostituita con “santo matrimonio”, notando che il Catechismo della Chiesa Cattolica si riferisce a questo sacramento, formalmente, come al “sacramento del matrimonio”.

In questo modo si sottolineano anche due aspetti del matrimonio cristiano: la procreazione e la complementarietà eterosessuale. “Matri” evoca “madre”, dal latino “mater”, e “monio” viene da un suffisso che indica “azione, stato o condizione”. Da ciò deriva il fatto che il santo matrimonio indichi il sacramento in cui la donna aderisce allo stato che conferma la sua apertura alla maternità, all’interno di un’alleanza definitiva con un uomo. La definizione biblica ed ecclesiale del santo matrimonio come eterosessuale e aperto alla procreazione è ribadita, così, dal termine stesso. Definirlo “santo”, inoltre, allontana chiaramente la confusione laica esistente oggi intorno al termine matrimonio. Restano comunque delle considerazioni da fare.

Il riscatto dell’espressione “santo matrimonio” implica il fatto di tornare a una tradizione più antica, che potrebbe sembrare arcaica ad alcune persone. Questa definizione, però, è senza dubbio ben più difficile da eludere rispetto a “matrimonio”.

Nella mia parrocchia, ad esempio, abbiamo già adottato l’espressione “santo matrimonio” qualche tempo fa. Non prepariamo più le persone “al matrimonio”, ma “al santo matrimonio”.

Le persone non si sono ancora abituate del tutto, è vero. Arrivano ancora in parrocchia dicendo: “Vogliamo sposarci l’estate prossima”. Non è frequente che dicano “Vogliamo realizzare il nostro santo matrimonio l’estate prossima”. Non sono cambiamenti che si verificano facilmente. Forse i lettori vorranno offrirci qualche suggerimento per incentivare l’assimilazione di questa definizione.

C’è un’altra possibilità, più modesta: anziché aspettare che il “santo matrimonio” diventi l’unica definizione in uso nella pratica tra i cattolici, potremmo almeno passare a utilizzarla nei contesti ufficiali e formali. In questi casi, non useremmo più il termine “matrimonio”, ma la chiarissima espressione “sacramento del santo matrimonio”.

Cosa ne pensate? Arriveremo al punto di aver bisogno di una nuova espressione per riferirci chiaramente al concetto cristiano di matrimonio? Sarà che la parola “matrimonio” è stata talmente spogliata del suo significato da aver bisogno di usare una terminologia diversa per chiarire cosa vogliamo dire davvero?

Quando ho presentato questa proposta per la prima volta, circa due anni fa, buona parte dei lettori si è mostrata reticente quanto all’importanza di questo cambiamento; alcuni si sono mostrati anche preoccupati, ritenendo che si starebbe “gettando la spugna” anche a livello di vocabolario. Il fatto, però, è che sembra che il termine “matrimonio” non significherà più chiaramente ciò che significava prima.

Una questione secondaria, ma collegata a questa, è che forse dobbiamo riconsiderare anche la “partnership” esistente in molti Paesi tra Chiesa e Stato per quanto riguarda la validità civile del matrimonio religioso. Se lo Stato interpreta il matrimonio in modo tanto diverso dalla Chiesa, possiamo davvero vederci come “partner”? Ha senso passare un’impressione di “credibilità” a un pezzo di carta sempre più privo di senso? I fedeli cattolici, per motivi giuridici e perfino fiscali, hanno bisogno di fatto della registrazione civile del loro matrimonio in buona parte dei Paesi in cui vivono, ma in termini sacramentali cosa ha a che vedere il clero con questo, parlando in senso stretto? Il santo matrimonio e un semplice documento civile non sono, in pratica, due realtà ben diverse?

Ciò che è evidente è che abbiamo bisogno di una solida e intensa catechesi volta ai nostri fedeli per ribadire che il “matrimonio” civile (qualunque cosa venga a significare dal punto di vista legale e laico) non equivale in alcun modo al sacramento del santo matrimonio. I fedeli hanno bisogno di capire che non devono in alcun modo ritenersi sposati davvero solo basandosi su un pezzo di carta senza senso concesso da uno Stato laico.

Ancora una volta, cosa ne pensate?

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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