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È necessario pronunciare per intero la Professione di fede?

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Toscana Oggi - pubblicato il 11/09/14

Soprattutto oggi che sono state superate tutte le controversie trinitarie e cristologiche?

Mi domando se oggi abbia ancora un senso recitare, nella parte iniziale della Professione di Fede, l’espressione che dice «Dio da Dio, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre». Tale formula era stata proposta dai Padri partecipanti ai Concili di Nicea e di Costantinopoli per fissare la dottrina relativa alla natura divina di Gesù e la sua esistenza da sempre; ciò per sconfiggere definitamente le violente controversie trinitarie e cristologiche. Ho l’impressione che oggi questa questione sia stata ampiamente elaborata e metabolizzata (o semplicemente rimossa?) e che non vi sia più alcuna discussione.  Eppure la Chiesa ce la fa ripetere ogni Domenica alla Messa. Vorrei sapere quale è la vostra opinione in proposito.

Massimo Piccini

Risponde padre Giovani Roncari, docente di Storia della Chiesa alla Facoltà teologica dell’Italia Centrale.

Nell’Ordinamento generale del Messale Romano, al n.67 si legge: «Il simbolo o professione di fede, ha come fine che tutto il popolo riunito risponda alla Parola di Dio, proclamata nella lettura della sacra Scrittura e spiegata nell’omelia; e perché, recitando la regola della fede, con una formula approvata per l’uso liturgico, torni a meditare e professi i grandi misteri della fede, prima della loro celebrazione nell’Eucaristia».  Il messale, dunque, non prescrive esplicitamente ed esclusivamente il credo niceno-costantinopolitano, anzi la Cei nelle Precisazioni all’introduzione al Messale (n.43), prevede e consiglia la recita del credo degli Apostoli, specialmente nel tempo quaresimale e pasquale con il richiamo alla liturgia battesimale.

Perché, allora, il credo niceno si è imposto in maniera quasi esclusiva nella liturgia eucaristica? Per la sua grande, decisiva, autorevolezza. Per comprendere questa affermazione è necessario spendere qualche parola su questa professione di fede, sulla sua formazione e sulla sua importanza. Ritengo infatti che la domanda del nostro Lettore riguardi tutto il credo niceno e non solo le espressioni citate che comunque costituiscono la parte più caratteristica della professione di fede di Nicea e che non possono essere semplicemente omesse senza compromettere in qualche modo lo stesso credo.

La qualifica «niceno-costatinopolitano» rimanda ai due grandi concili del quarto secolo: Nicea nel 325 e Costantinopoli I nel 381. Questo testo che passerà alla storia come «simbolo niceno-costantinopolitano» non è stato semplicemente formulato nei due concili ricordati, ma ripensato, riformulato, precisato… infatti la professione di fede è ben più antica, risale alle origini del cristianesimo ed è legata al conferimento del battesimo. Si parte da espressioni di fede molto sintetiche testimoniate dal Nuovo testamento «Gesù è il Signore» (Rom. 10,9; Fil. 2,11; 1Cor. 12,3 ecc..), «Gesù è il Cristo» (At.18, 5; 1Gv.2,22 ecc..). Da queste affermazioni-professioni, che sembrano essere delle acclamazioni liturgiche, si passa ad una elaborazione che allarga e approfondisce la signoria unica di Gesù, non come una affermazione teorica, ma storica, cioè inserita in quel progetto di salvezza che è iniziativa del Padre, realizzato dal Figlio, reso vivo nella storia dallo Spirito Santo: «Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa (Pietro) e quindi ai Dodici…» (1Cor.15,3-5). «Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui» (1Cor. 8,6). E anche espressioni usate nella liturgia: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo…» (2Cor. 13,13). E infine la grande formula battesimale: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo…» (Mt. 28, 18-20).

Naturalmente anche al di fuori del Nuovo Testamento, negli scritti subapostolici, si trovano professioni di fede espresse non tanto come affermazioni teoriche, ma come fatti concreti dell’agire di Dio. Ascoltiamo Ignazio di Antiochia, martirizzato a Roma intorno al 107 d.C. «Non ascoltate se qualcuno vi parla senza Gesù Cristo, della stirpe di Davide, di Maria, che realmente nacque, mangiò e bevve: Egli realmente fu perseguitato sotto Ponzio Pilato, realmente fu crocifisso e morì alla presenza del cielo e della terra e degli inferi. Egli realmente risuscitò dai morti poiché lo risuscitò il Padre suo e similmente il Padre suo risusciterà in Gesù Cristo anche noi che crediamo in lui, senza di lui non abbiamo la vera vita» (Lettera ai Trallesi).

Notiamo la chiara affermazione del nostro coinvolgimento nella vicenda umana e divina di Gesù. Le citazioni non finirebbero mai… terminiamo con la citazione di un simbolo battesimale che secondo la testimonianza di Eusebio di Cesarea, circolava in Oriente alla vigilia del concilio di Nicea ed è facile vedervi la base del futuro simbolo conciliare: «Noi crediamo in un solo Signore, Gesù Cristo, la Parola di Dio, Dio da Dio, luce da luce, vita da vita, Figlio unigenito, primogenito di tutta la creazione, generato prima di tutti i secoli dal padre, per mezzo di lui tutto fu fatto, si incarnò per la nostra salvezza e fu insieme agli uomini e patì e risuscitò il terzo giorno, e salì al padre e verrà di nuovo in gloria a giudicare i vivi e i morti». (DzS 40)

Il concilio niceno si inserisce in un cammino che nasce con il cristianesimo stesso e che tende a proclamare e interpretare Gesù di Nazareth e la sua vita. Semplificando molto possiamo così riassumere la vicenda teologica che porterà a Nicea e Costantinopoli. Si sviluppano nel cristianesimo primitivo varie tendenze, mentalità, strade con molte sfumature che nascono essenzialmente dall’usare schemi filosofico-religiosi precedenti al cristianesimo stesso. Semplificando un quadro molto complesso, possiamo cosi riassumerlo: coloro che ritengono Gesù di Nazareth un uomo scelto, eletto da Dio Padre e costituito Signore e Messia, ma sempre un uomo anche se del tutto eccezionale: è l’adozionismo. L’altra tendenza è quella che vede nel nazareno un essere divino, ma non Dio come il Padre, che scende nella carne umana per essere mediatore fra Dio e l’uomo: è il subordinazionismo. Per Nicea, sia l’adozionismo, sia il subordinazionismo sono strade impercorribili, vie senza uscita; Gesù di Nazareth non è un semplice inviato di Dio, nè un essere divino di natura diversa da quella del Padre.

Certamente i termini usati da Nicea («della stessa sostanza…») appartengono alla filosofia greca e sembrano culturalmente datati. Sarebbe possibile comporre una nuova confessione di fede in termini più moderni… certamente sì, e non mancano tentativi in merito, purché si parta dall’insegnamento di Nicea, ad di là delle sue storiche espressioni, secondo un principio teologico fondamentale così espresso dal Catechismo della Chiesa Cattolica: «Noi non crediamo in alcune formule, ma nella realtà che esse esprimono e che la fede ci perm
ette di toccare: l’atto di fede del credente non si ferma all’enunciato, ma raggiunge la realtà enunciata. Tuttavia noi accostiamo questa realtà con l’aiuto delle formulazioni della fede. Esse ci permettono di esprimere la fede, di celebrarla in comunità, di assimilarla e di viverla sempre più intensamente».

Dopo Nicea-Costantinopoli, la discussione si prolungherà sulla divinità e umanità di Gesù e sul loro intimo rapporto: la parola passerà al concilio di Efeso (431) e di Calcedonia (451). Non devono meravigliare queste discussioni che conoscono pagine sublimi e pagine assai discutibili intrecciate nelle passioni umane: il cristianesimo è incarnazione, è ridire in parole umane la grande Parola di Dio.

In questo cammino vi sono dei punti chiave, di assoluto riferimento, dopo la Sacra Scrittura e a lei soggetti (Dei Verbum10): Nicea è il primo di questi. La Fede dei trecentodiciotto Padri (il numero approssimativo-simbolico dei padri conciliari) è il punto di riferimento di tutti gli altri concili e questo costituisce un metodo teologico: si parte dalla Parola di Dio, letta dalla Tradizione e si va avanti e allora dottrina e pastorale diventano inseparabili. 

È qui il punto fondamentale dell’uso di professare la fede con le parole di Nicea-Constantinopoli: inserirsi, nel momento più alto della vita della Chiesa, l’eucarestia, nella grande tradizione della Chiesa. Queste parole sono condivise anche da tutta la Chiesa Ortodossa e dalle grandi Confessioni Protestanti (Anglicani, Luterani, Calvinisti ecc..) ed è bello pensare che tutti questi cristiani esprimano con le stesse parole la fede «in un solo Signore Gesù Cristo… Dio vero da Dio vero… che si è incarnato nel seno della vergine Maria…».

Un’ultima osservazione: non mancano, anche all’interno della comunità cristiana, coloro che ritengono Gesù come un grande uomo, un maestro, un martire, un profeta… ma solo un uomo… e non mancano anche coloro che ritengono Gesù un dio minore, una specie di angelo, un ambasciatore che ovviamente non può avere la stessa dignità di colui che rappresenta… Allora non è fuori luogo proclamare la fede nel Dio Uno e Trino con le parole della grande tradizione della Chiesa condivise da tutti i credenti in Cristo.

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