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Esiste una guerra giusta?

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© isafmedia

Anna Pelleri - Aleteia - pubblicato il 04/09/14

Intervista a Massimo Borghesi, ordinario di Filosofia Morale presso l'Università di Perugia

Guerra e pace. Chiesa e Stato. Conflitti religiosi. Strategie diplomatiche. Interventi militari. Oggi sono molte le lenti da cui guardare quanto sta accadendo nel mondo. La Chiesa, con Papa Francesco in prima linea, si è subito presentata come interlocutrice, mediatrice, ma anche come guida. Ci si chiede quindi quale dovrebbe essere il ruolo di un pontefice e della Chiesa davanti a situazioni così complesse e drammatiche.

Ne abbiamo parlato con Massimo Borghesi, ordinario di Filosofia Morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia. È docente di Storia dell’ateismo presso la Pontificia Università Urbaniana e autore di testi sulla secolarizzazione e di saggi sul rapporto tra religione e interculturalità.

C’è chi ha chiesto a gran voce una presa di posizione a favore dell’intervento armato in Iraq e Siria al Papa. Quale tipo di intervento può avallare un pontefice?

Su questo si sono fatte molte polemiche tra chi spingeva affinché il Papa facesse una dichiarazione esplicita e chi faceva resistenza. Mi sembra però che il Papa abbia ribadito con molta chiarezza la posizione tradizionale, uso questo termine perché c’è anche chi come Massimo Cacciari ha detto che il Papa avrebbe innovato sulla dottrina sociale della Chiesa, ma non è così. La dottrina sociale della Chiesa, come il catechismo, parlano chiaro: una guerra è lecita laddove è una guerra di difesa. Cioè quando siamo di fronte ad un’ invasione e, in questo caso, anche all’espulsione di un intero popolo dal proprio territorio con uccisioni, atti di barbarie, conversioni forzate e quant’altro, la Chiesa ha sempre professato il diritto legittimo alla difesa.

Possiamo quindi parlare di "guerra giusta"?

In questo caso si può parlare di “guerra giusta” anche se il termine non è propriamente corretto in quanto ogni guerra anche la più “giusta” poi si macchia inevitabilmente di crimini. C’è però questo diritto di resistenza che non può non essere armato. Si è fatto polemica sul fatto che il Papa ha detto che non bisogna bombardare, ma queste sono questione più tecniche: ci sono diversi modi di condurre una guerra e comunque il Papa non ha escluso, anzi ha richiesto, un intervento armato. La decisione delle modalità con cui condurre tale intervento non spetta al Papa, ma alla Comunità Internazionale.

E’ una politica "del male minore"?

La politica del male minore è sempre una politica calcolata e riflessa, nel senso che si tratta – nell’intervento bellico – di non arrecare un male maggiore rispetto all’offesa subita. Quindi è necessaria in questo caso una riflessione sulla convenienza o meno dei motivi che possono legittimare l’intervento; in questo caso mi pare ci siano tutti perché siamo di fronte ad una realtà che coinvolge direttamente i cristiani in Iraq, e non soltanto loro: infatti il Papa è stato molto chiaro nel dire che il il problema riguarda cristiani, islamici, yazidi, tutti perseguitati dall’Isis, che costituisce la punta estrema del radicalismo islamico, coltivato inizialmente dall’Occidente contro Assad, che non può essere identificato, come molti fanno in Occidente, con l’Islam in quanto tale. Una identità che costituirebbe il miglior regalo per l’Isis eretto a portabandiera dell’intero Islam.

Il Papa, così come rappresentati di chiese locali oggi particolarmente in difficoltà come in Terra Santa Padre Pier Battista Pizzaballa, attuano un’azione pastorale, di presenza e vicinanza tra gli uomini. Come si concilia questa modalità con quella più prettamente politica della Santa Sede come attore internazionale?

La posizione di Pizzaballa è profondamente in sintonia con l’operato della Santa Sede. Lui è certamente un ottimo pastore in quanto si muove all’interno di una grande sensibilità pastorale come custode della Terra Santa, ma al tempo stesso è anche un fine diplomatico: sa bene che nella lotta che divide israeliani e palestinesi non è tanto chiamato a schierarsi,  quanto a fare da mediatore tra le parti in lotta. Sul piano internazionale è questa la posizionedella Santa Sede la quale evita, di proposito, di schierarsi in forma rigida nelle divisioni che solcano, drammaticamente, la scena odierna. Con ciò la Chiesa si oppone al manicheismo che torna oggi, dopo il 2001, a segnare il contesto mondiale evitando di dare una legittimazione alle ideologie teologico-politiche fonte di intolleranza e di violenza. Vicina ai Paesi islamici per la tutela dei valori della vita e della famiglia è decisamente occidentale nella valorizzazione del principio della libertà religiosa, della distinzione tra l’ambito religioso e quello civile. E’ questa trasversalità che la rende preziosa, un fattore di mediazione che, in certi momenti, la rende protagonista della pace. E’ quanto è accaduto con la veglia di Papa Francesco sulla Siria, un gesto che, offrendo un assist a Putin, ha, di fatto, contribuito a bloccare l’intervento americano. Al punto che oggi, singolarmente, gli Usa possono essere invitati dalla Siria ad intervenire contro la barbarie dell’Isis.

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