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Lo Spirito Santo nel libro degli Atti

Pentecost 54 – The Holy Spirit – it

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Dimensione Speranza - pubblicato il 11/06/14

Luca chiede alla sua Chiesa una consapevolezza «pentecostale» e una fedeltà allo Spirito totali e assolute

di Mauro Làconi

Preannunciato già nell' Antico Testamento per i tempi messianici, come lo stesso libro degli Atti sottolinea fin dal principio (2,17-21), il discorso sullo Spirito di Dio permea, caratterizzandolo, tutto il Nuovo Testamento. In un certo senso tende ad esprimerne l'incomparabile novità: mediante il suo Spirito, Dio interviene nella vicenda umana per farne una storia del tutto nuova. Accentuato in modo particolare negli scritti di Paolo, soprattutto nel contesto della «giustificazione per grazia», si trova sottolineato nei Vangeli fin dall'inizio come per comunicare subito il senso del «divino» presente con Gesù (Mc 1,10; Mt 1,20 e Lc 1,15 e 35; Gv 1,32-34); ma nessun autore vi ritorna su con l'intensità di Luca, particolarmente – senza possibilità di confronti – nel suo «secondo volume»: il libro degli Atti degli apostoli. Il lettore attento ne coglie presto il motivo: mediante la presenza attiva dello Spirito nella Chiesa continua l'opera di Gesù. (1)

1. Il discorso sullo Spirito in Luca: dal Vangelo agli Atti

Nel Vangelo di Luca il discorso sullo Spirito inizia e conclude tutto (Lc 1,35-24,49), e nel corso del racconto compare con frequenza senza dubbio maggiore che negli altri vangeli (per es. Lc 4,18; 10,21; 11,11; ecc.). Ma è soprattutto nel libro degli Atti che ritorna con eccezionale frequenza. Ed è proprio Luca che ha reso abituale nel Nuovo Testamento l'espressione completa «Spirito Santo» destinata in seguito a diventare classica; molto più frequentemente che lo stesso Paolo. Mentre negli altri vangeli, Giovanni compreso, è assai più rara. Praticamente fino al c. 21 Luca menziona lo Spirito – presenza personale e operante nella Chiesa – praticamente in tutti i capitoli. Le eccezioni sono rare. In almeno una decina di essi poi con un rilievo particolare. Per esser più precisi: l) nella prima grande sezione dell'opera (cc. 1-12: la chiesa di Gerusalemme) il tema sullo Spirito raggiunge l'apice; 2) nella seconda (cc. 13-21: attività missionaria di Paolo) rimane insistente, seppure con qualche flessione; 3) nella terza (cc. 22-28: Paolo il prigioniero) misteriosamente – fatto raramente sottolineato – questo tema straordinariamente tipico del libro, scompare quasi del tutto.

A parte questo ultimo fatto di difficile spiegazione, tutto questo dimostra chiaramente che Luca segue il tema dello Spirito verso la Chiesa per se stessa, quasi a volerla definire (e non tanto verso il singolo credente); particolarmente orientandolo verso la Chiesa delle origini (cc. 1-12), fatto storico «di vino» che solo lo Spirito può spiegare; specificamente poi verso la Chiesa missionaria, che Paolo autorevolmente riesce a rappresentare (cc. 13-21).

Questa la visione globale, che ora conviene esaminare maggiormente nel dettaglio.

2. Impostazione cristologica del discorso sullo Spirito

È caratteristica costante del Nuovo Testamento, e specificamente dei Vangeli, la dimensione cristologica in cui si muove la teologia dello Spirito, Luca non fa eccezione; anzi accentua questo aspetto all'inizio del vangelo (Lc 4,1.14.18). Nel libro parallelo degli Atti la cristologia fluisce nell'ecclesialità: come Gesù, anche la Chiesa dà inizio alla sua storia e alla sua attività mossa dallo Spirito Santo, proprio come Gesù stesso aveva predetto (At 1,8). E non si tratta solo di una promessa, ma di un suo «dono» personale – sia pure in stretto rapporto «trinitario» -, affinché la continuità «cristologia» – «ecclesiologia» anche in questo risulti perfetta: «Dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso» sulla Chiesa (At 2,33). E così risulta perfetta anche la continuità storico-letteraria fra i due volumi di Luca: il Vangelo (storia di Gesù) e gli Atti (storia della Chiesa).

Da questo momento l'azione dello Spirito continua inarrestabile, ma sempre in ordine a Gesù. Sarà proprio lo Spirito a mandare Pietro a Cesarea per evangelizzare i primi pagani (10,19; 11,12), ma per annunciare loro Gesù (10,3743). Lo stesso era avvenuto per Filippo (8,29-35) e avverrà per Paolo (13,2.4.23). Con perfetta logica Luca aveva già presentato lo Spirito, nella Chiesa, come «il testimone di Gesù». Impressionanti, e persino audaci a questo riguardo, le parole di Pietro davanti al Sinedrio: «Di questi fatti [riguardanti appunto Gesù] siamo testimoni noi e lo Spirito Santo!» (5,32). Espressione sorprendente, e tuttavia perfettamente in quadro, che troverà un parallelo molto più tardi nel Quarto vangelo (Gv 15,26). Luca distingue senza equivoci Gesù e lo Spirito, ma nello stesso tempo comunica al lettore il senso di una profonda unità; addirittura a un certo punto arriverà – per l'unica volta! – a definire lo Spirito Santo come «lo Spirito di Gesù!» (16,7). Espressione che potrebbe suonare addirittura sconcertante; e tuttavia senza equivoci se letta nel contesto di Luca. Troverà persino un parallelo – anche qui una sola volta! – in Paolo (Fil 1,19)!

Su questo argomento, che evidentemente sta molto a cuore a Luca – tensione cristologica nel suo discorso sullo Spirito -, si è voluto persino scoprire un netto parallelismo letterario all'inizio dei due volumi lucani:

– Vangelo (storia di Gesù): Gesù riceve lo Spirito (Lc 3,22)e pronuncia il suo discorso inaugurale a Nazaret (Le 4,16-27);

– Atti (storia della Chiesa): la Chiesa riceve lo Spirito (At 2,1-4)e Pietro pronuncia il discorso inaugurale cristiano a Gerusalemme (At 2, 14ss).

Una buona conferma: la Chiesa continua – nello Spirito – l'opera di Gesù.

3. La Pentecoste e la dimensione «divina» della storia

All'inizio del suo discorso di Pentecoste, per spiegarne il senso e parlare della discesa dello Spirito, Pietro si rifà al profeta Gioele (Gl 3,1-5); senonché le prime parole della citazione profetica non sono affatto del profeta biblico, ma personali di Pietro, comunque riferite da Luca, e cioè «cristiane»: «Negli ultimi giorni, dice il Signore … » (At 2,17). Per l'apostolo dunque, e per l'evangelista, con la discesa dello Spirito ha inizio l'era finale e propriamente «divina» della storia. Certo non ancora «il giorno del Signore, giorno grande e splendido» (queste sono parole del profeta: At 2,20), cioè la fine risolutiva di tutto, che anche per Luca rimane lontana e misteriosa; ma in qualche modo il suo inizio, perché, inviando lo Spirito, e quindi con l'annuncio del mistero di Gesù, Dio è entrato da «Signore» nella storia degli uomini, conferendole un significato e una portata completamente nuova. In qualche modo, iniziale e non ancora definitivo, ma tuttavia autentico e operante nella vita di ognuno, l'atteso Regno di Dio si è reso già attuale e presente. È la tesi evangelica di Luca formulata nel suo vangelo con le parole stesse di Gesù: «Il Regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21), che finalmente trova nella Pentecoste la sua autentica interpretazione. Questo dinamismo messo in atto dallo Spirito nella diffusione del Vangelo e nel diffondersi della Chiesa – un fatto per lui autenticamente divino e non puramente umano – trasforma la vicenda umana rendendola «storia della salvezza», anticipo del Regno e della salvezza. Nello stesso senso già Paolo aveva parlato delle «primizie dello Spirito» (Rm 8,23) o anche della «caparra dello Spirito» (2 Cor 1,22; 5,5; e anche Ef 1,13); come anche Giovanni, sia pure senza parlare direttamente dello Spirito, vedrà nel credente in Gesù «la vita eterna» – cioè «divina» – già presente e in atto («Chi crede nel Figlio ha la vita eterna»: Gv 3,36). È caratteristica di tutto il Nuovo Testamento una certa propensione a sentire il fatto della salvezza «futura» già in qualche modo anticipata nella vita «presente» di chi crede nel Cristo Risorto. Il merito di Luca, e anche di Paolo, è quello di aver identificato concretamente questo misterioso anticipo del futuro nella vitalità dello Spirito di Dio all'opera nella missionarietà evangelica.

4. la Pentecoste si rinnova continuamente nella Chiesa

Le fasi di questo sviluppo «pentecostale» vengono marcate minuziosamente. Poco dopo il racconto della Grande Pentecoste (c. 2), inizio decisivo della storia di Dio fra gli uomini, Luca ci fa assistere a una «seconda» (detta anche «piccola») Pentecoste (4,31), come sempre nel clima della preghiera comunitaria (4,24-30: la più antica preghiera ecclesiale che possediamo) e sempre anche se più modestamente, in clima di sconvolgimenti cosmici («il luogo in cui erano radunati tremò»). Questo «secondo miracolo di Pentecoste» (Schneider) non è una semplice ripetizione del primo, in tono minore. Ha una sua autonomia e un significato suo: sostiene la Chiesa in una generosa e impavida proclamazione missionaria (la «franchezza»: vv. 29 e 31; però il termine greco è più forte), date le resistenze che vanno profilandosi e il tempo ormai imminente del «martirio» (cc. 6-7). E così, sostenuta dalla forza dello Spirito, la «Parola» non si ferma: sconfina dal territorio giudaico (c. 8 in Samaria con Filippo, segnando una forte ripresa del tema dello Spirito), e finalmente, per esplicito intervento dello Spirito (10,19), raggiunge i pagani (cc. 10-11). Luca insiste nel sottolineare qui l'iniziativa dello Spirito (e non della Chiesa!: 11,2.15-18), ma soprattutto nel sottolineare il parallelismo fra questo fatto – (che potremmo già definire «terza Pentecoste», o «Pentecoste missionaria») – e la Grande Pentecoste degli inizi: lo Spirito prende l'iniziativa (anticipando addirittura il battesimo!: vv. 44-48) e manifestandosi, anche se in tono più moderato, esattamente come agli inizi («li sentivano parlare in lingue e glorificare Dio»: vv. 45-46). Fatti subito riconosciuti, con stupore e gioia, dalla comunità madre di Gerusalemme (11,17-18). E dopo questa «Pentecoste che segna l'inizio della missione ai pagani» (Schneider), altre se ne potrebbero cogliere nel testo di Luca, senza alcuna forzatura; per esempio quella che segna i veri inizi della chiesa in Efeso, significativamente improntati di aspetti anch'essi «pentecostali» (vedi 19,1-7: una «Pentecoste … ecumenica»?). Comunque si sente affiorare l'intento profondo che guida Luca nel dedicare questi testi straordinari alla sua comunità: egli invita con forza i suoi lettori a non leggere nella sua testimonianza sulla Pentecoste un semplice, anche se straordinario, ricordo; sta invitando la sua Chiesa a un sincero confronto, per una ripresa di coscienza sulla vitalità dello Spirito che continua a costruirne la storia.

5. Tensione missionaria nel discorso lucano sullo Spirito

Già fin dalle prime righe che il libro degli Atti dedica allo Spirito (1,8) è chiaro che l'interesse di questo discorso è prevalentemente missionario e apostolico. Si potrebbe persino dire esclusivo. Anche i passi, appena elencati, sulla continuità dell' evento pentecostale nella Chiesa, lo provano: il dono dello Spirito, costantemente rinnovato, spinge la Chiesa alla testimonianza, e persino al martirio. Tuttavia questo libro dedica un'intera sezione (cc. 13-21: viaggi di Paolo) alla diffusione missionaria della Parola; ed è proprio lì che si trova la conferma di questo fatto nèl secondo volume di Luca.

Risulta immediatamente dal primo viaggio, quello che porterà all'evangelizzazione della Pisidia; viene deciso direttamente dallo Spirito (13,2), e Luca ricorda esplicitamente che i missionari partono «inviati dallo Spirito Santo» (v. 4). Naturalmente in un contesto ecclesiale: i membri della comunità di partenza (Antiochia) pregano, digiunano, impongono loro le mani (v. 3). Nel secondo viaggio, quello che porterà in Macedonia e in Grecia (Atene e Corinto), la forza dominatrice dello Spirito si manifesta in maniera addirittura estrosa; e cioè bloccando il cammino dei missionari e orientando li in maniera perentoria in una direzione nuova (16,6-8: una lettura persino sorprendente). E tuttavia non è nemmeno una novità: in questo libro è sempre lo Spirito che, ovviamente rivelandosi attraverso i profeti cristiani, decide l'itinerario missionario (vedi 8,29.39 per Filippo, e 11.12 per Pietro). E lo Spirito interviene ancora al termine del terzo viaggio per preannunciare e stabilire autorevolmente l'esito finale di tutta la missionarietà di Paolo: la drammatica testimonianza a Roma e il martirio (20,22-23: espressioni forti di Paolo stesso: «avvinto dallo Spirito!»; inoltre 21,4-14). Nel suo vangelo Luca riesce a variare i suoi interessi teologici a proposito dello Spirito; invece in Atti 1'orientamento missionario sembra proprio assoluto. Difficilmente, in tanta documentazione, si potrebbero trovare appigli di interessi diversi, per la vita religiosa o morale del credente per esempio. Orientamento massiccio, che, osservato frettolosamente, potrebbe lasciare un'impressione di unilateralità. Ma lo scritto lucano esprime nel suo insieme un' evidente impressione di rigore. Anche per questa scelta una motivazione rigorosa ci dev'essere. Per esempio un messaggio forte, riguardante, più che il singolo credente, la Chiesa impegnata nella storia. Lo Spirito, con i suoi interventi vigorosi, la sta trasfigurando, trasformandola in «storia di salvezza». Ma attraverso la Chiesa e la sua generosa testimonianza. Per questo Luca chiede alla sua Chiesa una consapevolezza «pentecostale» e una fedeltà allo Spirito totali e assolute.

(da Parole di vita”, n.1, 1998)

1) Nel loro essenziale schematismo possono risultare preziose le trattazioni sul tema nelle più recenti Introduzioni sul Nuovo Testamento. Ci limitiamo a ricordare le ultime: G. SEGALLA, La teologia di Luca-Atti: storia e teologia della salvezza, in Evangelo e Vangeli, EDB 1992, pp. 250-268; M. LÀCONI,Atti degli apostoli: Il Risorto e la forza dello Spirito, in Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli (Logos 6), Elle Di Ci 1994, pp. 573-579; A. RODRIGUEZ CARMONA, L'Opera di Luca: la dimensione teologica – Cammino … animato dallo Spirito, in Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, 6, Paideia 1995, pp. 278-282; R. PENNA, Spirito Santo. Nuovo Testamento, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Ed. Paoline, 1988, pp. 1507-1517. Non vanno trascurate le trattazioni nei commenti, soprattutto i più approfonditi e recenti; ci limitiamo a ricordare la sintesi succosa di G. SCHNEIDER, Gli Atti degli Apostoli (Comm. N.T. V), I, pp. 356-360.

qui l'articolo originale

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