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Qual è la tentazione più difficile da superare per la Chiesa?

Tentazione di Adamo ed Eva – Masolino

© DR

SIC - pubblicato il 15/04/14

Monsignor Cortés parla delle tentazioni della Chiesa

Parleremo dell’ultima tentazione della Chiesa, non in senso cronologico, ma in quello della tentazione più importante, quella definitiva, la più intensa e difficile da superare. Potremmo chiamarla anche “la tentazione delle tentazioni”, perché in essa si riuniscono e si accumulano e intensificano tutte le prove, gli inganni e i pericoli che minacciano la Chiesa nel corso della sua storia.

Come si può capire, ci ispiriamo o riproduciamo ciò che Nikos Kazantzakis ha voluto esprimere nel suo noto romanzo “L’ultima tentazione di Cristo”, portato sullo schermo con scarsa fortuna da Martin Scorsese. Una trasposizione, da Cristo alla sua Chiesa, che riteniamo legittima, perché come ha detto Gesù “un discepolo non è da più del maestro… se hanno perseguitato me…”. Mettiamo da parte il radicalismo di Kazantzakis, che presenta un Gesù tormentato da una lotta interiore che culmina con la Croce; una lotta che veniva ad essere riflesso della tragedia che viveva lo stesso autore. È una visione esagerata e parziale, ma risponde a una realtà.

Quando arrivano i momenti più difficili e sembra che tutte le ingiustizie, i mali fisici, psicologici e morali, i fallimenti, le solitudini e le frustrazioni si riversino su una persona proprio perché ha creduto e ha voluto essere fedele a una missione, allora la grande tentazione è dire: “Tutto questo è assurdo e inutile, sono stato vittima di un inganno o di una delusione”… Questo impulso si chiama “tentazione di scendere dalla croce”. Sulla croce la tentazione, secondo il romanzo citato, fa passare davanti a Gesù tutto ciò che avrebbe significato l’instaurazione del Regno di Dio se avesse predicato solo la concordia, il benessere, il progresso, in un ambiente di normalità e tenerezza in cui avessero regnato l’armonia e la pace. Sarebbe stato un cristianesimo accettabile e confortevole. Vedendo il risultato, però, si pensa che tanta rinuncia e tanta sofferenza non siano servite a niente. Dov’è il Padre che diceva di averci scelti e amati?

La tentazione può arrivare anche a mettere in dubbio l’esistenza di Dio Padre o la dimensione trascendente di tutto ciò che facciamo, o l’efficacia dello Spirito che guida la Chiesa… Risulta allora molto attraente la seduzione di dedicarsi a messaggi e compiti più visibili, accettati dalla maggior parte delle persone per il loro carattere umanitario, e che di per sé non hanno bisogno di alcun riferimento al Dio di Gesù Cristo. Gli appelli evangelici alla negazione di sé e alla sequela personale prendendo la propria croce dovranno essere messi tra parentesi o semplicemente a tacere.

L’ingresso di Gesù a Gerusalemme dovette avere poco di trionfale: non molta gente lo avrà acclamato, quelli che ancora credevano in Lui erano probabilmente pochi e avevano una fede parziale o equivocata. Riceveva i saluti con piacere, ma sapeva bene qual era il destino che lo attendeva in città come Messia sacrificato. La tentazione di compiacersi e godere dei complimenti poteva presentarsi, ma doveva ancora subire il tradimento di alcuni dei suoi. Forse avevano ragione?

Nel momento decisivo, tuttavia, pur gridando al Padre perché lo aveva abbandonato, è arrivato a consegnare nelle sue mani tutto ciò che era e aveva, senza smettere di rispettare neanche un accento della Legge dell’amore.

La Chiesa non può scendere dalla Croce. La Chiesa crocifissa è un albero florido, frondoso e fecondo, che anche in tempo di siccità non muore, ma rinverdisce, perché è piantata accanto al fiume della Legge, quella dell’amore di Dio. Così ci dicono il Salmo 1 e il profeta Geremia (17,8). Magari quelle parole fossero un anticipo della nostra Chiesa.

Monsignor Agustí Cortés Soriano, vescovo di Sant Feliu

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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