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Lo spreco più clamoroso

Roberto Beretta - Vinonuovo.it - pubblicato il 04/04/14

Lettera aperta a monsignor Nunzio Galantino sulle «potenzialità straordinarie della comunicazione cattolica»

Caro monsignor Galantino,
sa che lei mi sta già parecchio simpatico? Qualche giorno fa, appena dopo essere stato confermato dal Papa come segretario della Cei per i prossimi 5 anni, ha dichiarato alla Radio Vaticana: «Io penso che la comunicazione cattolica in Italia abbia potenzialità straordinarie; dovremmo però, secondo me, essere meno bigotti, tutti quanti. Cioè, essere capaci di intercettare come gli altri e prima degli altri, perché una sensibilità grande nei nostri mezzi di comunicazione sociale, c’è. Noi abbiamo fior di professionisti che però molte volte, per un malinteso senso di ecclesialità, per un malinteso senso di fedeltà alla Chiesa, diventano più bigotti dei bigotti. E questo tipo di comunicazione non va da nessuna parte: non serve a nessuno! Non serve a nessuno!».

Caro monsignore, non so da chi prenda le informazioni, però secondo me lei è informato bene. Anch’io un pochettino la comunicazione ecclesiale in Italia la conosco e – dico la verità – l’idea che al suo interno ci siano «fior di professionisti che però molte volte, per un malinteso senso di ecclesialità, per un malinteso senso di fedeltà alla Chiesa, diventano più bigotti dei bigotti» qualche volta aveva sfiorato anche me. Anzi, a dirla tutta credo che lei abbia usato la mano leggera per non offenderci troppo. Infatti a mio parere non tutti i «più bigotti dei bigotti» giornalisti cattolici lo sono «per un malinteso senso di fedeltà alla Chiesa»: qualcuno lo è anche per un fin troppo beninteso senso di mantenimento della propria privilegiata poltrona (sa, leccare le tonache può rendere bene…).

Comunque non è questo che mi interessa, quanto la sua prima affermazione. È proprio vero che nei media cattolici ci sono « fior di professionisti», ma è altrettanto vero che essi spesso sono castrati, umiliati, sprecati. Credo persino che lo spreco più clamoroso di cui il Padreterno chiederà conto a tutti noi giornalisti cattolici, dal più alto in grado al più umile, ma anche a chi li paga (e dunque a lei in quanto segretario Cei), non è tanto quello dei soldi – tanti o pochi – usati per mantenere i mass media ecclesiali, bensì lo stato di soggezione in cui sono tenute tante intelligenze. Ci avete educati a rispondere alla nostra vocazione, a sfruttare i nostri «talenti», e poi ci censurate quando li usiamo sul serio…

Caro Galantino, sapesse quanti giornalisti cattolici vedo ormai cinicamente assuefatti ad attaccare il carro dove vuole il padrone (e, mi creda, che il padrone porti la papalina rossa o bianca non fa nessuna differenza). Quanti rassegnati non sperano più che le cose nella Chiesa possano cambiare. Quanti corrono dietro al minimo spiffero clericale non tanto perché ci credono, ma perché pensano che quello sia esattamente il loro dovere. Che umiliazione, essere «comprati» con l’otto per mille – che dovrebbe essere il massimo strumento della libertà del popolo di Dio!

Caro monsignore, io le auguro di essere conseguente a quanto lei ha affermato, fino al punto di accettare senza arrabbiarsi – o senza licenziarli… – che dei giornalisti cattolici la possano criticare (se sarà il caso, ovviamente). Un carissimo e bravissimo collega cattolico mi ha raccontato che molti anni fa venne invitato a cena da monsignor Ersilio Tonini, all’epoca non ancora cardinale ma responsabile del quotidiano cattolico, il quale voleva sondare una sua disponibilità a dirigerlo; il giornalista volle esagerare: «Mi scusi, ma – solo per esempio – io potrei anche criticare il papa?». Il buon Tonini – non certo uno col paraocchi – vacillò; e il mio amico declinò l’offerta. Vede, caro Galantino, se volete sul serio una vera stampa cattolica e dei giornalisti davvero liberi, dovete essere disposti anche a quello. Niente di meno.

Cordialmente e con tanti auguri per il suo difficile lavoro.

Qui l’originale

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