È un sì detto alla vocazione che Dio affida ai coniugi nella Chiesa e nel mondo, un sì al Dio della vita
«Io, prendo te come mio sposo/a e prometto di esserti fedele sempre….. Nel pronunciare questo gli sposi decidono liberamente di accogliere per prima cosa un dono che proviene da Dio, che dobbiamo accogliere e custodire, ma in realtà significa anche fare spazio ad un altro/a nella nostra vita abbandonando la pretesa di conquistarlo e possederlo.
Quando mi sono sposato con mia moglie Patrizia la formula matrimoniale era: «Io, prendo te come mio sposo/a e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti ed onorarti per tutti i giorni della mia vita». Oggi, quel «prendo» che rischiava di confondersi con qualcosa che carpisco, che pretendo, è stata sostituito con «accolgo». Nel pronunciare questo gli sposi decidono liberamente di accogliere per prima cosa un dono che proviene da Dio, che dobbiamo accogliere e custodire, ma in realtà significa anche fare spazio ad un altro/a nella nostra vita abbandonando la pretesa di conquistarlo e possederlo. Quel giorno, però, che abbiamo celebrato il nostro amore abbiamo anche deciso di farlo «nel Signore». Nella formula, oltre a quella umana, è insita un’altra scommessa. Ogni amore, ciascun amore, questo amore, divengono «sacramento». Gesù scende verso questa realtà per assumerla. Nell’amore umano s’innesta l’amore di Dio per l’umanità, di Cristo per la sua Chiesa. È un sì degli sposi detto non solo al cospetto di Cristo, ma a Cristo, ed è un sì di Cristo detto agli sposi. Il sì detto è un sì detto a Dio e al suo progetto creativo originario sul matrimonio. È un sì detto alla vocazione che Dio affida ai coniugi nella Chiesa e nel mondo, un sì al Dio della vita.
Quel giorno ci siamo promessi di impegnarci in una relazione unica, insostituibile, senza equivalenti. Ci siamo impegnati ad accogliere tutto l’altro, non una parte. Non quando tutto va bene, quando i rapporti sono distesi e gioiosi. Abbiamo promesso di sposare gli alti e i bassi, i momenti di slancio e i momenti di pausa, gli invecchiamenti e i rinnovamenti dell’altro. Per questo è importante rifuggire da una cultura che sembra ridurre la sponsalità ad uno status giuridico, dimenticando la qualità di una relazione oblativa che è sempre disposta a rinnovarsi e a migliorare. Scrive il filosofo R. Mancini:
«Nella logica della gratuità, l’elemento primario è la scelta degli sposi di amarsi per sempre, riconoscendo l’uno nell’altro un valore originale e insostituibile. Tale scelta si fa strada, giorno per giorno, nell’imparare ad essere per l’altro, in una dinamica relazionale fatta di stima di dialogo, di progetti, di tensioni accettate e gestite insieme, di sessualità, di condivisione dell’intera esistenza. L’orientamento di ciascuno sta nel volere la felicità dell’altro a partire dalla sua libertà. La continuità nel tempo della scelta coniugale non è tanto l’ossequio ad un dovere morale o ad un contratto, quanto il rinnovarsi dell’amore per l’altro nel suo essere proprio così, ossia, in ultima istanza, nel suo mistero».
Il mistero profondo di questo cammino affascinante e misterioso, che supera la stessa intelligenza, è descritto nel libro dei Proverbi (30,18-19). In questo proverbio l’anonimo autore canta il suo stupore davanti all’incomprensibilità dell’amore di un uomo e di una donna. Egli non vuole dare spiegazioni e neppure si tortura per la sua ignoranza. Si meraviglia e canta l’inesplicabile.
«Tre cose ci sono che mi superano e una quarta che non comprendo: il cammino dell’aquila nell’aria,
il cammino del serpente sulla pietra,
il cammino della nave per il mare,
il cammino dell’uomo nella fanciulla».