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“Equità”, il grido di padre Nel dal Sudafrica

“Equità”, il grido di padre Nel dal Sudafrica

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Davide Maggiore - Aleteia - pubblicato il 31/01/14

Missionario stimmatino, vive accanto a chi rischia la vita per estrarre il platino. E denuncia un sistema economico che ancora non funziona

“Condividere!”: l’appello di padre Nel Matlala arriva da Marikana, nella regione di Rustenburg, importante bacino minerario del Sudafrica. Ma la ricchezza portata dallo sfruttamento di oro e platino non è per tutti, e a restarne esclusi sono proprio quelli che ogni giorno danno fisicamente il contributo più importante all’estrazione, i minatori.

Passano nei pozzi otto o anche dieci ore”, qualunque sia la loro mansione, spiega il sacerdote, della congregazione degli Stimmatini, e dopo essere risaliti in superficie “si ritrovano in mano 5 mila rand al mese (meno di 350 euro), mentre un manager ne prende 50 mila”. Eppure, sottolinea il religioso, nelle gallerie, a cui ci si riferisce con l’espressione “the hole”, il buco, “per la maggior parte dei lavoratori c’è il rischio di morire”, ad esempio per i crolli. È per questo che, periodicamente, riesplodono le proteste, che puntano a ottenere, parole di padre Nel, “un salario che permetta di vivere”. La stessa cosa era successa anche ad agosto 2012, quando 34 minatori dell’impianto di estrazione del platino della compagnia Lonmin persero la vita durante uno sciopero ad oltranza, dopo che la polizia aprì il fuoco sui dimostranti.

Quello che la stampa definì immediatamente il «massacro di Marikana» fu il più grave episodio del genere dopo la fine della segregazione razziale, e fece emergere il paradosso del «nuovo Sudafrica». Pur essendo riuscita, dalla presidenza di Nelson Mandela in poi, a essere riammessa tra i Paesi liberi e democratici e a diventare una potenza economica emergente, la Nazione Arcobaleno deve infatti ancora combattere contro una forma di disuguaglianza, quella economica. Proprio le condizioni dei lavoratori del settore minerario – da sempre alla base dello sviluppo del Paese – ne sono una testimonianza.

Padre Nel prende ad esempio il tema dei servizi essenziali: “Ogni volta che si fa un passo avanti – dice – si scopre di essere rimasti indietro di altri dieci”. Il livello arretra anche perché “il governo non riesce a rispondere” alle rivendicazioni, sostiene il missionario, mentre sempre più persone vanno a stabilirsi nelle aree minerarie. Per chi lavora nell’impianto, racconta il sacerdote, la compagnia mette a disposizione stanze “con acqua corrente ed elettricità”, dove il minatore può stare con la sua famiglia, che spesso conta su quell’unico salario per sopravvivere. Ma per abitare lì, continua il religioso, “si deve pagare un affitto”, per cui spesso si cerca un’altra sistemazione. In questo caso si ha a disposizione un piccolo sussidio, 1500 rand, oltre allo stipendio base, ma molti preferiscono usare questo denaro per altre necessità e finiscono col vivere “in baracche dove non ci sono acqua né altri servizi da pagare”.

In questo contesto, la Chiesa “cerca di aiutare i minatori soprattutto dal punto di vista medico, quando hanno incidenti sul lavoro”, attraverso gli ospedali e gli ambulatori diocesani, ma per fare di più servirebbe la collaborazione diretta della compagnia mineraria. “Anche la terra” della concessione, dice padre Nel “le appartiene”, quindi senza il suo sostegno “abbiamo le mani legate anche nell’aiuto”. Ma di fronte a persone che “hanno perso la pazienza, smarrito la fiducia e non si sentono prese sul serio” dalle autorità nelle loro rivendicazioni, l’appello contro la violenza e a favore del dialogo portato avanti dai religiosi è prezioso. “Quando i minatori vengono alle nostre funzioni – spiega il sacerdote stimmatino – cerco di riunirli, di discutere della situazione attuale, di parlare con loro”.

Non sono pochi, in effetti, quelli che potrebbero fare le spese di uno stato continuo di tensione. “In ogni momento – racconta padre Nel – arrivano in quest’area persone provenienti dalla regione del Capo Orientale, ma anche dal Mozambico o dal Malawi”: un flusso “che non si può fermare”, ma che ha provocato spesso proteste degli abitanti del luogo, spaventati dall’idea di altra concorrenza in campo lavorativo. Quindi “la situazione peggiora dal punto di vista delle relazioni umane come da quello delle condizioni di vita”, conclude il missionario. È anche per questo che il suo appello alla condivisone e all’equità non può restare inascoltato.

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