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Si può dare la comunione ad un ubriaco?

Ubriaco prende la comunione

@DR

Vinonuovo.it - pubblicato il 07/11/13

Una riflessione sul senso che attribuiamo ai sacramenti

di Roberto Beretta

Domenica scorsa ho visto un ubriaco fare la comunione. Beh, forse non era proprio sbronzo; però un po' brillo certamente sì. Si è messo in fila con andatura barcollante, fermandosi due o tre volte a salutare in modo piuttosto vistoso – come fanno le persone alterate, appunto ­- qualche imbarazzato conoscente seduto sulle panche accanto a cui passava, e alla fine è tornato al suo posto bofonchiando stonato una canzone in tono palesemente basso.

L'ho guardato sorridendo e in un attimo mi è ripassato in mente tutto il catechismo conosciuto sulla piena coscienza nel ricevere i sacramenti, il dibattito del passato (oggi per fortuna superato) se dare o no l'eucaristia ai disabili psichici o comunque alle persone non in grado «di intendere e di volere», le disquisizioni sulla prima comunione da distribuire solo in «età di ragione», ma anche la diatriba su chi può e chi non può ricevere la comunione perché è in stato di peccato permanente oppure no…

Foste stati voi il celebrante, avreste dato la comunione al ciucco? Su, coraggio: che cosa avreste fatto, vedendolo venire avanti con quell'andatura incerta, eppure così allegro… Avreste spento la sua alcolica serenità con un diniego che di certo lui non avrebbe compreso, e forse nemmeno la gente, epperò salvando l'integrità di dottrina? O al contrario avreste socchiuso gli occhi sulla sua condizione, considerandola un po' come quella di un uomo ridiventato bambino -­ seppure con qualche responsabilità personale di caduta nel vizio che certamente non si può considerare del tutto innocente?

Lo sbronzo ha preso l'ostia, comunque; e credo che il prete – se poi si è accorto del suo stato – abbia fatto bene a dargliela. Ma non è questo il punto. Il tema è piuttosto che la vicenda dell'ubriaco costituisce ai miei occhi una specie di "caso scuola" che potrebbe illuminare il giudizio sul senso che attribuiamo ai sacramenti. Nei fumi dell'alcool, infatti, l'ebbro era probabilmente poco consapevole di quanto stava per ricevere; e tuttavia non era incosciente; era in stato di peccato, colpevole quanto meno di intemperanza e mancanza di moderazione, però non in modo così violento o trasgressivo da meritare una riprovazione assoluta; non si può infine dire che – in quel momento – l'uomo fosse «in piena comunione» con la Chiesa, ma sappiamo tutti che la Chiesa è fatta anche (forse soprattutto) dei «malati»…

Insomma, l'ubriaco in fila per la comunione fa pensare. Da un lato, siamo disponibili a considerarlo con indulgenza, quasi con un sorriso, come un ragazzino che ha combinato una marachella; dall'altro, ci chiediamo perché la stessa attitudine misericordiosa non possa venire applicata ad altri casi di incompleta comunione, di momentanea carenza di dignità, di conclamata debolezza, in una parola di umanità delusa o persino disonorata.

Non sto pensando (solo) ai «soliti» divorziati risposati. Conosco un sacco di gente regolarmente coniugata e che va in chiesa tutte le domeniche, però non fa la comunione da anni – forse senza sapere nemmeno bene il perché, o comunque per un malinteso senso di inadeguatezza verso il sacramento (meglio: verso un'idea di sacramento che ci è stata inculcata fin da piccoli). Sorrido: magari l'ubriaco di domenica s'è bevuto un goccetto proprio per farsi coraggio; e poi è andato sereno a fare la comunione che non faceva da anni…

[FONTE: http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=1482]

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comunionedivorziati risposatisacramenti
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